Welcome to America!
Ieri è stato un giorno
importante per gli Stati Uniti: l’inizio di altri quattro anni della presidenza
Obama, che per tanti è segno di speranza per un futuro migliore. Lo sperano soprattutto
i liberali, che finora sono rimasti abbastanza delusi da come il presidente
abbia non soltanto appoggiato, ma amplificato le metodologie imperialiste e
aggressive proposte da Bush: il tanto odiato e criticato Patriot Act, con i
suoi usi osceni di torture e di snobbismo nei confronti di leggi internazionali, è stato approvato da Obama. La sua guerra unilaterale con le
persone nel mondo considerate terroriste malgrado nessun tribunale abbia per
ora potuto accertarlo, i suoi bombardamenti del martedì mattina che fanno
centinaia di vittime.
Ci sono comunque speranze,
tra i liberali, per quanto riguarda la politica interna: si spera che Obama continui
la sua battaglia sulla sanità e sull’educazione, aspetti questi che finora
hanno lasciato gli Stati Uniti a migliaia di chilometri indietro rispetto alla
nostra Europa, che di problemi ne ha, ma almeno educa e guarisce anche chi non è
ricco.
Guardo con trepidazione l’arrivo
della famiglia reale americana: prima le due bimbe, che adesso sono diventate
ragazzine, belle come il sole, con i loro cappottini colorati e i loro sorrisi
quasi imbarazzati. Poi arriva Michele, e comincio a preoccuparmi. Ha cambiato
pettinatura, adesso ha i capelli lisci come una norvegese. Mi viene in mente una
frase di Malcom X: diceva che l’uomo nero è talmente succube dell’uomo bianco,
che pur di farsi accettare fa di tutto per assomigliargli. E infatti, diceva
Malcom, uomini e donne neri si rovinano i capelli, bruciandoli con varie pozioni
chimiche per lisciarseli: conk è il termine usato per questo processo. E eccola
li`, la First Lady, che tutti dicono rappresenti il black pride, che ti ricorda
che non tutti gli americani sono biondi, che questa è una società multirazziale.
Eccola, pronta ad ascoltare suo marito parlare di uguaglianza. Mi si stringe il
cuore. Ancora una volta avevi ragione tu, brother Malcom. Ecco, per chi di voi
parla inglese, come viene presentato il conking nella sua autobiografia:
“The conk, a popular
hairstyle that involves straightening out nappy hair with a host of caustic
chemicals, is an emblem of black self-denial. Blacks conk their hair in an
attempt to look more like white people, and their willingness to alter a
feature of their body violently underscores how much they want to conceal their
blackness. The conk is popular with rich and poor blacks alike, showing how
blacks of all classes experience self-hatred. Though Malcolm conks his hair
when he first moves to Boston, in prison he realizes how much mental energy he
has been wasting on trying to conform to an impossible image of white good
looks. Later, as an orator canvassing on the street, Malcolm criticizes
American blacks for trying to change their African features. He sees the conk
as one item in a long list, including faith in Christian religion and obsession
with white women, of counterproductive black imitations of white culture.”
Poi arriva lui. È
bellissimo: alto, elegante, concentrato. Sfoggia una serietà assolutamente consona
al momento, ma poi gli scappa un sorriso, che mostra denti perfetti,
bellissimi, e ci ricorda della sua umanità, che non riesce a nascondere l’emozione
del momento. È perfettamente dentro la parte di capo di una nazione
assolutamente unica, che fa un po’ paura per la sua grandiosità e per la sua
voglia di guidare il resto del mondo, in nome di una democrazia che diventa più importante a seconda della
quantità di olio grezzo che offre.
Canta il coro di Brooklyn,
canta James Taylor, che per me è come uno zio praticamente. E poi giura, sulla
bibbia di Martin Luther King. E lì le palle mi girano, come ai francesi quando
vinceva Bartali, perché, diciamocelo, del reverendo, che invece si occupava principalmente
di uguaglianza di classe e non di razza, ha solo la pelle. Obama dice: ‘we are
all equals’, ma sa benissimo che non è vero. Dice che tutti gli americani hanno
le stesse opportunità, lo dice giurando sulla bibbia di un uomo che ha perso la
vita per aver osato denunciare che dovrebbe essere così, ma non lo è. Non
succederà mai in un sistema capitalista, perché per esistere ha bisogno di una
classe proletaria. Obama lo sa bene: sono cose che si studiano il primo anno di
università.
Poi però lo sento parlare
di diritti per gay, per persone handicappate, per immigrati, uguaglianza tra
uomini e donne nel lavoro. E so bene che invece questa volta Obama non mi sta
raccontando frottole, so bene che ci crede sul serio. Sento poi le figure
religiose invitate alla cerimonia benedire uomini, donne, bianchi, neri,
eterosessuali e omosessuali, immigrati…
Certo, mi dico calmandomi,
non è che Obama possa tutto d’un tratto diventare un socialista: non è neanche
sua competenza iniziare una rivoluzione del genere. Però, per quello che può,
malgrado le cose orrende che insiste a fare, e le palle che ci fa credere, una
rivoluzione culturale l’ha fatta. Sta nel suo fare in modo semplice e ovvio un
discorso di uguaglianza (seppure tra persone appartenenti alla stessa classe
sociale), là dove solo qualche anno fa uguaglianza non esisteva. In Europa, che
per coerenza uso per confrontare sia il bene (tipo l’assistenza medica) che il
male (tipo l’omofobia) è ancora impensabile. Immaginate una figura religiosa italiana
che durante una cerimonia dell’importanza di quella di ieri, benedice i gay?
Gli immigrati? Sarebbe davvero un grosso passo avanti.
Finisce la cerimonia, gli
spettatori sventolano fieri la loro bandiera. Tanti, soprattutto anziani neri
che ancora non ci possono credere, si commuovono. Mi sento per un attimo proprio
cittadina di questo strano esperimento che è l’America, sento dentro di me le
sue enormi contraddizioni, i
motivi per cui vergognarsi e quelli per cui esser fiera. Dan mi sembra bel
contento, soddisfatto. È una soddisfazione contagiosa, lo ammetto.
non è che Michelle aveva solo voglia di cambiare? è pur sempre una donna ;-).. io vorrei tantissimo avere i capelli ricci e ogni tanto mi sono fatta la permanente, ma non c'è niente da fare, sono "liscia" dentro. magari però hai visto giusto, sono considerazioni che stando qui non si riesce a fare, bisognerebbe conoscere meglio la società e la storia americane. ciao alessandra
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