Topi e Gaber


I cani stanno diventando matti. Fanno versi come se mi volessero dirmi qualcosa. Uno da una parte, uno dall’altra. Io ignoro, e mi gusto la mia bisteccazza pro colesterolo alto alla faccia dei miei valori, che sono da spread.
Il vino è cileno stasera: Casillero del Diablo mi annuncia l’etichetta beige. Va bene, che aiutiamo l’America latina e facciamo anche la bella figura nei giri della Milano che conta.
Asparagi. Come li mangiavo da piccola: lessati con olio e aceto da pucciare sull’orlo del piatto (Ikea).
Il pane fa cagare.
Sono a Becket da sola. Oddio, sola no: a parte i cani, c’è un topo morto nel bidone della pattumiera che non oso neanche guardare. L’altro topo, quello che galleggiava morto nella ciotola dell’acqua dei cani, me l’ha portato via il mio vicino Bill, che ieri sera al mio arrivo mi ha chiesto se potevo prestargli il rasoio per i capelli. Te lo regalo, ma tu mi togli il topazzo, gli dico con un senso di panico che lui non riesce a capire: stai scherzando, vero? È morto!, dice dietro ai suoi occhiali spessi che gli fanno due occhi da cerbiatto sfigato.
Non lo capisce, Bill, che io sono qui per non pensare, soprattutto a topi galleggianti. Che poi mi dico ‘sti topi ( adesso la prendo come un’offesa personale): hanno avuto la casa libera per ben due settimane. Altro che feste festini e robe, e poi si suicidano nella piscina? Cos’è, il mangiare che ho lasciato non andava bene? Guarda te ‘sti americani, oh!
Ma va anche bene il topo, anche lui pora stela ha diritto alla sua dignità.
Dignità.
Guardavo dopo cena le immagini stravolgenti di come la polizia americana reagisce ai protestanti, pacifici: altro che black block, nelle città americane. Ragazzi che insieme chiedono una specie di eguaglianza economica, che in un paese capitalista come qui sembra quasi ridicola, ma transit. Loro la pensano come tutti noi, solo che loro vanno e noi no. Ma per dire, gente normale. E si trovano davanti a una polizia nel panico, senza alcuna preparazione  per affrontare una situazione come questa: come, gli studenti hanno l’Iphone e protestano? Come se avere l’Iphone rappresentasse un principio politico. In Siria e in Egitto e in Libia, è vero, ammazzano. Qui no, non ancora. Ma mi sembra che la reazione sia simile.
Guardando le immagini di polizziotti armati fino ai denti davanti al nemico, cioè davanti a ragazzi in maglietta e jeans, mi fa venire in mente un paio di cose. Prima di tutto, ovviamente, Genova. Mia sorella Serena c’era, e io dal mio divano di Brooklyn guardavo le immagini di Rai International con il cuore in mano. Al momento, ero solo preoccupata per Serena, ma poi la preoccupazione si è trasformata in terrore davanti a una democrazia incapace di accettare il dissenso.
Ma mi viene anche in mente Giorgio Gaber, quando, durante il suo famoso monologo’ Qualcuno era comunista’, dice di sognare una democrazia diversa da quella americana.
Io vivo in questo paese dal millenovecentonovantuno. Lo conosco bene: sono stata straniera, studentessa, moglie, madre, cognata, amica. Sono anche, in un momento di debolezza che ancora adesso mi chiedo il perchè, diventata americana, dopo aver risposto negativamente alla domanda se fossi comunista o nazista (qui è la stessa cosa) e positivamente alla domanda: “in caso di conflitto, sei nei nostri?”. Ho detto che dipendeva, ma il signore, anche belloccio, che me l’ha chiesta, mi detto che se non dicevo si non valeva. Ho detto si.
Tutto questo per dire che io questo paese qui lo conosco bene. E posso dirvi un segreto, che i miei fellow americans non vogliono che si dica in giro: la democrazia lascia molto a desiderare.
Visto che parliamo di manifestazioni parliamo per esempio, del ’68. È vero che qui c’hanno dato dentro gli studenti, ma è anche vero che c’hanno dato dentro perchè c’era la guerra in Vietnam, e era divenatao obbligatorio, tutto d’un tratto, andare a combattere. Non per essere cinica, ma credo che se non fosse diventato obbligatorio, non solo non ci sarebbe stato il film Hair, che a me mi piace, ma non ci sarebbe neanche stato il Sessantotto. Che io ci tengo, perchè è l’anno in cui son nata.
Beh, nel Sessantotto, milioni di studenti sono stati arrestati e picchiati, qualcuno anche ucciso durante pacifiche manifestazioni nel loro bel campus universitario. Ce lo ricordiamo tutti, ne sono sicura.
Ecco, quella roba lì ha insegnato un po’ a tutti: agli studenti di star buoni, e alla polizia di non ammazzare: non perchè non vogliono, ma che se ci scappa il morto poi diventa un caso internazionale, e perdono. E da allora non è che l’America è diventata buona e non ha invaso paesi come aveva fatto con il Vietnam. Ne ha fatte di guerre, altro che crociate: due in Iraq e una in Afganistan, per parlare di robe recenti, come risposta a un atto di terrorismo, che altri paesi ne hanno avuti di atti di terrorismo ma mica hanno ammazzato gente che non c’entra un cazzo (con tutto il rispetto per Pinelli, ma insomma, roba nostrana), o distrutto infrastrutture che ci vorranno anni e miliardi di dollari per ricostruire. E dico questo solo perchè il dolore umano non si può quantificare, perchè altrimenti sarebbe incommensurabile, come la Gioconda, o più appropriatamente, il Guernica. Ecco, secondo me, ‘sti americani, a casa loro, hanno imparato, eccome: niente manifestazioni, niente sangue.
Eccola lì dunque la democrazia americana a cui si riferiva Gaber, che mi manca come un fratello.
Stasera, prima di andare a letto, fate una preghierina anche per me. E per il topo, che mi sa che anche lui la pensa(va) come me.

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