And then, a hug

 









Nell’enorme baraonda in cui ci siamo tutti tuffati di testa quel novembre del 1996, quando Luca ha fatto cucù portando con sé tutto quel bagaglio che ci ha portato, ho trovato (molti) aspetti positivi. Altri, invece, proprio non mi vanno giù.

 

Parlo delle sue ossessioni. Fanno ovviamente parte del pacchetto sindrome di Down- autismo, per cui dare la colpa a lui è anche un po’ da stronzi. Ma il blog in cui scrivo è un posto in cui mi posso anche permettere qualche momento da stronza. 

 

Le sue ossessioni, dicevo.

 

La musica, come tutti sanno, è la più massiccia. E va benissimo che a Luca piaccia la musica, ci mancherebbe. Va anche bene che abbia la sua preferita, che è sempre più o meno la stessa: James Taylor, Jim Croce, Sesame Street, i Police, Una Settimana, Un Giorno, Gianna Gianna, Oh Brother Where Art Thou

 

Stare con lui, per esempio in macchina, è roba da diventare matti, perché le ascolta in continuazione, a massimo volume, ma non ascolta tutta la canzone, ma magari solo i primi sei secondi. Avanti e indietro, avanti e indietro ad ascoltare i primi sei secondi per ore e ore, fino a quando ti fermi in un autogrill e chiedi se per caso vendono dei lanciafiamme. 

Non solo: mica ascolta le versioni originali delle canzoni, quelle cantate dai cantanti che le cantano. Le sue preferite sono tutte cover. Ma non cover di persone con una voce della madonna, ovviamente. Parlo di persone che sono nel loro salotto buio e arredato male, o in tinello con la tavola semi apparecchiata, a cui viene in mente di cantare Gianna Gianna. Prendono il loro cellulare e si fanno il video che poi lanciano su YouTube.


Luca le ascolta talmente spesso che poi questi qui si montano pure la testa (“ammazza quanta gente che mi ascolta!”) e, gasati, me ne fanno altri. Ce n’è una da strapparsi i capelli. Un signore sulla sessantina, vestito da donna, con luce soffusa, rossetto e boccuccia a culo di gallina che con tono sensuale canta Gianna Gianna. Luca l’ascolta, che so, sei-settemila volte al giorno. Oppure c’è il tipo sfigatissimo che canta Waltz #2 (Elliot Smith) nel suo giardinetto, con voce piena di emozione, chitarra sfigata e un cane che continua a interromperlo e a saltargli addosso o abbaiare. 

No vabbè. Potrei stare a raccontarne mille.

 

Ma non è (solo) di questo che mi lamento. Mi lamento e anche tanto quando Luca mi rovina una canzone o un cantante. Il danno peggiore l’ha fatto con Stevie Wonder, che io ritengo uno dei musicisti più straordinari di sempre, soprattutto agli inizi della sua lunghissima carriera. Songs in the Key of Life è per un capolavoro incommensurabile, straziante dalla bellezza. Lo era, oserei dire. Perché Luca con ‘sto cazzo di “Stevie! Stevie!” lo ascolta talmente tante volte che alla fine mi viene la nausea. La canzone che mi ha particolarmente rovinato è Love Is In Need Of Love, che è di una bellezza quasi esagerata ma che adesso dalle prime due note mi viene su una rabbia che faccio fatica a gestire. In poche parole: le sue ossessioni, anche se in qualche modo giustificate da diagnosi pesanti, mi hanno rotto i coglioni.

 

Ultimamente, Luca ha sviluppato un’altra ossessione che mi sta rovinando il cervello, il corpo e la mente: la richiesta di un abbraccio.

Io amo abbracciare. Lo faccio sempre con travolgimento emotivo forte. Abbraccio stretto le persone che amo, quelle che non vedo spesso. Abbraccio anche le persone che mi vengono presentate per la prima volta, con grande stupore degli yankees puritani del Massachusetts. Abbraccio. Abbraccio tantissimo. 


Abbraccio, ovviamente, anche Luca. I suoi li chiamiamo abbracci autistici: spesso usa due braccia perché in una mano ha l’iPad e con l’altra cambia canzone dietro le spalle mentre “abbraccia”. I suoi sono baci sbrodoloni oppure lanciati al vento. I suoi abbracci durano abbastanza poco e sono estremamente selettivi. Praticamente, abbraccia solo me. Ma siamo arrivati a un punto di saturazione massima.

 

Ogni volta che gli dico di fare una cosa, lui risponde: “And then, a hug” (e poi, mi abbracci). Luca, vieni in cucina! “And then a hug!” Luca, finisci la colazione “And then a hug!”. Luca, vieni, andiamo a fare una passeggiata. “And then a hug!”. Luca, andiamo in bagno. “And then a hug”. Luca, vieni che ti aiuto a mettere le scarpe. “And then a hug”

 

Ogni azione, ogni richiesta che gli faccio, ogni volta che gli rivolgo la parola dovrei, secondo lui, abbracciarlo, possibilmente baciandolo o cantandogli una canzone. 

Ora, a parte il fatto che l’abbraccio deve essere spontaneo, altrimenti che abbraccio è. Ma poi lo si da o riceve in certi precisi momenti, non per ogni cosa. 

Stamattina, verso le otto meno dieci, io e lui facevamo la colazione. “Dai, stella, finisci che poi arriva il pulmino”, gli dico sorseggiando la mia solita spremuta d’arancia. “And then, a hug!”, e io lo stramazzo dicendo che no, non ho voglia di abbracciarti anche perché stiamo facendo colazione e non è il momento. L’ho buttata lì. No, Luca, finisci la colazione senza ‘sto cazzo di hug. Ho pensato di provare a essere un po’ più severa, ma poi lui si è alzato e mi si è seduto sulle ginocchia. “I love you mommy. Kisses kisses”. 

Che stronzo. È ovvio che non resisto e a questo punto me lo sbaciucchio fino a quando sentiamo il clacson del pulmino.

 

Se mi rovina anche la voglia di abbracciare, lo mando a dormire al parco.






 

 

Commenti

  1. ...per lo stesso motivo io detesto i ventilatori, in particolare quelli appesi al soffitto. Ora è maturato e cresciuto tantissimo (alto funzionamento) ma che palle sti ventilatori quando aveva 4/5 anni

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  2. Buongiorno! Ha mai visto i video di Monia Gabaldo? È la mamma di tre bambini, tutti a vari livelli affetti da autismo. Questa signora sostiene che eliminando tutti i device i figli sono migliorati molto. È vero che Luca nn è più un bambino, ma io credo che l'età evolutiva duri in realtà per tutta la vita...del resto: tentare non nuoce!

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