Storie di vita di una ventenne
Aspettavo di incontrare J (che sta per Julia, ma solo sua mamma la chiama così), la nostra vicina ventidueenne che di mestiere fa la meccanica di motociclette vintage (l’unica a Boston, pare) e che è piena di tatuaggi, per chiederle dove poter andare a farmi il mio. J non abita neanche più qui, in Prince street, ma passa quasi tutte le sere.
Qui ci abitano i suoi genitori, che sono persone
straordinarie, sempre pronte a far due chiacchierare, anche veloci. Di quelli
che quando ti vedono, attraversano la strada per un abbraccio. Sono circondati
sempre da amici, tutti che sembrano usciti da una riunione con gli Weather Underground: ex sesantottini, con
le barbe ormai bianche, ma ancora con quel luccichio negli occhi che non
riescono a nascondere.
Micheal, il papà, che di mestiere fa il chimico, ha una
trentina di motociclette, tutte vintage, alcune che si è costruito lui con suo
fratello. Di origine libanese, ha una camminata lenta ma sicura, che sai che
ti proteggerebbe in qualunque caso. Un sorriso aperto in mezzo a quella barba
ormai un po’ grigia. La moglie, Phyllis, invece è una signora sempre molto
elegante, che lavora in una scuola pubblica e canta nel coro. Non dice mai
parolacce, è, se mi permettete uno stereotipo, la classica mamma ebrea (‘how are the kids? do you need anything? are
you ok? be careful!), ma frequenta una sinagoga molto alternativa, dove la
rabbina, donna, predica cose rivoluzionarie. Micheal per il suo compleanno le
ha comprato una motocicletta, che lei sta imparando a guidare in un parcheggio
grande dietro a un supermercato. Non me la vedo molto bene, a dire il vero.
Poi c’è Sam, il fratello maggiore di J, che in Prince street
è il mio migliore amico. Credo che abbia meno di ventisei anni, ed è venuto da
me ogni volta che incontrava una ragazza, poi ogni volta che litigavano, e poi
che si mollavano. A chiedere consigli, come se potessi più di tanto: non
facevo che dirgli di averne tante di morose, che c’è sempre tempo per
sistemarsi e che poi finisce la festa. Dice che sono matta. È molto bello, Sam,
e mi presenta come “la sua vicina del cuore”. Condividiamo da anni sigarette,
segreti e abbracci. Qualche mese fa mi ha presentato la sua nuova fidanzata.
Simpatica, molto bella, in gamba. Si vede che lui è perso per lei, perché
poi quando lei si è girata, lui mi ha guardato come dire: ‘visto?’. Era tutto
fiero.
Qualche anno fa J e la sua compagna avevano deciso di fare
un figlio. Fatto il figlio (bellissimo), si sono lasciate. Il bimbo stava un po’
con J e un po’ con l’altra mamma, che sembrava non trattarlo bene. I nonni e Sam
se ne sono occupati tanto. Lo amano tutti.
Poco dopo J, che era a capo
di un clan di motociclisti di quelli che fanno paura a tutti con le barbe, le
moto enormi, le borchie e tutto l’ambaradam, fa un incidente in moto pazzesco,
che la relega alla sedia a rotelle per mesi. I suoi amici del clan vogliono
l’indirizzo della tipa che le è andata addosso per “parlare”, ma lei,
fortunatamente, li rimette subito in riga. Durante la sua lunga degenza in
ospedale, incontra persone in situazioni davvero drammatiche, tra cui un uomo
completamente sfigurato da un incendio, che viene da un paese arabo (non ricordo
quale). Non ha più il viso, non ha più le braccia, ha solo una gamba. Lei diventa
subito sua amica, ed è l’unica a parlare con lui con quel poco di arabo sentito
in casa da piccola, dai nonni paterni.
Cerca in tutti i modi di aiutarlo: stanno
finendo i soldi per le cure e poi verrà rispedito a casa, dove di lui non se
occuperà nessuno. J ne parla a tutti, comincia una campagna di fondi, fa tutto quello che può, ma purtroppo non riesce a tirar su molto. Ma dal punto di vista umano fa più lei che tutti i medici, i parenti e le persone attorno a lui, perché
lui, conciato com'è, fa molta impressione a tanta gente. Lei lo abbraccia. Lei lo accarezza. Lei
gli vuole bene. Lo fotografa e fa uno dei sui reportage, come quello fatto ai senzatetto in giro per Cambridge, di cui è anche amica.
Nel frattempo decide di aprire un garage in cui aggiusta
motociclette vintage, appunto. Anche lì si butta a capofitto nell’impresa, riuscendoci bene. Una volta avviata, ha un sacco di lavoro, ma decide di andare
a recuperare suo figlio, che nel frattempo è nelle mani sempre più pessime
dell’ex fidanzata. Per cui passa sei mesi da un tribunale all’altro e, dopo
aver delapidato tutti i suoi soldi e aver fatto mille debiti, finalmente ottiene l’affidamento al
cento per cento. Il bambino è con una mamma brava, attenta.
J, dicevo, ha ventidue anni.
La vedo la sera, piena di grasso, con i pantaloni neri
tenuti su con una cintura borchiata, la canottiera anche quella nera che mostra
i suoi mille tatuaggi, che insegna al suo piccolo ad andare in bicicletta.
“Mummy, look!’ grida lui fiero. E lei batte le mani, felice. Ogni tanto arriva
con la sua nuova fidanzata, bellissima anche lei, che ha accettato con affetto
il bimbo. Le vedo, loro due, indaffarate a fare le mamme. Mi fanno una
tenerezza indescrivibile.
C'è davvero gente che ha dentro tutta la forza della Natura. Sono quasi sempre donne, tra l'altro.
Beh, insomma, tutto questo per dire che ho un tatuaggio.
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