300-150-0 (correndo)
Siccome non capisco perché ci sia attaccato un tabù e non se ne debba parlare, io faccio il mio bel coming up e lo annuncio: prendo un anti depressivo da
anni. 300 MG di una sostanza che si chiama Wellbutrin, che va giù che è una
meraviglia con il mio succo della mattina. Ho deciso di prenderlo perché dopo la mia terza gravidanza
ho cominciato a soffrire di attacchi di panico e di depressione. È stato forse
il periodo più difficile degli ultimi anni.
Non so se qualcuno di voi ha mai
provato ad avere un attacco di panico: arriva senza preavviso, ed è come una
specie di scalmana che invece del calore ti riempie di un’ansia indescrivibile.
La certezza è quella di stare per morire, l’urgenza quella di chiamare
un’ambulanza e farsi ricoverare immediatamente. Può succedere, come dicevo, in
un qualsiasi momento come un fulmine a ciel sereno. Come un infarto.
Il primo attacco mi è venuto in una notte calda.
Dormivamo tutti nella nostra casa nuova, dopo aver affrontato non solo un parto
molto difficile (il terzo), conclusosi con un’irreparabile danno ai nervi della
spalla della piccola Emma, ma con ben due traslochi in meno di un mese. Ero
stanca morta, triste per il braccino di Emma, triste per aver dovuto lasciare
con tanto rancore la nostra casa di Brooklyn, triste per un sacco di altre cose.
Quella notte però, come dicevo, dormivamo tutti tranquilli: la nuova casa era già quasi in ordine e cominciavamo a sentirci a nostro agio anche nella nostra nuova
città, Cambridge.
Ad un certo punto mi sono svegliata di scatto perché avevo
la sensazione di non riuscire a respirare. Avevo un’ansia che mi faceva
scoppiare il cuore. Ho svegliato Dan e gli ho detto di chiamare immediatamente
l’ambulanza, stavo davvero morendo, di non fare troppe domande. Scalpitavo dal
terrore di doverlo lasciare solo con i tre bimbi, di creare così tanta
tristezza a mia madre e alle mie sorelle. Sapevo che sarebbe stata la mia
ultima notte da viva. Dan cercava di interrompere il mio delirio e di guardarmi
negli occhi, ma io non riuscivo a tenere lo sguardo fermo. Mi ha preso per mano
e mi ha detto: stai bene, non è successo niente. Mi ha poi riportato a letto e ha continuato a rassicurarmi.
Il giorno dopo ho preso la macchina e sono andata da sola al
pronto soccorso, dove mi hanno dato un calmante che mi ha a poco a poco sciolto
l’ansia e il terrore. Fu quello l’inizio di una sfilza di attacchi di panico
che mi assaliva al ritmo di uno alla settimana. Non riuscivo neanche a stare
a tavola, avevo paura di bere il vino, di fumare, di stare in compagnia e di stare da sola. Dopo
qualche tempo andai dalla dottoressa, che mi prescrisse Wellbutrin, da prendere
tutti i giorni e smettere di allattare la bimba. Cosa che feci.
L’ultimo attacco, forte, l’ho avuto due anni fa, mentre
insegnavo. Ho dovuto dire ai miei studenti che la lezione era finita, e sono
corsa a casa, presa completamente dal panico. Ho chiamato Dan dicendogli che
stavo avendo un infarto, gli ho detto di venire presto, che forse mi avrebbe
trovata morta sul lettone. Dal momento in cui si hanno i primi attacchi di panico si
vive nel terrore che ritornino, e questo terrore, che certamente non aiuta,
crea depressione, perché ci si sente malati, vulnerabili, e debolissimi. Ma
dopo un po’ si riescono a riconoscere i sintomi fin dall’inizio, e si riesce a
volte a fermarli.
Una cosa che fa molto bene per la depressione e l’ansia è
l’esercizio fisico. Ho deciso quindi di iscrivermi in palestra prima di
provare, dopo tanti anni, a non prendere più nulla. Ne ho parlato con la mia
dottoressa, che mi ha prescritto per un mese una dose di 150 MG e poi di provare a smettere.
Oggi ho cominciato con la dose dimezzata, e poi mi sono
fiondata sul tapis roulant della palestra. Ho corso per una quarantina di
minuti, ho sudato tantissimo e poi mi sono coricata nuda sulle piastrelle
piccole e bianche del bagno turco dietro gli spogliatoi. Ho pensato che dopo
tutta quella corsa, quell’affanno, non sono andata da nessuna parte, e mi ha
fatto pensare che a volte la vita è proprio così: uno si sbatte, fa, disfa, ma
poi si ritrova sempre allo stesso punto di partenza. Non so se fosse un
pensiero positivo o negativo.
Mi sono fatta una doccia calda, mi sono messa il mio
vestitino nuovo a righe blu e sono tornata a casa, quasi di buon umore,
malgrado il cielo scuro pieno di pioggia. Ho capito una bella cosa, però, e cioè che mi sento forte,
mi sento che forse ce la posso fare.
E, quasi per caso, il cielo adesso è
diventato tutto azzurro.
Ti capisco.
RispondiEliminaLa mia prima crisi di panico è arrivata poco dopo il terremoto dell'Irpinia. Credo ci fosse una relazione, io ero a Caserta e apparentemente convivevo con disinvoltura con tutte le scosse di assestamento, dormivo e vivevo senza fare una piega, ma mi sa che mi ero spaccata dentro. Le sensazioni sono quelle lì, la certezza di morire, la vulnerabilità, il senso del precario ogni minuto. Non mi ha mai filata un granché nessuno, il medico mi ha dato dell'EN, che non ho mai preso, e ho passato anni orrendi. Un po' di vertigini e di claustrofobia, insieme ad un generale terrore di un sacco di cose mi sono rimaste, ma ad un certo punto ho imparato che non dovevo combattere le crisi di panico, che come arrivavano se ne andavano, dovevo solo lasciarle scorrere. Pian piano sono riuscita a toglier loro potere e ormai da moltissimi anni non ne ho quasi più. Ipocondriaca lo ero anche prima, ma il buonumore è un buon antidoto. Ti capisco e ti abbraccio :). Sono Elisabetta, quella che condivide sempre su FB (e non mi ricordo più la password del mio account google....)
RispondiEliminaTabù, proprio così. Io non ho mai preso nulla, per paura. Paura, paura della paura. Ma leggere di chi ha coraggio aiuta a non sentirsi terribilmente smarriti.
RispondiEliminaTi leggo da tanto, molte volte avrei voluto commentare e ancora più volte mi sono commossa leggendo le tue parole.
un abbraccio
medusa