Invito








Quando Luca iniziò a frequentarla, cinque anni fa, c’erano solamente una trentina di studenti, ma oramai sono una cinquantina. Sono tutti autistici gravi, come mio figlio, e sono suddivisi in classi di cinque studenti e cinque o sei insegnanti. 

Nella scuola c’è una grande palestra, una mensa, una stanza trasformata in mini appartamento con tanto di letto, doccia, lavatrice, e armadietti della cucina, dove gli studenti imparano a vivere in modo più indipendente possibile, una stanza trasformata in ufficio, dove imparano a catalogare, a usare la copiatrice, la stampante e la pinzatrice e tante altre cose; una stanza per la fisioterapia e una per la terapia occupazionale.

Entrando nella scuola, ci si trova immediatamente in una dimesione non terrestre, con ritmi differenti, linguaggi differenti, sguardi e corpi differenti dal nostro quotidiano. Mi stupisce sempre vedere Luca nella sua scuola, la familiarità che ha con il posto e con gli insegnanti: come si muove da una stanza all’altra con naturalezza, dove il suo essere diverso diventa uguale a quello degli altri attorno a lui. Nel momento in cui varca la soglia di Crossroads, può finalmente sentirsi adeguato. Sorride, viene salutato dalle sue insegnanti, che lo capiscono e gli dicono, ‘Luca, gimme five!’.

La scelsi perché mi ero accorta da subito che gli insegnanti, i terapisti, la direttrice e il personale erano molto dedicati ai loro studenti, e soprattutto erano rispettosi nei loro confronti. Mi sembravano tutti felici di lavorare lì, ma felici davvero, fieri dei ragazzi e di quello che riuscivano a imparare.
Stamattina sono andata perché era il giorno della foto: quella di classe, e quella fatta ad ogni studente da solo, e il fotografo non aveva mai incontrato persone autistiche in vita sua, e aveva bisogno di qualcuno che lo aiutasse.

Ho pensato di dedicare questa mia ennesima esperienza a un po’ di gente, per esempio:
a chi si lamenta perché i figli non vanno bene in matematica
a chi non si occupa dei diritti degli handicappati perché tanto a loro non cambia niente
a chi prende la salute mentale per scontato
a chi non riesce a vedere la bellezza negli occhi di una persona diversa
a chi non ha idea di cosa ci sia al di fuori della propria cerchia
a chi non è soddisfatto di quello che ha
a chi ride dietro alle spalle delle persone handicappate
a chi va in chiesa la domenica e che poi non cede il posto sul tram
a chi vota a sinistra ma non si occupa dei diritti degli handicappati
a chi vota a destra perché si sente superiore
a chi si lamenta perché quest’estate è andato al mare solo dieci giorni
a chi dice mongoloide o ritardato
a chi dice che schifo quando vede persone handicappate, ne ha paura
a chi crede che siamo tutti trattati uguali
a chi è invidioso
a chi è furbetto
a chi è egoista
a chi dice, tanto a me non succederà mai una sfiga del genere
a chi pensa che non sia di sua competenza
a chi sottovaluta i propri figli
a chi non sa, o non vuole sapere.

Invito tutti voi, quando non pensate ai diritti per gli handicappati, a aiutare Peter, che ha diciassette anni, pesa 130 chili, non parla, si dà le sberle in faccia da solo, ha paura del flash, ha lo sgurado perso nel nulla e l’espressione inferocita di chi è intrappolato in un mondo fatto di profonda frustrazione per la sua assoluta incapacità di comunicare.

Invito tutti voi, quando prendete in giro qualcuno diverso da voi, ad abbracciare Elizabeth, che ha sedici anni e che piange, spaventata, e non riesce a sorridere davanti alla macchina fotografica, che si guarda attorno impietrita, si alza dallo sgabello e vi viene incontro e cerca le vostre mani da mettere sul suo viso per sentirsi rassicurata.

Invito tutti voi, quando date per scontato che i vostri figli sono sani, a cercare di spiegare a Matty, un ragazzo di diciassette anni, che se sta seduto per due minuti e sorride per un istante e non distrugge le luci del fotografo allora può vedere il video della Bella addormentata nel bosco per l’ennesima volta.

Vi invito, quando chiamate qualcuno mongoloide, a non piangere davanti a Kevin, che si mette le dita nelle orecchie per tapparsele, e chiude gli occhi per il terrore, e le sue guance diventano rosse di rabbia perché cerca di stare fermo ma non riesce, continua a dondolarsi avanti e indetro avanti e indietro fino a quando si butta per terra urlando come un pazzo e non vuole rialzarsi perché non capisce cosa gli sta succedendo attorno.

Ma soprattutto vi invito a provare la gioia che ho provato io quando questi e altri ragazzi riescono finalmente a sorridere, a stare fermi, qualcuno di loro addirittura a guardare nella direzione giusta: gli applusi gli ’high five!’, la fierezza che provo per ognuno di loro.

Vi invito, cari amici, a conoscere il coraggio e la forza di questi ragazzi, e di amarli anche di più degli altri, e di pensare anche a loro che stanno male veramente, che non possono comunicare, non possono vestirsi, lavarsi, fare l’amore, prepararsi un uovo sodo, fare una passeggata da soli, che non sono invitati a nessuna festa: vi invito a imparare da loro a vivere a testa alta, proprio come fanno loro, le loro mamme, i loro papà e i loro insegnanti.

Vi invito a imparare da loro l’umiltà del limite, l’orgoglio di raggiungere un risultato, la delicatezza furtiva di guardare gli altri negli occhi, e la dignità di alzarsi presto ogni mattina, prendere il pullmino, essere guardati in modo strano da tutti, e andare a Crossroads per cercare di imparare a lavarsi i denti, o dire ciao, o rispondere a chi ti chiede come ti chiami.

Vi invito, tutti voi, a passare un pomeriggio con Luca, perché lui, come i suoi compagni, ha dentro di sé una purezza che noi abbiamo perso quando da piccoli abbiamo detto la prima bugia.
Insomma, mi sento molto fortunata, ecco.



Commenti

  1. Sento il bisogno di lasciare una traccia del mio passaggio, anche se non so bene cosa dirti, o come dirtelo... Di fronte a questa tua testimonianza provo una certa vergogna...non mi riconosco in tutto ciò che hai scritto, ma in qualcosa si (anche io mi lamento e mi preoccupo perchè mio figlio non va bene in matematica...e nemmeno in storia, italiano, chimica, fisica....), ma la forza che traspare dal tuo scritto è di incredibile esempio per tutti noi e desidero ringraziarti per averla condivisa con noi.
    Passo di qui oggi per la prima volta, ma credo ritornerò
    Grazie

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  2. ho riletto tante volte queste stupende parole che non le dimentichero'. grazie mamma di Luca anch'io ritornero' ....

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  3. Allora lasciami aggiungere chi tutto questo non lo vive da genitore, ma da fratello:
    vi invito ad accettare di avere un fratello diverso e non capire il perchè;
    ad avere la paura per il futuro perchè non sai se ce la farai a emulare i sacrifici dei genitori;
    ad andare in giro e sentirsi diverso perchè hai un fratello diverso;
    a crescere vergognandoti di tuo fratello e, una volta cresciuto, a vergognarti della tua vergogna;
    a crescere sentendoti dire che siamo tutti uguali, ma tu, quando ti alzi e fai colazione non riesci a condividere questa affermazione;
    a crescere con tanti che ti ripetono che è un dono di Dio. Ma da bambino associ un concetto di bontà a Dio e quello che vedi non ti sembra tale;
    Tanti vanno in analisi per molto meno ( qualcuno per molto di più). Io provo a reprimere la rabbia da non accettazione della situazione. Ho accettato che diverso non per forza è peggio. A volte la normalità crea i mostri da te citati. E allora mi rifugio nel diverso.
    Ciao
    Antonio

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  4. Antonio,
    spero che il tuo sfogo ti abbia alleggerito, come ha alleggerito me scrivendo il mio. Congratulazioni per essere anche te parte di una cosa grande (con tutti i suoi belli e i suoi brutti). Poi tanto qui in America la terapista la passa l'assicurazione...
    Ti abbraccio,
    Marina

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