Due spaghi




La mattina è iniziata dolcemente, questa domenica di Becket. Sofia, Dan e Emma si sono svegliati prima di me, per comprarmi dei bigliettini per la festa della mamma. Tornando, si sono fermati a rubare dei fiori che Dan dice rarissimi, belli ma puzzolenti, che aveva visto ieri in un prato qui attorno.
Tornati, hanno preparato i pancakes, il bacon, le fragole coperte di cioccolato, il caffé. Hanno messo tutto sul piatto colorato che ci ha fatto Muriel anni fa, e sono entrati, trionfanti, in camera mia, svegliandomi con un I love you in coro. Erano le nove. Io dormivo dalle otto e dieci della mattina prima.
Ho letto i bigliettini, ho pianto dall’emozione, e sono stata lasciata da sola, a godermi il silenzio e il sapore di una colazione deliziosa e di un caffé Illy zuccherato alla perfezione.

Sono scesa in cucina, con un sorriso che se avessi i denti dritti sarebbe stato bellissimo, e mi sono fiondata nel letto di Luca, che mi ha accolto con un good morning!. Coccole, stropicciamenti e baci sbavosi di Luca, e poi fuori, a piantare con Dan le piante di lillà che gli abbiamo regalato per la sua festa, qualche giorno fa.

Emma, che a quattro anni si crede di essere la più grande, decide che si va in spiaggia. Avanti: tira fuori secchiello e paletta, sedie da spiaggia e via, in macchina con tutti, cani compresi. Io, in pigiama, ma va bene anche così.
Ovviamente in spiaggia eravamo gli unici, non solo perchè è maggio, ma anche e soprattutto perchè in questo periodo dell’anno ci sono dei moscerini del cazzo che fanno una nuvoletta sulla tua faccia e ti rovinano l’esperienza. Per non parlare di Luca, che appena arrivato ha fatto di tutto per stare in macchina, e poi quando abbiamo chiuso la macchina a chiave per farlo venire con noi, non ha fatto altro che dire bathroom, bathroom, che è il suo modo di dire che vuole andare. E Sofia, che attrae moscerini come lo zucchero con le formiche, dopo tre minuti mi guarda e mi chiede please please can we go home. Emma invece sta facendo un castello con la sabbia, che sembra una piramide, e felice come una pasqua cerca un fiorellino da metterci sopra. I cani, in acqua, felici.
Dan mi guarda e sorride, come dire, una bella gita. Poi si alza e comincia a metter via le sedie pieghevoli. Si va. Io e Sofia decidiamo di tornare a casa piedi, sole io e lei, e mano nella mano ci incammianiamo. Emma, che piange perchè vuole venire con noi, viene calmata solo quando le prometto un giro in bici.

Il giro in bici si fa, un pranzo veloce anche, e poi loro tutti se ne vanno. Io rimango qui, a Becket, da sola. Enjoy, mi dice Dan dopo avermi baciato sulla bocca. Mi guarda, mi ama, lo si vede lontano un miglio. È bellissimo.
E poi vanno per davvero. E io rimango qui. Continuo a guardare fuori dalla finestra che non mi sembra vero che se ne siano andati. Che io mi sia riuscita a conquistare tredici ore da sola, coi miei cani che stanno zitti ma mi amano.
Mangio qualcosa, e decido di continuare il giardinaggio. Non ho la più pallida idea di come fare, ma faccio dei buchi, ci metto delle piantine comprate l’altro giorno e spero in un miracolo. Dopo un pò,  decido di fare un bel falò, che viene maluccio perchè la legna è bagnata. Ma comunque. Mi prendo una birra, la mia musica, e mi siedo accanto al fuoco. Cerco anche di scrivere, ma mi sembra forzato, come una cosa ovvia che dovrei fare. Non mi viene. Chiudo il computer e mi sparo qualche Tom Waits. Genio, un vero genio. Fumo.
Verso le quattro decido che è ora di far la doccia, e poi, nuda, mi addormento sul letto per un’oretta. Il silenzio mi riempie le orecchie di pensieri strani. Cosa faccio a cena? Spaghetti? No, un bell’hamburger, con la carne rimasta. Vada per l’hamburger. Siamo o non siamo in America?
Decido che senza patatine fritte, la carne è sprecata. Mi vesto, e mi avvio: per andare a comprare due patate faccio un’ora di macchina. Ma chemme frega a me? Sono da sola…

Mi sono sentita fighissima. Adesso, mi dico tornando la supermercato, vado a casa. Accendo un bel fuoco nel camino che fa freschino, e mi preparo una bella cena. Proprio una roba americana, mi dico sorridendo. Altro che spaghi. Lasciamoli a loro, gli spaghi. Io, hamburger e patatine davanti al fuoco nella casetta del New England nella foresta, mica cazzi.
Parto, ascoltando a manetta M Ward, che più americano non ce n’è. Vado, compro, torno, che il tempo vola.

Provo ad accendere il fuoco. Un disastro, Sto cazzo di fuoco non si accende. Soffio, soffio come una bestia, ma nisba. Ci provo e riprovo. Dai che forse sta volta va…Nel frattempo pelo e taglio la patata. Come si fa a fare la forma delle patate fritte? Boh, m’invento. Poi il mio sangue italiano per un secondo prende il sopravvento, e le cospargo di origano. Metto anche un pò d’aglio nell’olio. Tanto chi mi vede?

Nel frattempo, il camino è buio. Neanche un pò di fumo. Smadonno, ci riprovo, mentre aspetto che l’olio si scaldi. Mi ci metto lì, con calma, metto la carta, poi i legnetti, poi il legno più grande. Intanto l’aglio si brucia. Merda!, dico. Lola, il mio boxer malato mentale, mi guarda e sembra provare un senso di noia nei miei confronti. Aggiungo le patate all’olio bollente, mentre preparo l’hamburger. Prendo una manciata di carne trita e la lavoro bene, da palla a hamburger. Bello. Il fuoco, intanto si spegne. Squilla il telefono. È Dan. Lascio il fuoco e mi metto a chiacchierare. Le patatine bruciano. Saluto Dan e cerco di salvare il salvabile, ma c’è poco da fare. Nere. Nel camino non brucia un cazzo, ma in compenso le patatine son bruciate.

Dico, apro il vino. Ne ho una bottiglia tutta intera, tutta per me. Faccio penetrare il cavatappi nel tappo, ma si rompe a metà. Metà del tappo galleggia. Non faccio in tempo a incazzarmi, che noto che l’hambruger anche lui diventa nero. Il camino è spento. L’Ipod sta suonando la musica tutta sbagliata. Le patatine sono a questo punto nere.

Rido, bevendomi il primo bicchiere con le sue belle briciole di turacciolo.
Forse, due spaghi…

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