Il pitbull che c'è in me non morirà mai
Meno 17 giorni da quando arriva la mamma, e meno 21 giorni da quando arrivano le sorelle: inizia così il conto alla rovescia di un sogno che non ho mai osato fare ma invece capita adesso, nel 2014, anno in
cui Luca compie diciotto anni. Maggiorenne, grande e grosso eppure eternamente
piccolo nel suo essere Luca. Solo Luca, la magia di chi è lui, è riuscito a far
strappare un sì da tutte e quattro, mollare lavoro, mariti, figli, fidanzati e
cani per venire qui a festeggiarlo. Luca e la mia leggendaria capacità di
rompere i coglioni.
Mia madre viene ogni anno per il compleanno del suo nipote
maggiore, a parte l'anno che è stata operata alla testa, ma quelle sono state forze maggiori. Le sorelle, invece, per il fatto che
sono tre, che lavorano e che i soldi sono quel che sono, insieme non sono mai
venute. Da sole pochissime volte.
Ero a Becket quest’estate e una mattina mi ha chiamato il
mio amico Richard per salutarmi. Chiacchierando mi fa: “oh, quest’anno Shmoo fa
18 anni, dobbiamo fare una bella festa!” Così mi ha fatto pensare che la festa
più bella sarebbe se ci fossero tutte le mie sorelle e mia madre. Ma era ovviamente
un pensiero assurdo: come pensare a come sarebbe bello se il papa, senza la maglietta e mostrando i pettorali villosi, venisse a
Becket a tagliare un po’ di legna.
L’ho buttata lì, in un messaggino al gruppo ‘sorelle’ su
Whatsapp. Poi più la buttavo lì più pensavo che forse, ma forse forse si
sarebbe potuto davvero fare. Ho cominciato a martellarle, tutte tre: proposte,
promesse, idee, pensate. Le mie sorelle dicevano cose del tipo: "Sarebbe bello!", "La mamma morirebbe!", "Dan ti molla se veniamo tutte lì". Cose così, simpatiche ma
senza impegno.
Alle tre del pomeriggio avevo già assegnato a ognuna di loro
un posto letto, avevo già organizzato i turni per chi fa la cena, chi la
cucina, quando andare a fare shopping, quando venire a Becket solo noi cinque.
Quella notte non sono riuscita a dormire.
Nella vita io ho rotto molto i coglioni, perché quando mi
metto in testa una cosa non mollo. È il modo con cui mi sono sposata, ho fatto
tre figli, ho convinto Dan a prendere un cane, poi un altro. Io sono come un
pitbull: non mollo la preda.
Insomma, per farla breve: arrivano il 14 novembre,
tra esattamente 21 giorni. La mamma arriva prima, il 7, che vuole essere qui
per il compleanno di Luca, e poi ripartono tutte e quattro il 21: 7,14, 21,
come la tabellina del sette. Perché in tutto, anche nella mia follia, c’è
sempre una logica.
È iniziato da qualche giorno il fermento pre-arrivo: Emma ha
mandato a sua nonna e alle sue tre zie (che conosce poco, tra l’altro) una letterina
in cui fa finta di voler sapere come stanno, ma in realtà chiede di portare "a lot of Kinder". Come dice Anna, Kinder è diventato lo sponsor ufficiale di questa mia
idea pazza. Luca, nel suo silenzio disabile quando gli si chiede chi viene, ha
imparato a fare la lista: nonna Franca, zia Nanna, Zia Sere e zia Tata. Termina
la sua lunga lista dicendo “Hi sweety!” che è quello che lui e mia mamma si
dicono quando si vedono. Sofia continua a chiedermi allora quando arrivano e se
sono agitata, cercando di nascondere dietro la sua innata timidezza la felicità
di averci tutte e cinque insieme. Dice che non vede l’ora di vedermi
illuminarmi di felicità ad averle tutte qui.
Dan ogni volta che cucina dice: “questo lo rifacciamo quando
ci sono tutte”; ogni volta che andiamo in un locale dice: “le dovresti portare
qui”; ogni volta che vediamo un film: “magari quando arrivano lo riguardiamo
tutti insieme”. Insomma, agitato anche lui. I miei amici tutti dicono che
quando arrivano vogliono venire a vedere l’effetto che fa a vederci tutte e
cinque insieme, come quando si va a vedere il presepio in Duomo, per dire.
Secondo me, se facciamo pagare un dollaro a visita, tiriamo su qualcosina per
il prossimo viaggio...
Io non credo di essere mai stata così agitata in vita mia:
ho già cambiato idea venti volte su dove metterle tutte a dormire (non è che ci
sia tutto quel posto); mi sono già fatta un milione di film solo sul momento in
cui tutte e tre le sorelle usciranno da quella porta automatica dell’aeroporto,
e io e la mamma lì ad aspettarle. Anticipo lo tsunami di adrenalina che mi
allagherà il cervello, il sangue e il cuore tutto. Quei secondi prima che
arrivino lì. Avranno già la ridarola, mi immagino. E chiederanno subito di
fumare.
Ma il fermento si comincia a sentire anche da là. La mamma
ha detto che ha già cominciato a mettere da parte le cose che vuole portare, e
che ha già comprato un po’ di kinder. Mi ha già chiesto tre volte se farà
freddo, come se io potessi adesso sapere che temperatura ci sarà tra 17 giorni.
Le sorelle hanno già chiesto di ordinare l’olio per il corpo che io porto
sempre quando vengo a Milano, quello che si trova solo nel negozio sulla
Atlantic Avenue a Brooklyn. Hanno cominciato a chiedere quanto costa l’iPhone
qui, che un amico lo vuole comprare, o se l’iPad costa meno che in Italia.
Scrive Anna su facebook:
“Dopo aver dichiarato che:
- non
ho gravi malattie infettive;
- non sono una terrorista e non lo
sono mai stata;
- non sono una spia;
- non ho mai trafficato con
sostanze illegali;
- non ho mai rapito minori;
- non sono mai stata espulsa dagli
Stati Uniti d'America;
- non sono mai stata deportata dai
nazisti;
- non sono mai stata vittima di
persecuzioni;
- non cerco lavoro negli Stati
Uniti d' America;
- non porto armi chimiche
con me,
il Presidente Obama, la
CIA, l'FBI, mi autorizzano ad andare a festeggiare i 18 anni di mio nipote
Luca.
Anche queste sono soddisfazioni.”
Come sempre ha ragione:
sono soddisfazioni.
Commenti
Posta un commento