Il generale Custer, il tacchino e Tom Waits









Come ogni terzo giovedì di novembre, nella vastità degli Stati Uniti dell’America le famiglie statunitensi comprano un tacchino grande come un bambino di tre mesi, fanno il puré, i fagiolini, il ripieno da mettere nel petto ormai vuoto del tacchino innocente e disgraziato, un’insalata. Aprono un paio di bottiglie di vino (californiane, francesi, italiane: lì dipende dalla famiglia), si siedono attorno a una tavola imbandita che neanche a Natale, e mangiano, ignari (pare) del fatto che il motivo per cui sono tutti insieme è perché il primo anno che gli europei (inglesi, credo) arrivarono su queste coste, scoprirono che faceva un freddo della madonna e in molti morirono, così il secondo anno i nativi, con le loro belle piume (cit.), dissero: “venite a cena da noi? Abbiamo delle coperte e abbiamo fatto il tacchino!”; loro accettarono e si salvarono dal freddo e dalla fame. Poi l’anno dopo li estinsero, gli inglesi divennero americani e la storia cambiò completamente.

Qualche famiglia, prima o dopo il pranzo (tra il caffé e la partita di football che gli uomini guardano mentre le donne puliscono la cucina), si chiede cosa, o chi, deve ringraziare. Di solito non ha nulla a che fare la sterminazioni di popoli oriundi in nome della democrazia o dell’indipendenza dal Regno Unito, come se ai nativi fregasse qualcosa della regina. Ringraziano (ma poi chi? dio? i nativi americani? il generale Custer?) per essere anche quest’anno tutti insieme, o di avere almeno la salute: cose così. Semplici.

Sei anni fa circa, per motivi prettamente burocratici (e cioé che se il mio marito americano schiatta, io posso ricevere dei soldi in eredità), mi feci prestare dalla signora delle pulizie, di origine brasiliana, il libricino che bisogna studiare per fare l’esame per la cittadinanza. Mi disse di non preoccuparmi, che lo avrei passato come niente: come sempre, aveva ragione. Ignari del fatto che anni prima mi ero laureata in sociologia presso il Brooklyn College, dove si spiegano le robe in inglese, mi chiesero di fare lo spelling della parola A-P-P-L-E, mi chiesero se era vero quello che si diceva in giro, e cioé che Lincoln aveva liberato gli schiavi (risposi, vantandomi di saperlo, di sì), e se in caso di conflitto mondiale sarei stata dalla parte degli “US of A”. A dire il vero, a quella domanda chiesi: "cosa devo rispondere?" e il tipo, un brav’uomo, disse: “devi dire di sì”, cosa che feci, vergognandomi un po’.

Tutto questo per dire che anch’io da brava americana, ho le mie belle cose per cui essere riconoscente. Ecco la lista:

-ringrazio Dan, i miei antenati e i suoi, perché con il dna di tutti sono venute fuori tre persone speciali, a modo loro,

-ringrazio ancora Dan, mio padre e Luca che sono i tre uomini più importanti della mia vita,

-ringrazio mia madre e le mie tre sorelle per aver attraversato l’oceano solo per abbracciare Luca, che quest’anno ne ha fatti diciotto,

-ringrazio Tom Waits e i suoi genitori per ave deciso di non guardare la televisione quella sera,

-ringrazio il signor Beppe, della scuola guida dietro casa mia a Milano, che, malgrado insistesse a tenere la sua mano molliccia sulla mia coscia destra mentre io cercavo di concentrarmi a mettere la freccia e girare a destra, mi ha insegnato a guidare e mi ha dato un senso di libertà che prima non avevo,

-ringrazio chi ha inventato: la lavastoviglie, la lavatrice, la pillola, lo champagne, il lavoro a maglia e le ferie estive, i maron glacé, le fughe di Liszt,

-Giorgio Terruzzi per essere più di un amico e meno di un fratello: ha scelto un equilibrio ideale; e Richard Bonanno per essere ancora, dopo venticinque, anni, una delle persone che mi fa più ridere. Al mondo.

-Charles Bukowski, Gianni Rodari, Dr. Seuss, Ernest Hemingway, Betty Friedan e Chaim Potok (ma non necessariamente nell’ ordine),

-Vasco Rossi, che mi ha fatto sognare e anche John McEnroe, che non mi ha ancora sposato, ma ormai lo perdono,

-Chet Baker quando canta “I Get Along Without You Very Well”,

-la Feltrinelli e la Rizzoli, case editrici strepitose ma matte abbastanza da pubblicare le mie parole,

-Enzo Jannacci per gli antibiotici da piccola e le emozioni da grande,

-il vino rosso,

-Annie Hall, Ricomincio da Tre, la trilogia sulla fuga di Salvatores, The Big Lebowsky, Love Story.

Ringrazio anche voi tutti, a meno che non abbiate già lanciato il computer dalla finestra, prima di finire di leggere le mie fesserie.

Come al tacchino, ai nativi americani e a Dan, vi voglio bene.






Commenti

  1. "...il motivo per cui sono tutti insieme è perché il primo anno che gli europei (inglesi, credo) arrivarono su queste coste, scoprirono che faceva un freddo della madonna e in molti morirono, così il secondo anno i nativi, con le loro belle piume (cit.), dissero: “venite a cena da noi? Abbiamo delle coperte e abbiamo fatto il tacchino!”; loro accettarono e si salvarono dal freddo e dalla fame. Poi l’anno dopo li estinsero, gli inglesi divennero americani e la storia cambiò completamente."
    Mai letto sintesi migliore del ringraziamento.
    Io mi sento di ringraziare me stessa perchè arrivo a fine giornata senza dar di matto (quasi sempre) e il mio comoagno che mi sopporta quando do di matto. Ecco.

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