Pena di morte, USA style
Ci sono tante cose che ancora mi fanno rabbrividire degli
Stati Uniti: il bigottismo, la violenza della polizia sulle minoranze, la
cultura delle armi, l’esagerato consumismo, la prepotenza imperiale moralista e militare sul
mondo. Ma quello che più di tutti mi fa rabbrividire è il fatto che esista
ancora la pena di morte. Nel paese occidentale più sviluppato, che tanto si
vanta di portare democrazia e giustizia sociale nel mondo, ancora ci sono
giudici che decidono se una persona può vivere o se deve morire.
Se ne parla moltissimo in questi giorni, soprattutto qui a
Boston, perché si è da poco concluso il processo a Dzhokhar Tsarnaev, il
dicannovenne sopravvissuto alla caccia all’uomo di tre anni fa, in seguito all’atto terroristico
alla maratona di Boston, dove sono morte tre persone (tra cui un bambino di 8
anni) e ne sono rimaste ferite 264.
Un atto, quello dei fratelli Tsarnaev, che ha sconvolto la
città e il mondo e ha per sempre gettato dell’ombra di tristezza all’evento più importante
dell’anno di Boston, che raccoglie migliaia di persone da tutto il mondo per
competere ma anche per stare insieme.
Ricordo bene quel giorno: la città era in
lockdown, che vuol dire che nessuno poteva uscire di casa. C'erano cecchini e poliziotti dappertutto, elicotteri, terrore, inseguimenti, spari. Avevamo noi tutti una sensazione di vulnerabilità e di ansia mai provata prima. Uno dei fratelli venne ammazzato durante una sparatoria, l’altro, il più
piccolo, venne trovato sotto una barca parcheggiata nel giardino di una casetta
dell’interland bostoniano. Era più morto che vivo, e passò mesi in ospedale,
prima di iniziare il processo, conclusosi, appunto qualche giorno fa.
Non ci sono dubbi che Dzhokhar sia colpevole, ovviamente,
per cui durante il processo i suoi legali hanno puntato tutte le loro carte sulla possibilità di risparmiargli la sedia elettrica. La decisione non è ancora stata fatta, e
tutti attendono il verdetto: ergastolo o morte.
Il crimine compiuto da Dzhokhar è federale, per cui prevede la possibilità di pena di morte, che invece nel Massahcussetts, Stato particolarmente
liberale rispetto ad altri, è stata abolita nel 1984. Devo dire che da italiana non posso
dimenticare che fu proprio qui, a Boston, che Sacco e Vanzetti vennero giustiziati, per
cui faccio fatica a scrollarmi di dosso l'odore di morte. E poi il 1984 è l’altro ieri, non so
come dire.
Sono solo 18 su 50 gli Stati che non giustiziano i propri carcerati, in 32 Stati invece invece vige tuttora, nel 2015. Non c’è stato ancora presidente americano che
durante la campagna eletorale abbia osato accennare all’abolizione federale
della pena di morte: non vincerebbe mai. Perché qui, in questo Paese che si considera tanto moderno, la mentalità è ancora quella di occhio per occhio, quella
del Far West. L'America è violenta anche nelle istituzioni: se ammazzi, ti ammazzano.
Mi sconvolge questo fatto, soprattutto per l’intrinseca
contraddizione alla retorica della libertà, della democrazia, dei diritti
umani, dei discorsi di denuncia rispetto ai soprusi sull’umanità. Li avrete
bene in mente, immagino, i politici americani che vanno alle Nazioni Unite e
denunciano il fatto che in alcuni paesi musulmani le donne non possono andare a
scuola, o che in India le bambine vengono stuprate, o che ci sono delle
ingiustizie atroci nel mondo. In nome del loro Paese, questi politici puntano
il loro dito contro di noi come dire: non si fa così. Poi vengono a casa e non
dicono niente contro la pena di morte.
Oggi su tutti i giornali si parla del’annuncio fatto dai
genitori del ragazzino ucciso tre anni fa alla Maratona, in cui chiedono che
non sia data la pena di morte a Tsarnaev. La notizia viene data con il tono di
“che bravi che si schierano contro”. Personalmente mi sconvolge molto di più il fatto che esista ancora la
possibilità della pena di morte, non che ci sia gente che si opponga.
Lunedì come ogni Patriot’s Day, qui a Boston si correrà la
maratona. Sarebbe patriottico correre verso una società senza sedie elettriche
o iniezioni letali, dico io.
Ma mi sa che la strada è molto più lunga e
faticosa.
qualche giorno fa ho visto su fb un filmatino: si vedeva una bimba di pochi mesi; qualcuno le aveva infilato le gambe in una gruccia per tenerle sollevate e con una bacchetta la picchiava sotto i piedi. La bimba piangeva disperata. Ti giuro che ho invocato la pena di morte e non me ne pento.
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