Room 319
Sono anni che cerco
un’indipendenza accettabile all’interno di una famiglia complessa come la mia,
con Luca e i suoi diecimila bisogni, e le ragazze. E Dan, che giustamente vuole
la sua parte di me.
Ho rotto le palle fino a
quando sono riuscita a trovare un posticino a Chalrestown, una pittoresca zona
di Boston che sembra si sia fermata agli anni della guerra d’Indipendenza
americana: 40 Warren Street, room 319. Venti minuti di bici da casa mia, tutta
pista ciclabile e parchi. Solo un ponte da attraversare, appena rifatto per noi
ciclisti. Prezzo altino, ma sempre meno che tornare in terapia. Per cui eccomi
la notte prima a rigirarmi nel letto e pensare a come avrei riempito questo
ufficio: le idee che mi sarebbero venute, le cose che avrei scritto, le mille difficoltà,
le sconfitte e chissà, magari anche qualche soddisfazione. Certo è che per me è
un passo grosso, importante, mi dico nel buio della stanza, mentre ascolto il
respiro calmo e profondo di Dan, sperando che mi rilassi e mi faccia
addormentare.
Il mio primo giorno
coincide con altri primi giorni: il primo giorno di liceo di Sofia, che arriva
in cucina alle sette vestita e truccata, e annuncia che non ha dormito tutta la
notte perché era agitata. Emma invece è già lavata e vestita dalle sei, e sveglia
dalle cinque, quando è venuta piangendo nel lettone dicendo che in un suo sogno
c’erano ben quattro incubi. Anche per lei è il primo giorno di scuola: prima
elementare.
Luca invece si è
presentato in camera nostra verso le cinque e un quarto, senza mutande ma con
la maglietta e l’iPad in mano. Ha acceso le luci e è venuto da me a dirmi, a
modo suo, che aveva per sbaglio cancellato i video che aveva trovato su Youtube
e che gli giravano le palle. Impastata di sonno, gli ho detto di spegnere la
luce, e dopo la quarta volta che faceva su e giù camera sua-camera nostra, mi
sono alzata e ho fatto quello che faccio da sempre quando lui non dorme: sono
andata con lui in camera sua, gli ho tolto l’iPad, gli ho fatto mettere le
mutande (!) e mi sono coricata nel letto con lui. Si è subito messo nella posizione tipica delle coccole, che sarebbe girato di lato verso di me, con le braccia
attorno al mio collo, mi ha dato un bacio e mi ha detto go away. Io ho fatto
finta di non sentire, e ho anche fatto finta di dormire. Lui è stato calmo per
un po’, ma dopo aver lottato per l’iPad, me ne sono andata. Anche per Luca oggi
è il primo giorno di scuola dopo le vacanze, e forse era agitato anche per
quello.
Era a quel punto ora di
alzarsi comunque. Dan aveva già fatto di tutto: si era preparato, aveva
preparato Luca per la scuola (doccia, colazione, pranzo da portare), aveva
fatto la cucina e portato fuori i cani, e stava smontando la scrivania che io
volevo portare nella stanza 319 di Warren street. Una scrivania importante, che
mi aveva regalato mio padre anni
fa. Mi ricordo che mi aveva vietato di entrare in camera mia fino a quando lui non
sarebbe tornato dal lavoro, e quando finalmente arrivò, aprimmo insieme la
porta di camera mia e la scrivania, avvolta da un fioccone rosso, troneggiava.
Mi ricordo la mia felicità, e la sua nel vedermi entusiasta.
Dan stava dunque smontando
le gambe della scrivania, e la stava mettendo nella mia macchina, assieme a una
poltroncina che era invece dei suoi genitori. Io poi avrei fatto un secondo viaggio
per prendere due lampade e un po’ di cose che voglio avere con me. Ho portato Sofia a scuola,
Dan invece ha aspettato il pulmino di Luca e poi ha portato Emma nella sua
nuova aula. Io che ho fatto in fretta, visto che Sofia non voleva che entrassi
con lei, sono riuscita a raggiungerli e a dare un bacio a Emma.
Ecco, adesso toccava me.
Dan, che è un grande uomo, e che avrebbe dovuto essere al suo ufficio ormai da
un’ora, mi ha aiutato a scaricare la macchina, ha rimontato la scrivania e mi
ha aiutato a metterla nel posto giusto della stanza. Poi mi ha stretto forte a lui
prima di andare, e mi ha detto: “I am so happy for you”.
Un grande uomo, dicevo.
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