Dal Maine con amore
Magica è anche la copertina del libro, che ritrae Luca
piccolino. Eravamo andati a fare una gita nel Maine, io con il mio pancione
pieno di Sofia, il mio seno pronto al latte; Dan un po’ ansioso all’idea di un
secondo figlio, ma felice, e Luca, come sempre ignaro di non essere più figlio
unico, come sempre contento. Era l’inizio dell’estate e dopo la colazione (la
stessa che Luca fa ancora adesso, sedici anni dopo), lo avevamo portato in
spiaggia, per accontentare la sua ossessione per l’acqua.
Il Maine ci impiega tanto a diventare caldo, e infatti
ricordo le braccia ruvide di brividi di Luca. Ricordo di aver giocato con
lui sulla spiaggia. Lui aveva cominciato da poco a capire come si fa a correre
e era, come d’altronde lo è adesso, incerto e un po’ goffo, e, come fa ancora
adesso in sala, correva in circolo agitando le sua braccia. Io facevo finta di
rincorrerlo, e lui rideva come un matto. Era (ma, cuore di mamma, credo lo sia
ancora adesso) di una bellezza struggente, con i suoi lineamenti morbidi, le
sue guance belle piene, i suoi occhialini rossi, le sue dita sempre un po’
tozze grazie a quel cromosomo in più che ho imparato a adorare.Dopo la sua corsettina, si è rivolto a Dan e con le sue due
manine ha fatto il segno di “more”, sicuramente per chiedere i goldfish, che sono
dei cracker che ai bimbi americani piacciono tanto quanto piace l’ovetto Kinder
a quelli italiani.
Lui ne è ancora golosissimo, e infatti una delle poche cose
che fa assolutamente da solo è andare in cucina, prendere una vaschetta del
budino, aprire l’armadio dove ci sono goldfish, e riempirsela fino al bordo. Lo
so perché come Pollicino lascia per terra in corridoio e sui gradini che portano
in camera sua, una scia di cracker. In quel preciso istante di “more” Dan lo ha
immortalato, catturando per sempre quella gita nel Maine. E adesso ritrovo
quell’istante di vita famigliare nella vetrina delle librerie di Milano, e
forse anche in altre città, e mi commuovo.
Poi mi ritrovo a pensare a come sia stato difficile la
settimana scorsa spiegare a Luca ormai diciottenne che sarei andata via per
poter spiegare agli altri di lui, del suo essere così brillantemente lui. Mi
sono sorti dei dubbi, ovviamente, su come lui avrebbe potuto reagire alla mia
decisione di scrivere di lui, se in un mondo diverso mi avrebbe dato
l’autorizzazione di farlo. La stessa domanda me la feci anche tre anni fa, quando
scrissi di mio papà, e feci mia una storia che certamente mi riguarda, ma che
espone lui. Quella volta lì la risposta mi arrivò mentre fissavo quella foto in
bianco e nero di lui in spiaggia (ecco come la vita poi ripropone le stesse
cose): ricordo di aver percepito nel suo sguardo un’approvazione, un “dai,
scrivi, vai, butta giù” che mi ha autorizzato ad aprire la diga che tratteneva ormai
da trent’anni quel fiume di ricordi.
Rispondo anche questa volta a me stessa dicendo che sì, Luca
me l’avrebbe sicuramente data l’autorizzazione, perché in fondo la nostra è una
storia molto più comune di quello che si pensa, ed è bello poter spiegare agli
altri che essere Luca è sì complesso, ma anche quasi magico. È bello poter mostrare
agli altri la fierezza con cui Luca, sempre ignaro di essere com’è, si porta in
giro, messaggero di una diversità possibile e completa. Credo fermamente che
sia davvero da condividere, se non altro per far scaldare il cuore a chi sta
ancora facendo il difficilissimo viaggio dell’accettazione.
Marina, ho appena finito il libro, l'ho divorato. Bellissimo e toccante. Luca, sia nella foto in copertina sia nella tua descrizione, è davvero adorabile. Sara' che anche io ho una dipendenza da baci, abbracci e patatine fritte..Complimenti, per tutto. Ilaria
RispondiEliminaCarissima Marina,
RispondiEliminaieri l'ho letto tutto d'un fiato ........ sono troppo felice di averti conosciuta (aperitivo a Lecco, sul ramo del lago di Como!! :)) e quanto vorrei conoscere tutta la famiglia!
un abbraccio stretto. Paola