Sull'ultimo video di Jovanotti





Un fotomodello triste fa pipì nel bagno di un benzinaio. 

Scrolla, si avvicina al lavandino e comincia a tirare dei pugni sul muro. 

Si aggiusta i capelli, esce (senza essersi lavato le mani), si compra un paccheto di sigarette. 

Alla pompa un pick up truck che grida America! con dentro un bambino lo aspettano. 
Sulle ginocchia, il bimbo ha un secchiello di plastica blu coperto dal suo bel tappo giallo. È triste. 

Guarda il modello (suo papà) che esce dal negozietto. 

Il modello (suo papà) guarda lui con un’espressione di dolore. Tipo Mezzogiorno di Fuoco, per dire.

Inizia la musica.

Seconda scena: il nostro Lorenzo, vestito di rosso, suona la chitarra fuori da un motel che grida America!, poi lo si vede seduto sul letto (del motel, immagino): pantaloni a sigaretta, stivali da cowboy di pelle nera e di pelle di serpente disgraziato, tatuaggi bene in vista grazie anche alla canottiera bianca, che in America viene chiamata ‘the wife beater’ perché è spesso indossata da brutti ceffi, che menano le mogli. Chissà se Jovanotti la sapeva questa cosa qui, che come le altre grida America!, ma un’America che in Italia si vede poco. E se poi questa sua scelta  ha senso con il resto della storia.

Inizia così l’ultimo video di Jovanotti, giocato sul contrasto geniale tra il testo e la musica speranzosi e le immagini di un viaggio desolato su una strada lunga, dritta, che attraversa il deserto americano intrapreso da un padre modello ma disperato e alcolizzato e da suo figlio, futuro modello, che gioca con una cassetta, una pallina da baseball e che tiene sempre con sé il suo secchiello. La storia raccontata dal video non nascondo il dolore umano: ad un certo punto il modello che mette a letto il bimbo (nel motel, triste), ma lo molla lì e esce, si sgola una bottiglia di tequila, la lancia contro il muro, va a vedere uno spettacolo porno, poi torna nel motel e, nel parcheggio, vomita. Un papà con le sue belle lacune educative, certo, ma che si capisce che vuol bene al figlio. 

Si vedono poi lui (senza camicia) e il bimbo che aggiustano la macchina, che pisciano per strada e poi riprendono il viaggio. Molto machismo, insomma: testosterone a palate, oserei dire. Anzi, permettetemi di aprire una sana parentesi: le uniche immagini femminili di questo video sono di spogliarelliste e una foto sbiadita di una donna, bella ma morta. Dobbiamo lavorarci, con Jovanotti, su questa cosa qui dell'immagine femminile, e ricordargli (ma lui lo sa) che la donna può anche essere altro. Chiusa parentesi.

'Mexico, 20 Km', annuncia un cartello stradale. Padre e figlio arrivano a un precipizio sul mare, il bimbo passa al padre il secchiello, che lo apre. All’interno del coperchio la foto di loro due con una modella (la madre, immagino). Buttano le ceneri nel mare, scambiandosi degli sguardi intensi e pieni di malinconia. Così ho pianto che non erano neanche le nove del mattino.  

Dopo essermi asciugata le lacrime, ho pensato che quel cartello (più la canotta di Juovanotti, forse) riassume la parte del racconto che in tre minuti di video non ha tempo di far vedere: sarà mica che il padre (violento e alcolizzato) ha ucciso la madre e sta scappando in Messico? Forse sono paranoica e non è affatto così, ma diciamo che subito me lo ha fatto piacere molto meno. Il mio istinto materno mi ha fatto venir voglia di andare a salvare quel povero bimbo, con la madre morta (uccisa?) e il padre assassino, violento e alcolizzato, ma figo.

Intanto, mentre le immagini girano, Jovanotti suona, balla felice e ci ricorda che “è un’estate bellissima 
è finita di già
una moto che parte
una sonda su Marte
un ricordo che brucia ancora 
perché è pieno di vita
 è pieno di vita”. 

Il contrasto tra le immagini disperate e la gioia della canzone è molto potente: fa venire voglia di tornare indietro e rivedere, e riascoltare.

Lorenzo è sempre bello, anzi più bello ancora adesso che è più anzianotto. Mi piace molto come muove quelle sue gambette lunghe e magre magre, sempre vestite da fare invidia alla Fashon Week milanese. Bella la canzone, bello il video. Bello il contrasto. Struggente, oserei dire.

Ma come spesso mi capita quando vedo i video di Jovanotti, dico figo, ma poi ascolto la canzone sull’iPod e un po’ non regge. Ho sempre la sensazione che che per funzionare al cento per cento, le sue canzoni abbiano bisogno del supporto delle immagini come piacciono a lui: supersaturate del giallino antico, i bei vestiti, gli oggetti ricercati, il suo sorriso sexy e accattivante. Ha fatto molta strada, dai periodi dei paninari milanesi, con “Sei come la mia moto”, questo sì. 

Ma sono vecchietta, mi sa, perché dopo aver rivisto il bellissimo video e ascoltato la canzone un paio di volte mi sono venute in mente le canzoni ‘dei miei tempi’: Guccini, che non ha le gambe affusolate o gli stivali da cowboy; De André che stava seduto sul quella sedia, chitarra e sigaretta, e che loro canzoni si sentivano in radio ed erano suggestive già così, senza immagini.

Altri tempi. sicuramente.





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