Quote Rosa a parte
Sapete cosa sono i Ted Talks? Non so se ci siano in Italia,
ma sono delle mini lezioni di vita, se si può dire così, fatte da personaggi di
successo che spiegano come loro hanno affrontato alcuni passaggi della loro
vita, sia privata che professionale. Sono sempre molto evocativi, e incoraggio
tutti voi ad ascoltarne qualcuno.
Oggi ho ascoltato 17 minuti di discorso di Anne-Marie Slaughter, la prima donna ad avere avuto un ruolo essenziale nel governo della
prima presidenza di Obama. Una donna di grande successo, docente di Harvard e
poi capo dipartimento della Princeton Unversity, quella di Einstein, per dire, anche
lì prima donna ad avere quel ruolo. Insomma, non esattamente come la signora Maria,
che era la signora che veniva ad aiutare mia mamma nelle pulizie e che di
lavoro aveva fatto solo la mondina, da quando aveva otto anni.
Racconta, la professoressa Slaughter, che alla fine del suo primo
mandato le era stato proposto di continuare a lavorare a Washington, ma che ha
deciso di non accettare la posizione perché non voleva perdersi altri anni lontana
dai due figli adolescenti. Poi spiega come sia arrivata a questa decisione: ha
rivalutato l’ideologia femminista che valorizza l’uguaglianza dei generi
femminili e maschili misurando soltanto il successo economico e la posizione di
potere.
Ci spiega che ci sono due fattori essenziali nella vita di
una famiglia: quello economico e quello della conduzione famigliare, e cioé
trasformare i soldi che si guadagnano in strumenti di successo all’interno
della casa. Aggiunge che i due compiti sono equamente importanti, visto che non
basta guadagnare tanto, ma bisogna anche sapere convertire il guadagno per il
sostentamento della famiglia. Conclude dicendo che il problema è che il lato
economico e il lato casalingo, per così dire, sono automaticamente divisi da
un’immagine maschile per quanto riguarda il primo e una femminile per quanto
riguarda il secondo, e che la soluzione è insegnare agli uomini che il lavoro
di mandare avanti una casa è nobile e necessario quanto una carriera. E forse
la professoressa ha anche ragione.
A me, personalmente, ha fatto salire la pressione. Forse la
professoressa è stanca di avere una carriera impegnativa e ha voglia di stare un
po’ più tranquilla? Forse la società le ha messo addosso un senso di colpa
perché il ruolo femminile alla fine è quello di seguire i figli, e se
cominciano ad andare male a scuola allora vuol dire che il motivo è che la
mamma non è abbastanza presente? Non so cosa abbia fatto scaturire in lei
queste conclusioni. Mi piacerebbe parlarne con lei. Ma non vada in giro a
distribuire sensi di colpa alle donne che con anni di lotte sono riuscite a
conquistarsi un’indipendenza economica e sociale.
Il fatto è che il lavoro della manutenzione famigliare è per
la maggior parte deletereo, frustrante, monotono e per nulla gratificante. Si,
è bello vedere i figli contenti di avere la mamma a casa, che prepara la cena,
che fa il bucato, che aiuta. Ma è una gratificazione solo loro: stare a casa
significa essere felici non per se stessi ma per aver dato felicità agli altri.
È una trappola, però, sotto un’infinità di punti di vista, ed infatti pochi
uomini decidono di stare a casa.
Cominciamo a ricordare il problema economico: lo sa, la
professoressa, che il lavoro di casa non viene retribuito, che vuol dire che
non ci sono contributi e che vuol dire che le donne hanno la pensione minima e
quindi sono la popolazione mondiale più povera al mondo proprio per questo?
Certo che lo sa, e sa anche perfettamente, da brava americana, che le casalinghe non hanno il diritto all'assistenza medica, né i soldi per curarsi privatamente. Sa, ovviamente, che il successo
nella nostra società è quindi un successo economico. Sa che nessuna casalinga ha mai
vinto il premio Nobel per l’economia, nessuna casalinga è mai stata considerata 'di successo' in nessuna area professionale o sociale del mondo, diciamo così, esterna alle quattro mura
di casa. Le casalinghe non vincono nulla, non vengono apprezzate né
economicamente, né socialmente: sono semplicemente prese per scontato. Perché
una persona dovrebbe scegliere di non avere retribuzione, di non avere
un’indipendenza economica, di non essere valorizzata come lavoratrice, di
essere messa dalla parte delle persone più povere al mondo? Nessuno spera che
le proprio figlie da grandi diventino casalinghe. Perché, se è un lavoro tanto
importante e tanto nobile?
Per non parlare degli aspetti della sanità mentale, del
ruolo sociale, dell’autostima. Lo sa, la professoressa, che un numero scandaloso di donne che sacrificano la loro vita per star dietro a figli,
casa, marito, cani e cose del genere e magari lavorano anche, fa uso di
antidepressivi? Una su quattro, dice uno degli ultimi studi fatti. Lo sa che la
maggior parte delle donne alcolizzate sono quelle che stanno a casa con i figli?
Mi chiedo come mai, visto che la professoressa lo considera un lavoro tanto
nobile e che invita gli uomini a mollare la loro carriera di CEO e diventare
casalinghi. È mai andata, la professoressa, a un galà party importante e
incontrato donne che per mestiere fanno le casalinghe? È umiliante ammetterlo
socialmente: lo dico perché lo so, dover dire “Io per lavoro sto a casa a
curare i figli”.
Certo è che ascoltare questo tipo di discorsi fatti da una
donna in carriera è come farsi convincere che quelli che cambiano vita e da
manager di successo diventano istruttori di yoga è cosa che tutti possono fare: è un
discorso completamente distaccato dalla realtà delle persone ’normali’, e anche
offensivo.
Dovrebbe chiedere a me, la proessoressa, cosa vuol dire non
essere retribuita economicamente o socialmente. Io a voler vedere un lavoro fisso
ce l’ho, oltre a quello della conduzione famigliare in generale, ed è quello di
assicurarmi che mio figlio severamente autistico sia sano, sia rispettato, sia
seguito come dovrebbe, sia pulito. Che i suoi diritii non siano calpestati. Un
lavoro difficilissimo, che richiede un’enorma capacità diplomatica, una
sensibilità fuori dalla norma, una pazienza che Giobbe avrebbe già dato le
dimissioni, una conscienza medica superiore alla norma, la dedizione di
studiare continuamente e stare al passo con le scoperte scientifiche, una
capacità di multi-tasking da manager, un pelo sullo stomaco disumano, una razionalità fuori dal comune e un equilibrio mentale strabiliante. Ed è un lavoro che faccio sette giorni su sette e che farò fino al momento della mia morte.
Eppure non ricevo una lira, eppure se voglio affittare un
ufficio per scrivere, anche quello lavoro non retribuito, per cui quasi un
hobby, da fare quando figli e bucato e spesa sono a posto, devo chiedere a mio
marito il permesso; se voglio fare un viaggio non posso (non ho vacanze), se
non fossi sposata non avrei assicurazione medica, non ho soldi in banca a mio
nome, non ho la libertà di mollare mio marito perché non ho un’indipendenza economica.
Sono, praticamente, una brava mamma, ma una donna in trappola.
Per cui alla professoressa, da donna a donna, dò un
consiglio, un nuovo lavoro: di venire a casa mia alla pari per un annetto, mentre io scrivo il
mio prossimo libro, che se posso farlo quando voglio, scrivo Guerra e Pace II:
la Rivincita.
Amen.
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