Il castello di Luca
Ieri, finalmente, mi sono decisa a mettere un po’ di ordine in
camera di Luca.
Comprammo questa casa qualche mese prima della nascita di
Sofia, nel ’99, e le due camerette
vicino al bagno del primo piano furono assegnate una a Luca e una alla sua
sorellina. Le avevamo imbiancate con colori allegri: arancione, azzurro, rosso,
e le avevamo riempite dei loro giochi e delle loro cose. Nella camera che
allora era di Luca c’erano due armadi a muro, mentre in quella di Sofia ce
n’era uno, ma enorme.
Poi qualche mese dopo, Dan tornò a casa dall'ufficio e annunciò che gli
era stato offerto un posto di lavoro a New York, per cui di lì a breve la casa si riempì di
scatoloni, venne venduta quasi subito e di Cambridge, delle camerette colorate
e degli armadi non se ne parlò più.
Andammo a vivere a Brooklyn, dove comprammo
una casa proprio di fronte al parco. Anche lì Luca e Sofia furono sistemati in
camerette tutte colorate e piene di giochi e delle loro piccole cose. Ma il nostro vicino di casa, uno un po’ più giovane di noi
con cui eravamo diventati abbastanza amici, un giorno bussò alla porta e disse:
“Io da oggi divento pazzo, dovrete aver pazienza”. Io sorrisi per la sua
affermazione inaspettata, ma lui no. Salutò e se ne andò.
Aveva ragione: divenne completamente pazzo e cominciò a
trattar male sia noi che tutte le persone che venivano a trovarci: urlava come
un pazzo, minacciava di picchiare la povera signora che parcheggiava la sua
macchina nel nostro garage. aveva messo delle telecamere per controllare ogni nostro movimento. Una volta spaventò a morte la terapista di Luca,
che qualche giorno dopo si licenziò, lasciando Luca senza terapista e me senza
pazienza. Fece di tutto, fino a quando un giorno, otto anni dopo, guardando
fuori dalla finestra della sala, vidi lui che faceva un’ennesima scena pazzesca
a un amico. Mi rivolsi a Dan e gli dissi: “Torniamo a Cambridge?”
Avevo partorito Emma da qualche mese, e anche quella volta
la casa si riempì di scatoloni e tornammo a Cambridge. Chiamai le uniche
persone che avevo conosciuto anni prima, che erano stati i nostri vicini di
casa, a cui non avevo più pensato, e chiesi loro se sapessero di qualche casa in
vendita nella nostra vecchia zona. Mi dissero che la casa che noi avevamo
venduto anni fa stava per essere messa in vendita, per cui la ricomprammo,
perdendo una quantità vergognosa di soldi.
Eravamo finalmente ritornati a casa dopo la nostra parentesi
newyorkese. Sofia aveva otto anni, Luca undici e Emma qualche mese. La stanza
che era stata di Luca divenne di Sofia, e Luca lo mettemmo nell'altra, dove al posto dell’armadio grande c’erano ora delle mensole bianche lungo
tutta la parete. Imbiancammo di rosso una delle quattro pareti, e le altre di
verde.
Da allora, questa sua camera è diventata il suo castello, il
suo regno. Quando i genitori di Dan morirono, lui si appropriò della sedia a
dondolo che stava nella loro sala, che lui adorava. Poi gli comprammo un letto a una
piazza emmezza, una bella scrivania, due sedie (una per lui e una per la
terapista di turno) e riportammo da New York la cassettiera di quando era
piccolo. Le mensole bianche si sono riempite di un sacco di cose
accumulate negli anni. E ieri mi sono decisa a mettere un po’ di ordine.
Ho
trovato molte evidenze dei tentativi da parte di alcune delle terapiste più
ambiziose di insegnare a Luca a fare diverse cose: ci ho trovato un set di
posate (per insegnargli ad apparecchiare), dei puzzle di legno da bambini
piccoli, duemila fogli pieni di appunti per le terapiste successive. Ci sono
poi tante foto di Luca, in cui non ride mai, che fa diverse attività: scopa per
terra, è al computer, si rilassa sulla sedia a dondolo, mette via i vestiti
puliti, fa un puzzle. L’idea era quella di preparare una specie cartellone di attività che Luca avrebbe
dovuto scegliere di fare. Tentativo nobilissimo, per carità, ma con scarsissimi
risultati. Come poco riuscite sono state tantissime altre idee brillanti.
Su queste mensole bianche, però ci ho trovato anche tanto
Luca: la sua fotografia preferita di Bob Marley, quella di Sting, la scatola con la foto di Jim Croce, i bigliettini di
compleanno fatti dalle sue maestre, il suo album di fotografie, i suoi libri,
che sono per bambini piccoli, ma anche libri di fotografie dei Police o di Bob
Marley, le copertine dei suoi cd preferiti, le sue cuffie con il filo
mangiucchiato. Ci ho trovato il suo primo paio di occhiali, piccolissimo, come
era lui quando, a tre anni, ha cominciato a portarli. Ci ho trovato la sua
lampada che gira e fa le luci da discoteca, che gli piaceva moltissimo. Ci ho
trovato delle foto di lui che ride con Mister Dan, il suo primo insegnante alla
scuola dove va adesso; la sua scatola di foto che ha rubato negli anni e ha
messo via come fa uno scoiattolo con le bacche.
E come capita spesso, mi sono commossa nello scoprire il suo mondo, che
è un mondo silenzioso, un po’ solitario, ma ricchissimo di momenti davvero
speciali.
Come lui.
Ormai sono senza speranza: passo di qui tutti i giorni per vedere se c'è un nuovo post. E quando lo trovo è una festa: so che mi divertirò o mi commuoverò, o tutte e due le cose insieme. E' come passare a prendere un caffè e fare due chiacchiere. Grazie!
RispondiEliminaGrazie Renato!
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