Fantasmi
Allora, l’altro giorno ero con mia mamma in viale Argonne.
Stavamo tornando da non ricordo dove, quando squilla il suo nuovo iPhone, che
non sa ancora usare bene, e tra l’impacciato e la fierezza di sapere come fare,
risponde. È mia sorella Anna, che dice che Giacomo, suo figlio che lavora in
teatro, non aveva ancora finito di lavorare e che non sapeva a che ora sarebbe
rientrato. Un pour parler, insomma.
Ogni tanto Giacomo, quando fa molto tardi, viene a dormire da mia madre, perché Anna e i ragazzi abitano fuori Milano e lui non guida. Dunque io ho pensato subito che forse avrebbe
dormito da noi. Finiscono di parlare, commento della sua innata abilità a
gestire la tecnologia di questo secolo, e siamo quasi a casa.
Arriviamo, ceniamo, lei guarda religiosamente Un Posto Al Sole,
chiacchieriamo attorno al tavolo della cucina davanti a una spruzzatina di whiskey in
una tazzina del caffé, e ci diamo la buonanotte che sono forse le undici.
Io leggo fino all’una circa, poi spengo la luce senza
riuscire a dormire: mi giro e rigiro nel letto, con l’ansia di chi vorrebbe
dormire ma non gli viene. Penso alle cose più disparate: ai ragazzi, miei, a casa da
soli, alla mia pigrizia degli ultimi mesi, a cosa avrei dovuto fare l’indomani,
a come ho trovato bene sia la mamma che le sorelle. Non penso affatto a Giacomo, anche perché comunque ha le chiavi e se viene, viene e
basta.
Verso l’una emmezza (o forse addirittura le due) sento
l’ascensore arrivare al quarto piano, e cioé il nostro. Riconosco quel suono
benissimo: l’ascensore arriva direttamente in sala, ed è la nostra porta di
casa. Fa un singhiozzo diverso da quando arriva al terzo, molto più forte. Poi sento mettere le chiavi nella toppa, i due giri, il cigolìo della porta che si
apre, poi si chiude, i due giri di chiave finali. Sento il click
dell’interruttore e vedo la luce nel corridoietto davanti alla stanza dove
dorme Giacomo. Ah, è arrivato, poi, mi dico. Strano, però, perché di
solito se viene avvisa la mamma. Avrà fatto tardi e non avrà avuto tempo di
chiamarla, ho pensato. Intanto sento dei passi a piedi nudi sul parquet, un
altro click dell’interruttore (del bagno, immagino), lo scroscio dello
sciacquone dell’acqua. Penso: sicuro come l’oro che non ha tirato giù
l’asse. In fondo anche se è mio nipote, sempre uomo è. Click, si spegne la luce
del bagno. Dopo qualche minuto sento odore di sigaretta. L’ultima dopo una
giornata di lavoro, Strameritata. Mi alzo però per chiudere la porta della mia
camera perché non voglio dormire con il fumo, specie se non è il mio. Mi giro dall’altra parte, e finalmente, forse
tranquillizzata dal fatto che Giacomo sia arrivato sano e salvo a casa, mi
addormento.
“Marina, sono le nove. Devi alzarti. Il caffé è pronto e
adesso ti faccio la spremuta”. Ancora con gli occhi appiccicaticci e la voce
roca le dico: “Poi ieri sera è venuto Giacomo, l’ho sentito arrivare.” Mia
madre mi guarda come se le avessi detto che mollavo Dan per Richard Gere. “Ma
no! Non c’è”. Vai a vedere, le dico con il tono che si usa per parlare ai
coglioni.
Non c’era. Non c’era mia stato. Il letto era intatto come lo
aveva lasciato mia madre il giorno prima. L’asse del cesso giù. Ma soprattutto
mia madre aveva appena sentito Anna, che le aveva detto che poi la sera prima
Giacomo non aveva finito tardi ed era riuscita ad andare a prenderlo, che
avevano mangiato insieme e che stamattina lo aveva portato in teatro presto,
che iniziava alle nove.
Non è la prima volta che mi capita di essere a casa di mia
madre, nel mio lettone della stanza di fianco alla sua, e di sentire persone.
Sentirle proprio: vedere la luce accesa, vederla spegnersi, sentire passi,
frigo aprirsi, passi felpati e poi invece non c’è nessuno. Una volta ho anche
chiamato mia sorella alle tre di notte, convinta che ci fosse un ladro. È scesa
dal suo letto di corso Buenos Aires con i fottoni, ha preso la macchina ed è venuta, ma non c’era
nessuno neanche quella volta.
I casi sono due: o sono completamente pazza, o c’è qualcuno
che quando arrivo io prende possesso della casa, di notte, e poi se ne va. Mia
madre insiste che è mio padre, cosa che a dire il vero mi inquieta moltissimo.
Lui, dice mia madre accendendosi una sigaretta, non se ne è mai davvero andato.
E comunque, le rispondo, almeno l’asse del cesso ha imparato
a chiuderla. Anche queste sono soddisfazioni.
Bello questo racconto. Mi ha riportato indietro nel tempo, quando io Pupa e tuo padre frequentavamo viale Argonne.
RispondiEliminaCiao.Cristiana
Ciao Marina, questo racconto mi ricorda quando dormivo da mia nonna e avevo sempre la sensazione che ci fosse qualcun'altro oltre a noi due in quella casa. Il fatto di non aver conosciuto mio nonno mi faceva pensare che quella sensazione fosse dovuta alla sua costante presenza nella mente di mia nonna e sulle sue pareti. Ho condiviso il tuo articolo su "Adotta1blogger", un gruppo su FB. Se ti va sei invitata a dare un'occhiata e a iscriverti. Il link è qui: https://www.facebook.com/groups/adotta1blogger. Ciao!
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