Era già tutto previsto
La vita con Luca è rigida e non lascia margine per errori o
dimenticanze, eppure il sistema che si costruisce attorno a lui deve essere
assolutamente flessibile, perché la sua mente è allo stesso tempo prevedibile e
imprevedibile. Prevedibile perché le sue reazioni sono conosciute a chi gli sta
attorno; imprevedibile perché non si sa come si comporterà in situazioni nuove
o anche famigliari, ma quando è frustrato. Di solito la frustrazione dipende
dall’energia nel posto dove si va (se c’è confusione per esempio), dall’impossibilità
da parte nostra di capire cosa vuole, o dall’impossibilità da parte sua di
usare il suo iPad, perché non c’è wifi o perché è scarico. Sono troppe le
varianti perché il sistema attorno a lui sia rigido, per questo dico che deve
essere anche flessibile.
Stasera, per esempio.
Per le prossime due settimane, io, Luca e Emma saremo a Becket,
nella nostra casa di campagna nel bel mezzo dei boschi. Quache tempo fa per la
nostra casetta tutta di legno abbiamo comprato un giradischi e da allora ci
piace ogni tanto andare nei negozi dell’usato alla ricerca degli LP che
ascoltavamo da ragazzi. Ce ne sono pochi di quelli a noi famigliari, ma per
fortuna la stragrande maggioranza di quelli che troviamo sono di jazz, che non
ascoltavamo da adolescenti ma che adesso apprezziamo immensamente. Abbiamo
trovato dischi di Miles Davis, Chet Baker Louis Armstrong, Duke Ellington, Ellla
Fitzgerald, e molti altri e li ascoltiamo sempre, commossi nel sentire il
rumore antico della puntina sul disco un po’ rigato.
Dan qualche mese fa è tornato a casa con un gioiello: Songs in the Key of Life, il doppio LP di
Stevie Wonder, che per anni è stata la nostra colonna sonora. Allora non lo
sapevamo, ma c’è una canzone, sul lato A del secondo disco, di cui Luca è
ossessionato. Si intitola Love is in Need
of Love Today. Bellissima.
Prima di continuare il mio racconto devo definire la parola ‘ossessionato’
per chi non conosce persone autistiche: vuol dire che si ascolta sempre quella
canzone, e più precisamente i primi due minuti. Poi Luca si agita e corre verso
il giradischi per riascoltarla. Solo che non è capace a usarlo,
per cui prende il fragile braccio su cui è attaccata la puntina, e lo strappa.
Una volta riaggiustato, si impara che dopo quei due minuti bisogna essere più
veloci di lui. Questo valzer può durare per ore, giorni, settimane. Ogni volta
che si ascolta un altro disco e lui non è distratto con altro, si fionda sul
giradischi e lo toglie. Allora si cerca per lui la canzone su Youtube, così che
almeno se la ascolta sul suo iPad. E l’ascolto a quel punto può durare per
anni, come è successo per Fly Me to the Moon, Roxanne, Sunny Side of Love,
Line’Em Up, per dirne qualcuna.
L’ossessione per la canzone di Stevie Wonder l’avevo quasi
dimenticata, ma è ritornata forte stasera, quando Emma, rientrata dal suo campo
estivo, come ogni giorno ha messo su un disco: ieri ha scelto Johnny Cash,
stasera una rarissima registrazione di Chet Baker a New York, che Dan si è
fatto spedire dal Giappone per regalarmelo a Natale. Luca, alle prime note di
una tromba stupefacente, si è fiondato sul giradischi, ha strappato il braccio,
ha buttato per terra il disco di Chet Baker e mi ha dato la copertina di quello
di Stevie. Io e Emma, in effetti, ci siamo illuse che, come ieri per Johnny
Cash, Luca fosse preso in altre faccende e non sentisse la nostra musica.
Poi a Luca è venuto in mente che può trovare la canzone su
iTunes. Apro una parentesi: Luca ha un vocabolario molto limitato, e più che
altro comunica a gesti e a volte è difficile capire esattamente cosa vuole. Chiusa
parentesi. Stasera mi ha dato il suo iPad, è andato su iTunes e mi ha detto: ‘brother,
brother’, che è come chiama la canzone di Stevie, il cui testo non ha niente a
che fare con la parola brother. Ho infatti impiegato qualche minuto a capire
che volesse dire Love is in
Need of Love Today.
Noi stavamo uscendo perché stasera mi è venuta l’idea
autolesionista di andare fuori a cena con i due ragazzi. Ho pensato, perfetto:
gli dico ‘first car, then iTunes’ e vedi come corre in macchina. Infatti ho ragione.
Ho pensato anche due cose, agli antipodi l'una dall'altra. La prima è che fosse un bene che
volesse quella canzone, perché vuol dire che al ristorante, dove qualche volta
si butta per terra urlando che vuole tornare in macchina, sarà felice e
distratto. Nello stesso istante ho pensato che invece non era una buona idea
scaricare la canzone la sera, perché vuol dire che neanche stanotte dorme per
l’agitazione. Come due notti fa, quando aveva trovato un video in russo di un cartone
animato americano e ha riso tutta la notte, tenendo sveglie sia me che Emma.
Siamo finalmente tutti e tre seduti in macchina. Luca è
agitatissimo. Mi dà per l’ennesima volta il suo iPad. Adesso cerco la canzone
con calma. iTunes mi annuncia che e già stata comprata, soltanto che non posso scaricarla sul suo iPad per questioni tecniche che non sto qui a dire, perché
la cosa importante della storia è che Luca si agita sempre di più. Gli tolgo
l’iPad e lo nascondo, pregando tutti i santi che ora che arriviamo al
ristorante, a 40 minuti da casa, si sia dimenticato. Anche se una persona
autistica non si dimentica. Mai.
Il viaggio in macchina è stranamente tranquillo: a Luca
piace mettere la testa e le braccia fuori dal finestrino, e tirare fuori la
lingua per assaggiare l’aria. Emma, stanca da una giornata di campo estivo, si
addormenta. Quaranta minuti di pace per me, che mi sto inconsciamente
preparando per una cena prevdibilmente disastrosa.
Scendiamo dalla macchina, Luca saltella felice. Forse mi
sono sbagliata, mi dico, e invece andrà tutto bene. Entriamo e il cameriere ci
vuole far sedere di fianco a una coppia che sta mangiando tranquilla. Io noto
un tavolo più isolato e chiedo di essere spostati per non disturbarli. No
problem. Nel momento esatto in cui ci sediamo, Luca si rimette alla carica,
questa volta con più rabbia, perché è passata già più di un’ora dalla sua
richiesta. Io gli spiego e gli rispiego, assolutamente inutilmente, che non si
può. Gli faccio vedere che la cerco ma non c’è. Però lui vede la copertina, che
riconosce, per cui non capisce quando gli dico che non c’è, perché non è che non
ci sia, è che non posso scaricarla. L’escalation è famigliare sia a me che a
Emma, che dice soltanto: ‘I feel tense’. Povera, ha sette anni e ne dimostra
molti di più. Luca gesticola freneticamente, borbotta a voce alta, si copre le
mani con le orecchie, ha gli occhi da pazzo. Brother! Brother! Brother!!!
Arriva la cameriera, capisce la situazione e mi dice: beer?
Si, bella grande, please. Poi ordiniamo, con Luca che va sempre più su di giri.
Quasi subito arriva una coppia, che si siede al tavolino di fianco a noi. Lui
ha la giacca e la cravatta, lei un bel vestitino e il trucco. Si capisce che
sono all’inizio della loro storia: lei è impacciata e lui, per tirarsela un po’,
comincia a parlare del suo viaggio a Londra. Tutta la loro atmosfera romantica viene sdrucciolata in
ventisei secondi. Lei mi guarda con compassione, lui tira fuori il telefonino e
controlla la sua email per venti minuti. Io continuo a scusarmi. Arriva il
mangiare, che a questo punto non riesco neanche a guardare: voglio solo la
birra. Emma mangia in silenzio, demoralizzata. Luca dice a voce alta no! no!
quando gli chiedo di mangiare e spinge il piatto, facendo cadere il bicchiere
pieno di latte al cioccolato.
Emma per la prima volta in vita sua finisce, in silenzio,
tutto quello che ha nel piatto e poi me lo fa vedere come dire: visto che
brava? A me viene su un magone, ma non è il momento giusto. Chiedo il conto,
che la cameriera porta velocissimamente, nella speranza che noi ci togliamo dai
piedi il più in fretta possibile, pago e ce ne andiamo. Uscendo, chiedo ancora scusa
alla signorina con il bel vestito e con il trucco. It’s ok, mi dice. Lui invece
abbassa lo sguardo. Sembra scocciato. Mi spiace per loro, mi spiace per
Emmalina, mi spiace per la cameriera, mi spiace per tutti.
Usciamo che l’unica lacrima scende veloce, senza quasi farsi
notare. Saliamo in macchina, in modo quasi meccanico. Luca apre il finestrino,
e metà del suo corpo è fuori. Emma sta zitta, e io anche.
Arriviamo a casa e Luca è iperagitato: gira freneticamente attrono
al tavolo della cucina con l’iPad in mano: brother! brother! BROTHER! Metto a
letto Emma, baciandola seimila volte, e poi scendo da Luca. Adesso mi tocca
affrontare lui.
Decido di fargli una doccia calda, per rilassarlo. Me lo
abbraccio, perché capisco che non è colpa sua, che lui sta peggio di me, di
Emma, della cameriera e della signorina con il trucco messi insieme. Mi guarda
e mi dice: mommy’s eyes. Automaticamente lo scuso di tutto. Lo spoglio nudo, lo
metto sotto l’acqua e lui cominica a giocare con le gocce che gli cadono dalle
dita. Lo lascio sotto l’acqua per tanto. Esce, con la pelle un po’ rossa.
Brother, mi dice. Perché una persona autistica non si dimentica. Mai.
Lo asciugo, lo metto sul water a far pipì, gli lavo i denti,
lo vesto con la setssa maglietta che ha da tre giorni, un’altra ossessione, che
adesso sembra quasi ridondante nominare, lo porto in camera sua. Brother, mi
dice dandomi l’iPad. Faccio finta di riprovare, per potergli dire ancora una
volta che non posso aiutarlo. Gli dò una pastiglia di melatonina in un pezzo di
banana, lo bacio e gli dico goodnight. Brother, mi risponde lui.
Chiudo la porta di camera sua. Sono le dieci e un quarto. Fuori
tuona, ma non c’entra con la storia. So perfettamente che passerò la notte in
bianco, con Luca che mi porterà il suo iPad e mi dirà brother! Perché una persona
autistica non si dimentica. Mai.
Quasi subito dopo Dan mi telefona e mi chiede come va.
So tutto, lo capisco fino in fondo...mancava solo una cosa ed era importante: qualcuno che ti abbracciasse forte, senza parlare. Solo un abbraccio
RispondiEliminaCara ogni parola é di troppo! Ti sono vicina.
RispondiEliminaUn abbraccio da lontano
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