Stanze di vita quotidiana
Il divano nero di pelle è contro la parete con i mattoni a
vista. Ormai è sgualcito: sono i quattro anni di Lola, il boxer rovina tutto che
avevo implorato di prendere, perché io ai boxer ci ho sempre voluto bene. Si,
ma poi ti rovinano il divano nero di pelle, quello che hai comprato sperando di averlo per decenni. E infatti
la Lola è bella spaparanzata proprio sul divano di pelle nera, quello contro la
parete con i mattoni a vista.
Le barbie di Emma sono invece una di fianco all’altra,
sedute come si sanno sedere le barbie: con le gambe larghe che si vedrebbero le
mutande se le avessero. Elizete, la signora brasiliana che viene a fare le
pulizie il martedì, le ha messe belle in ordine nell’angolino del sottoscala
che Emma si è conquistata l’anno scorso. In quest'angolo ci abbiamo messo una piccola libreria,
quadrata, dove ci tiene i suoi libri (quasi tutti sulle principesse), e i suoi
giochi: uno della principessa sul pisello e un gioco dell’oca di Winnie the
Pooh, che quando giochiamo perdo sempre. Sopra la libreria c’è il suo lettore
CD (rosa), le sue corone di plastica (rosa), e i suoi gioielli di plastica (rosa
anche quelli). Di solito ci stanno anche le barbie, sempre mezze vestite,
spettinate, mai curate come si dovrebbe, che a lei piace l’idea delle barbie ma
dopo due secondi si rompe le palle di giocare, e tira fuori la sua macchinina e
vuole fare le gare.
Oltre alla piccola libreria, nell’angolino sottoscala
abbiamo messo un tappetino rosso rotondo (IKEA) e lei ha anche rubato il
cuscinone viola (IKEA) che era in camera di Luca. Abbiamo appeso una lampada a
forma di mezzaluna (IKEA).
Sul leggìo del pianoforte invece c’è lo spartito di alcuni
pezzi di Shumann. Quello a pagina ventitre lo avevo studiato nel lontano
millenvecento novanta, e oggi, mentre la torta verde come quella che faceva mia
nonna era nel forno, ho riprovato a studiarlo. È solo una paginetta, niente di
impegnativo. L’unico diesis è il fa, che una nota sola è facile da ricordare.
Poi guardo altre pagine, e noto che molti dei fa sono diesis. Shumann aveva la
mania dei fa diesis. Cosa ci trovava poi di tanto figo nel fa diesis lo sa solo
lui.
Poi sono le due e venti e il mio cellulare squilla. È Sofia
che puntuale come un orologio svizzero mi chiama per dirmi che sta arrivando. I
love you, aggiunge sempre alla fine della telefonata.
Mi cimento su un altro fa diesis, sapendo però che tra
cinque minuti si chiude baracca e burattini, che arriva Sofia, e dopo un po’
anche Luca e subito dopo devo andare a prendere Emma al doposcuola. Finita la
pacchia, ed è pronta anche la torta verde.
Lola sente Sofia parlare coi suoi amici, e scatta dal divano
per andare sulla poltrona, anche lei di pelle nera, che è vicino alla finestra
e dà sulla strada. Scodinzola con quel moncherino di coda che le rimane. Sofia
entra trionfale “I’m home!”, annuncia con quel sorriso che si ritrova che io
neanche dopo sei anni di apparecchio. Andiamo in cucina, seguite da Lola, che
si vuole sempre sentire protagonista. Io mi faccio un caffé mentre lei mi
racconta del suo esperimento nel laboratorio di scienze: oggi ha scoperto che
la ghiaia trattiene l’acqua meglio della terra. Non si sa mai nella vita penso,
ma non lo dico, visto il suo cinque meno meno in pagella. Mi abbraccia.
Passano neanche cinque minuti e arriva la macchina che porta
Luca a casa. Prima esce Mary, trenta chili di sovrappeso di donna haitiana, che
insiste a mettersi la parrucca, ma la usa come se fosse un cappellino. Mi
accoglie con un sorriso dolce, e mi dà lo zainetto di Luca. Poi apre la
portiera e c’è lui: il mio mister Shmoo con la sua maglietta troppo corta di
maniche, le sue cuffie oversize, che gioca con il loro filo e sembra
assolutamente ignaro di quello che gli sta attorno. “ Come on Lulu”, dice Mary
prendedolo dolcemente da un braccio per aiutarlo a uscire. Finalmente alza la
testa, mi guarda e mi dice: “ Jailhouse now!”, che è il titolo della canzone
che ormai ascolta da cinque anni, costantemente. Mi viene incontro, gli faccio
aprire la porta di casa; lui la spalanca e si avvia velocemente (oddio, un
velocemente relativo…) di sopra, in camera sua.
“Hi Luca”, dice Sofia. Ma lui non sente o non fa cenno di
aver sentito. Sono sicura che è già mezz’ora che pensa: “quando arrivo a casa,
mi fiondo in camera mia e mi metto davanti al computer”. E invece no: lo
richiamo, gli chiedo di chiudere la porta di casa che aveva lasciato spalancata,
di vuotare lo zainetto, di metterlo al suo posto, di appendere la giacca, e di
andare a far pipì. “Help, please”, dice. Non ha ancora imparato a slacciarsi i
pantaloni. Ma a lui che gli frega. Piscia seduto, si alza e rimane con le
mutande alle ginocchia, nella vaghissima speranza che io lo aiuti. Non succede
mai, ma lui non si dà per vinto. Tira su la mercanzia e ripete “help please”:
non sa slacciare né allacciare. Mi bacia sulla bocca e mi dice “want to be alone,
close the door, I love you. Go downstairs”. Più chiaro di così si muore. Gli
ricordo che alle quattro e mezza arriva Sam, il suo terapista. Ok, mi dice,
come dire fuori dai maroni.
Scendendo le scale, sorrido al ricordo della mia conversazione
di ieri sera. Era venuta da noi la mia vicina, che Serena chiama Ho Chi Min per
via che è asiatica e severissima, per chiedermi un uovo. Siamo sulla porta e ci
mettiamo a parlare. Io, che a volte voglio fare la figa, le racconto del nostro
finesettimana in campagna. Le dico che mentre Emma vuole sempre giocare, Luca e
Sofia, che sono adolescenti, non vogliono far altro che stare in camera loro
davanti al computer. Facevo la figa perché sto parlando di Luca come di un
qualsiasi altro adolescente, fingendo che tutti i suoi handicap non offuschino
minimamente il fatto che in fondo è solo un adolescente. Per un secondo mi
sento dunque come se avessi un figlio normale. Mentre le dico sta roba, vedo che
lei guarda dietro alle mie spalle e fa una faccia un po’ imbarazzata. Mi giro e c’è
Luca completamente nudo con un’erezione promordiale e con le sue cuffie
oversize. Mi sarei sprofondata. Ho Chi Min mi guarda e mi sorride con un’aria
di pietà, prende il suo uovo di merda e dice, I have to go.
Che figura di merda, penso tra me e me, mentre mi giro in
tempo per vedere le natiche di Luca che si incamminano verso le scale. Si gira:
‘Jailhouse now’, mi dice come per ricordarmi che lui non è un adolscente
normale: ha quel qualcosa in più, erezione a parte. Adoro la sua completa
mancanza di pudore: “Here I am!” sembra dire con quel sorriso disarmante.
Cazzeggio al computer e poi di corsa a prendere Emma, che da
lontano, appena mi vede, comincia a chiedermi se può andare ai giardinetti col
suo amico. Certo, dico, assaporando già un’oretta gratis per fare quello che
vorrei, cioè quasi niente.
Mi accendo una siga, torno a casa, mi piazzo sulla poltrona
di pelle nera di fianco alla finestra che dà sula strada, gioco con l’idea di
dire a Lola di andare nella sua cuccia invece che stravaccarsi sul divano, ma
poi ci rinuncio.
E scrivo.
bello bello.. è che a noi a volte ci scappa di fare le fighe, un po' perchè fighe lo siamo davvero, to mò! baci alessandra
RispondiEliminac'è così tanta vita in questi tuoi post che è sempre un piacere leggerti. ormai lo faccio da mesi, sempre in silenzio. oggi mi è venuta voglia di dirtelo, tutto qui.
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