Madonna che silenzio c'è stasera
Le ho detto di lavarsi i
denti come se domani dovesse andare dal dentista, visto che con una certezza
matematica ho capito che è da ieri che i suoi denti, mezzi da latte e mezzi da
adulta, sono stati snobbati alla grande. Siamo poi andate di sopra, le ho letto
un libro, le ho cantato le sue tre canzoni preferite facendole il solletichino
sulla schiena, come piace a lei.
Scendo, e dico a Dan che
tocca a lui. Sono le dieci meno dieci e, da brava, penso che sia il momento
ideale per portare fuori i cani, così poi non ci penso più. Chiamo Lola, che è
sicuramente sdraiata sul mio letto, al secondo piano della nostra casa di
Cambridge. Oscar, invece, che ha 12 anni e l’artrite, lo si può trovare quasi
sempre in sala. Prendo i due guinzagli viola, dei sacchettini blu in caso dovessero
cagare, una sigaretta, e finalmente, la porta.
Sono sulla Prince street,
che è a senso unico, piccola e residenziale. Alla fine della strada c’è un
piccolo negozio gestito da pachistani. Lui è fuori a fumare. Gli passo davanti,
salutandolo, mentre imbocco la Magazine street, che invece è più larga e
porta: a destra, verso il fiume e dall’altra parte a Central square, uno dei
nodi nevralgici della città. Io vado verso il fiume, dopo aver rassicurato per l’ennesima
volta il pachistano che i cani non fanno niente. Per sicurezza, lui, come ogni
sera, si fionda nel negozio.
L’aria è fresca, il
venticello piacevole. Cammino scazzata, coi miei pantaloni neri che mi cadono e
che continuo a tirar su e la mia maglietta, nera, un po’ troppo scollata, come
sempre. Mi guardo intorno e mi accorgo di essere assolutamente da sola. Non c’è
neanche un ladro disgraziato che si aggira in modo sospetto. Non c’è neanche una coppia, con lui che freme per prenderle la mano o che spera di trovare il coraggio di mettersi davanti a lei, per bloccare il suo cammino,
e finalmente darle il bacio che sogna di darle da mercoledì scorso, quando non sa neanche lui come, ha trovato la forza di chiamarla per andare al cinema. Non c’è neanche un vicino
stanco, che torna a casa dopo aver passato la giornata a correre a destra e a
sinistra per far vedere alla moglie che anche lui si occupa di casa e bambini.
Passa una moto, che per noia cerco di guardare: non ci sono che Harley qui, e
vederne una diversa ringalluzzisce anche me, che di moto non ne so nulla. Ma,
ovviamente, è una Harley. Lola fa pipì, per cui mi
fermo sotto un albero. Finisce, e Oscar va subito ad annusarla, per pisciarci
sopra come dirle: sei mia. Passo la casa in vendita, che Emma pensava fosse la
casa bianca; passo la sinagoga, e mi accorgo che anche lì hanno messo quei cosi
di metallo per attaccarci le bici. Passano due in bici, ma non si conoscono. Io
invece passo col rosso senza neanche guardare, sicura al 99.7% che non è il mio
momento. Poi quello 0.3% me lo gioco: o la va o la spacca.
Decido, malgrado i
pantaloni che mi cadono, di fare un isolato in più del solito, anche perché
sento delle voci. Lui ha i capelli grigi lunghi tenuti a coda di cavallo, una camicia
bianca, è sovrappeso, proprio come lei, che invece ha i capelli corti che
dovrebbe decidersi di ritingere, che anche sotto la luce fioca del lampione
stanno maluccio. Fumano, ovviamente fuori, perché qui fumare in casa è talmente
vietato che supera anche qualsiasi idea di trasgressione. Faccio loro un cenno
con la testa, come dire, anche io son fuori, e per di più fumo. Siamo
praticamente amici del cuore. Loro invece non mi notano neanche: sono immersi
in una conversazione iniziata in casa prima di decidere di andar fuori a fumare.
Non che litighino, ma insomma, si capisce che non la pensano allo stesso modo.
Nel frattempo Lola deve
cagare: si mette nella posizione tipica dei cani che cagano, con quell’espressione di chi si vergogna. Aspetto che finisca, e cerco di guardare da un’altra
parte per questioni di privacy, poi prendo il mio sacchettino blu e tiro su.
Calduccia.
Alla fine dell’isolato
attraverso, ancora senza guardare: mi dico che se vengo messa sotto, almeno
creo un po’ di vita in questa città deserta. Ma invece niente, arrivo dall’altra
parte della strada senza neanche un graffietto e mi incammino verso casa. Magazine street è
bellissima, con le sue case di legno, il suo marciapiede di mattoni, i suoi
giardini. Passa la 47 e mi chiedo come mai in America gli autobus non abbiano
il numero anche dietro. Se uno è in ritardo, come fa a sapere che quello è l’autobus
giusto da rincorrere? Strani questi americani...
Mi tiro un’altra volta su
i pantaloni e, sempre scazzata, imbocco la Prince street. Apro la porta di casa
e anche la mia sala, come Magazine street, è vuota e silenziosa: Dan si sarà
addormentato con Emma, e Luca e Sofia sono in camera loro davanti al computer.
Tolgo i guinzagli ai cani, li appendo al gancio attaccato al muro dietro la porta e vado a lavarmi le mani. Mi verso un bicchiere di
bourbon.
E scrivo.
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