In questo momento per me
Finalmente un momento per
me.
Sono oramai giorni che
cerco disperatamente di essere di conforto a chi mi sta attorno, che cerco di
pesare le parole per esprimere punti di vista forti, difficili da dire e ancora
più difficili da ascoltare. È come il gioco ai giardinetti su cui si cerca di
bilanciarsi, uno da una parte e uno dall’altra, per andare su e giù, ma anche
per provare, insieme, a trovare il punto perfetto per stare sospesi in aria.
Dò supporto cercando di
mandar giù momenti ormai antichi di solitudini, di vuoti, di mancanza assoluta
di supporto per me, perché forse non sono mai stata brava a chiedere io una
mano, o forse perché la situazione era tale che una mano avrei dovuta riceverla
a priori. Dò supporto, forse, anche per far capire come il non darlo è
riservato soltanto a chi non vuol vedere, per fare apprezzare l'attimo di un abbraccio, per
far capire come si sta male senza. In fondo lo faccio anche per creare un
sottile senso di colpa, perché sono stronza, lo so. È uno dei mie lati migliori.
L’altro giorno io e Dan
abbiamo ricevuto una telefonata allrmante che chiedeva aiuto, supporto. Abbiamo
di fretta messo tutto in macchina, abbiamo fatto accomodare Emma sul suo seggiolino rosa e Luca di fianco a lei, con il suo Ipad che propone dal 2003 la stessa
canzone. I cani dietro, che Luca fa male a Lola e prima o poi lo morde davvero.
Luca ripete come una nenia la stessa parola: mettere, mettere, mettere,
mettere, mettere per quarantacinque minuti, mentre io e Dan cerchiamo di
trovare le parole da condividere per affrontare quest’ultima crisi di sua sorella, che ancora una
volta scongiura il nostro aiuto.
Mettere, mettere, mettere,
mettere.
“Luca, quiet!”, dico
sapendo che è assolutamente inutile. Intanto la solita canzone che sente dal
2003 sta ancora suonando. Mettere, mettere, mettere, mettere. Emma si è
addormentata, forse per autodifesa.
Siamo quasi arrivati, e mi
viene un pensiero, che condivido a voce alta: eccoci qui in macchina, con un figlio gravemente
handicappato che ci siamo da sempre gestiti da soli che ci sta facendo
diventare pazzi (mettere, mettere, mettere, mettere, mettere), ad accorrere per
aiutare chi non ha mai avuto nessun impulso di mettere da parte i suoi di “problemi” per venire da noi. Metto le virgolette, perché sono briciole confronto ai nostri, di problemi e se fosse una
gara avremmo già vinto sedici medaglie d’oro. Siamo noi ad avere
bisogno, da sedici anni. Concludo il mio pensiero dicendo a Dan: o siamo scemi
o siamo fighi, più bravi di tutti. “Siamo fighi”, dice Dan. Ci viene da
sorridere.
Passiamo una serata
difficile, a cercare di sciogliere nodi di anni, e prima di tornare a casa dove
ci aspetta Sofia (a un’ora e mezza di distanza) veniamo abbracciati e
ringraziati per essere stati così cari. Usciamo soddisfatti di aver potuto dare
una mano.
Come sono soddisfatta di
dare una mano alla mia famiglia in Italia che sta passando momenti difficili, momenti
che hanno bisogno di essere condivisi, discussi, che richiedono il supporto e l’impegno
di tutti per essere affrontati e risolti. Siamo in quattro sorelle a
parlarci, a stabilire, a dire la nostra, a proporre, a proporsi, tutte e
quattro con il cuore in mano a trattenere il respiro ancora una volta e sperare
che siano soltanto momenti difficili che preannunciano un futuro più stabile. Azzardo a dire sereno.
Ma adesso finalmente ho un
momento per me. Per riflettere non su quello che mi succede fuori ma dentro di
me, dentro la mia famiglia difficile: mi chiedo come mai questa settimana Luca si sia cagato addosso
nel letto tre volte, pisciato due. Io e Dan abbiamo interrotto serate con amici
per pulire la stanza piena di merda, e per far la doccia a Luca, coperto di
piscio e di merda fin sotto le unghie. I bucati si sprecano, il materasso ormai
quasi da buttare.
Poi i miei pensieri si spostano alla settimana prossima, quando ci sarà l’incontro più importante dell’anno con tutta l’equipe che si occupa di Luca:
credo che questa volta saremo in undici attorno al solito tavolo di legno
scuro. Il quadro lo conosco bene, ma ogni volta mi distrugge: gravemente
ritardato mentale, autistico, sindrome di Down, incapacità di parlare, di
essere indipendente. Difficoltà gravi nell’apprendimento, nella comunicazione,
nel relazionarsi agli altri; crisi ossessive. Poi si parlerà dei miglioramenti:
sa riconoscere le lettere, è più bravo a lavarsi i denti. Urrah per Luca. Andrò
nel solito bagno a vomitare, poi a lavarmi bene la bocca e disegnarmi col rossetto Revlon il solito sorriso prima di prendere la macchina e piangere per
tutti i venticinque minuti di viaggio da lì a casa. Sedici anni emmezzo di
Luca senza nessuno che molli tutto per venire a darmi una mano perché non ce la
faccio più, cominciano a pesarmi.
In questo momento per me
mi accorgo che tutto quello che dico alla mia famiglia a Milano, a quella di
Dan a un’ora e mezza da qui non è applicabile alla mia situazione, perché la
loro, difficile e penosa come è, è comunque temporanea. In qualche modo passerà,
perché sono difficoltà che non precludono un futuro senza futuro. Qualcosa
forse lascerà dei segni che verranno portati avanti anche a fatica. Ma in linea
di massima tutto ritornerà alla normalità che spetta loro.
A me no. Il nostro è un
problema cronico, nel senso che non andrà mai via. In un certo senso io sono già
nella normalità che loro sperano di raggiungere presto, soltanto che la mia è
fatta di solitudini e fatiche, perché anche le cose belle Luca le potrà
condividere conquistandosele con una fatica erculea. Niente gli è dato per
scontato. Niente. Lui deve imparare qualsiasi gesto, anche il più piccolo, anche
quello che per noi sembra spontaneo: soffiarsi il naso, pulirsi il culo,
mettersi le calze, pettinarsi. Sono anni che noi undici attorno al tavolo
gliele stiamo insegnando.
Ecco, in questo momento
per me ho voglia di farmi pena, di dirmi mi dispiace, di abbracciarmi,
consolarmi e coccolarmi.
In questo momento. Solo per me.
Marina, ti abbraccio. Sento di volerti molto bene. Penso che te lo meriti.
RispondiEliminaAlessandra
Cara marina se tu non fossi così distante verrei da te.ti porterei una delle mie borsine fatte all'uncinetto così x ridere un po'
RispondiEliminaCiao grande Donna ti abbraccio davvero con affetto
sei una gran donna.
RispondiEliminaun abbraccio
sergio
Leggerla è sempre emozionante, che emozionare oggi non è proprio una cosa semplice.
RispondiEliminaAlberto.
e quando capita di ritagliarsi questo benedetto momento, non ti capita, in automatico, di sentire la necessità di non esagerare con questo momento? di non prolungarlo, per paura di togliere qualcosa agli altri? perchè in realtà , quando vivi questi momenti ti senti strano, ti senti come un privilegiato. Lo so sembra assurdo, ma quando sei H24 ti sembra impossibile staccare e quando lo fai hai la sensazione che stai negando qualcosa agli altri, che stai togliendo qualcosa ( o qualcuno) agli altri.
RispondiEliminaEcco perchè non sempre riesci a goderti fino in fondo questi momenti. O almeno credi che sia così...Ma è bello sapere che tra una corsa e l'altra ci sono ancora degli spazi, seppur minimi, dove infilare la testa pochi minuti e provare a stare sottovuoto.