A casa da sola
Va via il mio amico Paolo, va via mio cugino Fabio, mia mamma parte per la campagna e io rimango a casa da sola.
Sono seduta su una delle due poltroncine della grande cucina e ad un tratto si propone un silenzio quasi sinistro: non sento che il ticchettìo dell’orologio Ikea appeso al muro, il frigorifero che si ricarica. E basta. Credo che sia la prima volta da quando sono nata che passo una notte da sola in questo appartamento enorme, in cui sono cresciuta, e che è pieno di ricordi, di angoli, di fantasmi.
Mi vengono subito in mente i giochi che facevamo io e le mie sorelle da piccole. Il primo, quello che ci piaceva di più, è quello dei negozi. Renata, che aveva l’amica il cui padre era farmacista, faceva la farmacia, raccattava tutte le medicine e le metteva ordinatamente sul suo letto. Io, che avevo una cassettiera grande il cui secondo cassetto diventava ribaltina, facevo la banca. Ero ben organizzata: andavo alla banca all’angolo a prendere tutti quei tagliandi che i grandi dovevano sempre compilare con la biro attaccata alla catenella. Mi ricordo che pensavo sempre di non veder l’ora di diventare grande per poter compilare anche io quei fogli, che parevano tanto importanti. Beh, ne rubavo un po’, li mettevo bene in mostra così quando i miei clienti (Renata o Anna) venivano. Poi facevo i libretti degli assegni con la pinzatrice. Insomma, era tutto bello e pronto. Anna non ricordo cosa vendesse, in camera sua. Forse lei faceva solo la cliente. Oppure facevamo gli spettacolini, con le parrucche, i vestiti, i tacchi e i trucchi della mamma, e invitavamo gli spettatori (la mamma e il papà) dopo lunghe prove.
Mi vengono anche in mente le cene in tinello, quando eravamo piccole. Adesso il tinello è diventata la mia camera, con un bel letto matrimoniale, l’armadio che era dei nonni e uno specchio antico, sempre opaco. Ma quando eravamo piccole, in quella camera c’era il tavolo su cui mangiavamo la sera, c’era la credenza e poi due poltrone di pelle bianca e nera piazzate davanti alla televisione, dove noi abbiamo guardato Sandokan (tutte le puntate), la tragedia di Alfredino e Pinocchio, piangendo molto. Mi ricordo quelle cene: con il telefono che squillava e noi a fare a gara a rispondere, con mio padre che diceva dite che non ci sono, con mia madre anche lei che si alzava ogni due minuti a prendere questo e quello. Quante cene, quante volte che i miei ci dicevano che non potevamo più alzarci fino a quando il piatto era vuoto. Le volte che mia madre diceva è impossibile che non ti piacciano le patate e me le faceva mangiare, o mio padre che diceva non esiste che a una persona non piaccia la polenta, e me la faceva mangiare. Ma anche quante risate, quante finte interviste a mio papà, che faceva sempre dei personaggi bizzarri, e quanti racconti che facevamo parlando tutte insieme, quando ci chiedevano della nostra giornata.
La casa era sempre gonfia di amici che venivano a trovarci, c’era sempre una grande confusione che a me dava un senso di benessere: citofono, telefono, adulti che parlavano e ridevano in sala, ascensore su e giù. Credo che il rumore che queste pareti hanno assorbito negli ultimi 44 anni, e cioé da quando la famiglia Viola ha preso possesso di questo luogo, sia incommensurabile.
Questa casa, oltre a essere inzuppata di ricordi, ha un fantasma. Di questo siamo tutti certi: sono capitati due o tre episodi in passato che non possono essere spiegati altrimenti, come quando dal nulla è arrivato un pezzo di mattone fuori dalla porta della camera di mia madre. Era a casa da sola, a mangiare quando sentì un tonfo, si alzò a vedere da dove venisse e trovò appunto questo pezzo di mattoneper terra in corridoio. Le finestre erano tutte chiuse, e nulla è fatto di mattoni in casa nostra. Ancora non si capisce da dove fosse venuto. Oppure la volta che qualcuno telefonò qui, rispose un uomo e disse che no, mia madre (che vive da sola) era in America a trovarmi e sarebbe arrivata giovedì, informazione assolutamente vera. Quando quel giovedì la persona richiamò chiese a mia madre chi fosse la persona che aveva risposto al telefono: non c’era nessuno qui, rispose mia madre, è impossibile.
Ma non è impossibile, la presenza di qualcuno la si sente sempre qui dentro, a tal punto che io ho paura la notte ad alzarmi e andare a far pipì, anche se, immagino, sia un fantasma buono, altrimenti avrebbe già fatto delle robe brutte.
MA adesso esco. Vado a bermi un bicchiere di Montepulciano con il mio amico Sanfi, e poi a cena con Anna.
Mi vengono subito in mente i giochi che facevamo io e le mie sorelle da piccole. Il primo, quello che ci piaceva di più, è quello dei negozi. Renata, che aveva l’amica il cui padre era farmacista, faceva la farmacia, raccattava tutte le medicine e le metteva ordinatamente sul suo letto. Io, che avevo una cassettiera grande il cui secondo cassetto diventava ribaltina, facevo la banca. Ero ben organizzata: andavo alla banca all’angolo a prendere tutti quei tagliandi che i grandi dovevano sempre compilare con la biro attaccata alla catenella. Mi ricordo che pensavo sempre di non veder l’ora di diventare grande per poter compilare anche io quei fogli, che parevano tanto importanti. Beh, ne rubavo un po’, li mettevo bene in mostra così quando i miei clienti (Renata o Anna) venivano. Poi facevo i libretti degli assegni con la pinzatrice. Insomma, era tutto bello e pronto. Anna non ricordo cosa vendesse, in camera sua. Forse lei faceva solo la cliente. Oppure facevamo gli spettacolini, con le parrucche, i vestiti, i tacchi e i trucchi della mamma, e invitavamo gli spettatori (la mamma e il papà) dopo lunghe prove.
Mi vengono anche in mente le cene in tinello, quando eravamo piccole. Adesso il tinello è diventata la mia camera, con un bel letto matrimoniale, l’armadio che era dei nonni e uno specchio antico, sempre opaco. Ma quando eravamo piccole, in quella camera c’era il tavolo su cui mangiavamo la sera, c’era la credenza e poi due poltrone di pelle bianca e nera piazzate davanti alla televisione, dove noi abbiamo guardato Sandokan (tutte le puntate), la tragedia di Alfredino e Pinocchio, piangendo molto. Mi ricordo quelle cene: con il telefono che squillava e noi a fare a gara a rispondere, con mio padre che diceva dite che non ci sono, con mia madre anche lei che si alzava ogni due minuti a prendere questo e quello. Quante cene, quante volte che i miei ci dicevano che non potevamo più alzarci fino a quando il piatto era vuoto. Le volte che mia madre diceva è impossibile che non ti piacciano le patate e me le faceva mangiare, o mio padre che diceva non esiste che a una persona non piaccia la polenta, e me la faceva mangiare. Ma anche quante risate, quante finte interviste a mio papà, che faceva sempre dei personaggi bizzarri, e quanti racconti che facevamo parlando tutte insieme, quando ci chiedevano della nostra giornata.
La casa era sempre gonfia di amici che venivano a trovarci, c’era sempre una grande confusione che a me dava un senso di benessere: citofono, telefono, adulti che parlavano e ridevano in sala, ascensore su e giù. Credo che il rumore che queste pareti hanno assorbito negli ultimi 44 anni, e cioé da quando la famiglia Viola ha preso possesso di questo luogo, sia incommensurabile.
Questa casa, oltre a essere inzuppata di ricordi, ha un fantasma. Di questo siamo tutti certi: sono capitati due o tre episodi in passato che non possono essere spiegati altrimenti, come quando dal nulla è arrivato un pezzo di mattone fuori dalla porta della camera di mia madre. Era a casa da sola, a mangiare quando sentì un tonfo, si alzò a vedere da dove venisse e trovò appunto questo pezzo di mattoneper terra in corridoio. Le finestre erano tutte chiuse, e nulla è fatto di mattoni in casa nostra. Ancora non si capisce da dove fosse venuto. Oppure la volta che qualcuno telefonò qui, rispose un uomo e disse che no, mia madre (che vive da sola) era in America a trovarmi e sarebbe arrivata giovedì, informazione assolutamente vera. Quando quel giovedì la persona richiamò chiese a mia madre chi fosse la persona che aveva risposto al telefono: non c’era nessuno qui, rispose mia madre, è impossibile.
Ma non è impossibile, la presenza di qualcuno la si sente sempre qui dentro, a tal punto che io ho paura la notte ad alzarmi e andare a far pipì, anche se, immagino, sia un fantasma buono, altrimenti avrebbe già fatto delle robe brutte.
MA adesso esco. Vado a bermi un bicchiere di Montepulciano con il mio amico Sanfi, e poi a cena con Anna.
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