You can close your eyes, tanto...
L’altra sera, per inaugurare la nostra nuova saletta che
chiamiamo Cinema Moretti (per mia madre, non per il grande Nanni), in cui Dan
ha messo uno schermo, il proiettore e seicentotredici casse, abbiamo visto un
documentario di una tristezza e di una lentezza massacranti. Si intitola
Nostalgia For the Light, di Patricio Guzmàn, un regista cileno che è rimasto
colpito dal parallelismo che esiste tra la ricerca del passato di archeologi,
la ricerca del passato di astronomi, e la ricerca dei resti delle vittime
uccise da Pinochet e buttate nelle fosse comuni, fatte a setaccio dai parenti.
Sembrano ricerche completamente diverse l’una dall’altra, eppure tutte e tre hanno in comune un luogo, e cioé l’immenso deserto di Atacama, il più secco del
mondo.
Mi è piaciuto più dopo, pensandoci, e forse dovrei rivederlo perché è
pieno di roba. Ma malgrado l’immensità desolata come il deserto di cose su cui ragionare, la cosa che mi
è rimasta più impressa e che non riesco a togliermi dalla mente è
l’affermazione di un astronomo intervistato dal regista. Dice che il presente
non esiste, e che esistono solamente il passato e il futuro. Nel momento esatto
in cui qualcosa accade, è già passata.
Sembra un concetto quasi astratto, o filosofico, che non ha
un impatto sul nostro quotidiano. Sembra quasi una questione di sintassi:
chiamalo presente, passato, Alfredo, cappuccino, ma è quella cosa lì, è il
tempo. Eppure a me ha colpito profondamente, perché l’idea che non ci sia il
presente distrugge tutto quello che io immagino quando dico oggi, adesso. E non
solo. Mi mette immediatamente malinconia, perché a me il passato fa quell’effetto; e mi mette
ansia, perché il futuro è sempre incerto, è come camminare con gli occhi
chiusi. E poi mi manca il presente, mi manca come l’aria. Perché se non c'è il presente, vuol dire che noi viviamo in bilico tra quello che siamo stati e quello che saremo. E che quello che siamo adesso non esiste.
Ieri sera era il mio turno per mettere a letto Emma. Siamo
andate di sopra, si è fermata in camera di Sofia a darle un bacio della
buonanotte, poi in camera di Luca a dare anche a lui un bacio; poi abbiamo
fatto un’altra rampa di scale e siamo arrivate in camera sua, che è piena di
cose belle, le sue. Ha le lucine a forma di fiorellini appese attorno al suo
armadio con dentro i suoi giochi, dove ha messo le barbie spettinate, nude e mangiucchiate
dal cane, una macchinina telecomandata, un robot che sputa dischetti, il suo
kit per fare gli esperimenti. Nella sua libreria ha invece tremila libri, e sul muro appena sopra la libreria ha la sua lavagnetta su cui si scrive:
good morning Emma!, oppure: Have a nice day, Emma! Sul comodino color carta da zucchero ha le sue collane e i suoi braccialetti. Sulla sua scrivania, invece, ha un libro che ha fatto lei, in cui scrive che il suo sogno è andare a Parigi
a fare la parrucchiera, e di fianco il suo esperimento, che consiste in un mancato
tentativo di fare il profumo alle fragole: le fragole dentro al suo becher di
plastica, marce, sono di agosto, ma dice che devono stare lì per l’essenza.
Vedremo.
Si è messa il pigiama, è andata a fare pipì (senza tra
l’altro tirare l’acqua), si è lavata i denti due volte perché si era
dimenticata di farlo la mattina, anche se le ho detto che così non vale. Io intanto ho scelto un libro da leggere, che
lei ha bocciato, scegliendone invece uno di Dr. Seuss, un genio assoluto. Si è
messa sotto le coperte, mentre Lola, il cane, si è accoccuiata anche lei sul
letto, ma in fondo.
Le ho letto il libro, ne abbiamo un po’ parlato, poi ho
spento la luce e mi ha chiesto di cantarle la sua canzone (You can close your eyes, di James Taylor) e di farle il solletichino sulla schiena, ma più in alto
che in basso, please. Mentre cantavo e solleticavo pensavo: ecco la prima
strofa che ho appena cantato fa già parte del passato. Anche questo mio pensiero è già
passato. Cercavo disperatamente di cogliere di sorpresa il presente, ma ogni
volta che ci provavo era già passato. Non c’è attimo fuggente che tenga: tutto è
già successo nel momento in cui succede, passa, finisce e non torna mai più.
Finita la canzone, che dura due minuti, mi sembrava fosse
passato un anno da quando venti minuti prima avevo detto a Emma che era ora di
andare a letto, e mi è venuta addosso una malinconia pazzesca per quel momento piccolo eppure passato. Anche quei gesti, quel mio guardare gli oggetti di Emma messi in giro
per la sua stanza, il suo mondo: era già tutto passato. E il passato non è che diventa
più passato se le cose sono successe tent’anni fa. Finisce tutto nello stesso
baule di cose già vissute. Solo che di quel momento lì del solletico io non
avrò ricordi, perché non mi sono concentrata per ricordarmeli, perché sono
insignificanti.
Insomma, questa cosa qui che il presente non esiste mi ha
destabilizzato mica da ridere, un po’ come un colpo di Stato piccolino dentro
la mia vita. Mi ha fatto venire in mente che come gli astronomi, come gli
archelogi, come tutti i parenti delle vittime, anch’io devo cominciare a
scavare per ritrovare il mio passato insignificante eppure essenziale. E che
devo dimenticarmi del presente, che pare sia una puttanata.
Insomma, un disastro.
Commenti
Posta un commento