Rane, rospi e fisica quantistica
Come ogni venerdì sera invece di
cucinare, Dan è tornato a casa con una pizza di Regina, il ristorante al di là
del fiume che fa la pizza che più si avvicina a quelle mediocri italiane, e
mentre lui e i ragazzi mangiavano, io sono andata al supermercato dietro casa a
fare la spesa per il finesettimana, perché a Becket, nella nostra casetta nei
boschi, non c’è niente.
Al mio ritorno, mentre io addentavo la pizza
ormai tiepidina, Dan e i ragazzi caricavano la macchina. Ci vogliono due orette
per arrivare, e dopo cinque anni della solita routine, abbiamo capito che
partire verso le sette e mezza vuol dire evitare infinite code nella
tangenziale attorno a Boston, con Dan che smadonna e i bimbi che già chiedono
quanto manca. Alle sette e mezza ormai sono quasi tutti a casa, e Emma, la
nosra bimba di cinque anni, sente avvicinarsi la sua ora della nanna, che
combatte fino alla fine, ma che il calduccio della macchina e le nostre
chiacchierate aiutano a colpire e affondare.
Ieri sera ci ha chiesto di ascoltare una
storia che io avevo scaricato per lei sul mio IPad. È la storia di due amici,
una rana e un rospo. Nell’avventura di ieri sera, il rospo, che si chiama Rospo,
era andato a casa della rana, che si chiama Rana, con dei biscotti che aveva appena sfornato. Chiacchierando, i due amici si sono accorti di averli mangiati quasi tutti. Se non la smettiamo ci verrà mal di pancia, dice Rana, che
dei due amici è la più saggia. Spiega poi a Rospo che devono imparare ad avere autodiscipina, che vuol dire che devono
riuscire a smettere di mangiarli, anche se se ne ingoierebbero ancora una dozzina. Decidono tutti e due di prenderne ancora uno,
e di mettere quelli avanzati in una scatola, chiuderla con dello spago e
metterla su una mensola in alto. Ma così possiamo prendere una scala, tagliare
lo spago, aprire la scatola e mangiare il resto dei biscotti, dice Rospo,
secondo me tossicodipendente (i biscotti non sono che una metafora). Rana, la leccaculo prima della classe, sale sulla la scala, prende la scatola, taglia lo spago, la apre e la mette fuori
di casa; chiama i suoi amici uccellini che si prendono tutti i biscotti e se ne
vanno via felici e contenti. Rospo, che gli girano giustamente i coglioni, dice
a Rana che se ne torna a casa, a fare altri biscotti. Dell’autodisciplina a
Rospo non gliene può fregare di meno. Bravo Rospo, sei tutti noi.
La parte dell’incazzatura di Rospo Emma se
l’è persa, perché ormai già dormiva da quando lo spago era stato usato per
avvolgere la famigerata scatola.
Alla fine della triste storia, in macchina è
salito improvvisamente un gran silenzio: Luca e Sofia ascoltavano la loro
musica sui loro ipod con le loro cuffie, e Dan, al volante, sembrava assorto in
pensieri che dall’espressione si capiva che non voleva condividere. Lola, uno
dei due cani, seduta tra Emma e Luca, continuava a scorreggiare delle scorregge
rumorose, che spezzavano il silenzio con un “Lola, che schifo!” da parte di
Dan. Lui non l’ha mai capita, la Lola.
Per rompere il silenzio in modo più
dignitoso, faccio a Dan due domande sulla sua giornata in ufficio, a cui lui
risponde praticamente a monosillabi. È chiaro che non è
successo niente che valga la pena raccontare, e comunque non ha voglia di
parlare. A Becket manca ancora un’ora e mezza.
Nel terrore del silenzio della macchina, che
a me porta sempre brutti pensieri, cerco disperatamente un argomento che possa
durare almeno una mezz’oretta. Non è sempre facile: io e Dan ci conosciamo da
quando io avevo diciannove anni, e adesso ne ho quarantatre. Il silenzio della
macchina non dovrebbe essere sintomo di niente, né di tensione, né di tristezze
covate negli anni. Dovrebbe essere un silenzio perché non c’è molto da dire in
quel momento, punto e basta.
“Allora ti piace il tuo libro?”, chiedo. Dan,
che per tutta la sua lunghissima vita di studente non ha fatto che studiare
letteratura, si è dato alla fisica quantistica. Non che sia bravo in
matematica: anche lui, come me, si trova in grosse difficoltà se gli viene
presentata una divisione a due cifre; se c’è la virgola, poi è come se si
trattasse di uno scherzo del cazzo. Ma qualche mese fa la televisione pubblica
aveva mandato in onda una serie di quattro puntate chiamata The Fabric of the Cosmos, in cui si
cercava di spiegare ai non addetti ai lavori le ultime scoperte che la fisica
quantistica ha fatto riguardo l’Universo. Il conduttore era riuscito a spiegare
concetti molto complessi usando esempi molto semplici ed immediati, catturando
così l’attenzione di milioni di spettatori di tutte le età. Sofia, per esempio,
che di anni ne ha dodici e della tabellina dell’otto sa solo i primi quattro
numeri, chiedeva di stare alzata fino alle dieci per vedere la tele. Richiesta
assolutamente nuova, visto che lei della tele non gliene frega proprio niente.
Insomma, Dan, anche lui è caduto nella trappola del Cosmo, ed è rimasto colpito
e affascinato da tutte le nuove teorie.
Perfetto, mi sono detta, mentre loro guardavano la quarta puntata e io me ne stavo in un angolo
della sala a lavorare a maglia: so cosa regalare a Dan per Natale. Gli ho preso
un libro, Physics for Poets, scritto per chi è affascinato ma non ha le basi
scientifiche. Un libro tira l’altro, adesso tornando a casa dall’ufficio, si
ascolta un libro di fisica, di cui ha anche la versione cartacea, così ascolta e poi rilegge per capire meglio i concetti.
La domanda ti piace il tuo libro è stata
perfetta: ha cominciato a raccontarmi della teoria delle stringhe, si chiama
proprio così, che ha apparentemente dato un senso a tutte le altre teorie precedenti
sull’universo. Dan mi ha raccontato che ci sono tante teorie
che propongono la possibilità di un’infinità di universi, e che siccome le possibilità di
combinare tutte le particelle di ogni universo non
sono infinite, si pensa, si teorizza anzi, che ci siano universi simili al
nostro. La mia risposta a tutto questo è: ok. Dico, a me non mi cambia la vita
sapere che da un’altra parte dell’infinito ci sia un universo simile al nostro:
la cosa mi sembra talmente enorme e comunque irraggiungibile, che il saperlo o
non saperlo non interferisce con le mie problematiche quotidiane. Mi fa più
gola l’oroscopo, per dire, che almeno cerca di indovinare il mio futuro, con
Mercurio allineato con Venere, che mi promette più successo in amore.
Cosciente della mia superficialità e ignoranza, condivido
comunque con Dan i miei dubbi sull’importanza di tante teorie, e lui mi ricorda
che Copernico era riuscito, con una scoperta del genere, a spostare il centro
dell’universo, e invece dell'uomo ci aveva messo il Sole, diminuendo così l’importanza del genere umano e
che dunque questo tipo di teorie hanno un impatto profondo anche sull’umanità.
Ha ragione, che stronza, ho pensato.
Poi ho fatto la domanda che fanno tutti
quelli che vogliono sapere se mister Spock aveva davvero le orecchie a punta:
ma secondo queste teorie, ci potrebbe essere vita su altri pianeti, in altri
universi? Mi risponde spiegandomi la diatriba che c’è tra gli esperti: c’è chi
pensa sia difficile, perché ci sono troppe cose che dovrebbero andare
esattamente come sono andate qui, come la distanza della Terra dal Sole, il
buco nero nel centro della nostra galassia meno forte degli altri buchi neri in
altre galassie e altre cose che non ho capito; altri invece pensano che sia
inevitabile e sono quasi certi della presenza di vita in altre parti di
questo infinito di cui facciamo parte.
Eccco, a me basta questo per partire per la tangente con le mie, di teorie. Come hanno risolto, quelli lì l’idea della
morte, per esempio, o dei dolori del cuore? Voglio dire, se come noi hanno
bisogno di accoppiarsi per procreare, avranno anche loro un modo per scegliere il proprio compagno. O no? E se il compagno non li vuole, se è già sposato, per
dire? Se è omosessuale? Mi chiedo, per esempio: le avranno anche loro le
malattie tipo il cancro: a che punto sono con la ricerca? Mi chiedo come possano
avere impostato le loro società, se c’è un alieno equivalente al nostro Marx,
che ha proposto sistemi economici che facilitano l’idea di uguaglianza sociale,
e ci saranno anche gli alieni fascisti e capitalisti che invece propongono una cosa diversa da quella.
E come affrontano, per esempio, la questione delle masse di emigrazione da una
parte all’altra del loro pianeta? Voglio dire, quando pensiamo a un’altra possibile presenza vitale,
ci vengono subito in mente degli esseri esclusivamente razionali, meccanici nei
movimenti e nel parlare. Delle creature simili a delle amebe, come se le amebe poi non avessero i loro bei problemi esistenziali. Ma invece io dico, avranno anche loro una parte
emotiva, una sociale, una coscienza politica, morale. La questione religiosa,
per esempio: come la mettiamo? E che musica ascoltano, come si metton su quando
vanno, che ne so, a un matrimonio, a un funerale, a ritirare la laurea. E la
letteratura? Che tipo di libri leggono, che film vanno a vedere al cinema?
Insomma, tutto ad un tratto le mie domande,
come gli universi, si propongono infinite. Dan sorride di queste mie curiosità, e
intanto gira a sinistra verso la strada non asfaltata che porta alla nostra
casetta tutta di legno nel bosco pieno di neve. Presto accenderemo il camino,
stapperemo una bottiglia di rosso e la nostra vita andrà avanti così.
Senza tante balle.
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