il Gruppo






È morta la Franca Monti. Sono sconvolta. Assolutamente impietrita dal dolore. La Franca Monti era parte integrante del Gruppo, della mia vita. La più giovane, la più bella. Sempre vestita rigorosamente di nero (al massimo marrone), con dei gioielli d’argento strepitosi, i capelli neri lunghi tenuti con uno chignon per anni, la sua bicicletta, il suo sorriso che sembrava un’attice francese. ‘Le mamme sono sconvolte’, scrive mio cugino Fabio su whatsapp stamattina.

Faccio parte di un gruppo che si chiama “Il Gruppo” dal mio ultimo anno di asilo. Il Gruppo si era formato nella scuola elementare di via Mezzofanti, a Milano, quando alcuni genitori hanno cominciato a lamentarsi della precarietà dei servizi scolastici. Erano gli anni caldi, in cui si facevano i ciclostilati, i sit-in, le riunioni. Gli anni di impegno sociale, che hanno caratterizzato la vita in Italia, ma anche la vita nella mia famiglia. Il Gruppo parte da lì. Ne fanno parte 10 famiglie storiche: i Ferrari Bravo, i Monti, i Verri, i Meroni, i Prina, i Ciacci, i de Maglie, i Cecchini e noi Viola. Tutti con figli della stessa età. 

Le loro battaglie iniziarono con delle critiche abbastanza dure all’insegnante di Andrea Prina e di Chiara Monti, che per spiegare l’Italia si metteva in piedi davanti alla classe e usava il proprio corpo come cartina umana: “Questa è la Liguria” (toccandosi l’ascella destra), questo il Veneto (ascella sinistra), questa l’Emilia Romagna (le tette)”. I bambini ridevano come dei pazzi, ovviamente. Era una che faceva lo sgambetto ai ragazzini delle altre classi, durante le gare di Bandiera in cortile, per far vincere le sue ‘creature”. Era una che quando interrogava i suoi studenti davanti ai genitori, per far vedere che invece erano preparati, suggeriva. “Per esempio, Chiara: 3x4 quanto fa?” E la Chiara rispondeva: “Boh” “12! Hai visto che lo sai? Brava!”. I bambini non sapevano le tabelline e non sapevano leggere o scrivere, in compenso imparavano a ballare il tango e a suonare il pianoforte, perché lei aveva disegnato i tasti sulla cattedra.

Dopo le battaglie, tante, le famiglie si riunivano a casa di uno o dell’altro, soprattutto a ridere moltissimo. Tutti i Capodanni insieme, ma anche tante feste, tante cene. Sono stati insieme per tutte le fasi della vita: le separazioni, le nascite di nipotini, le malattie, le feste per i 70 anni di uno, dei 60 dell’altro, tutti i mille tam tam per ogni cosa da fare insieme.

Chi fa più ridere in assoluto è il Tony Prina, con la sua parlata milanese e quel sorroso lì. Sua moglie, la Marisa, dolcissima e spiritosissima, l’aveva incontrata in spiaggia quando erano ragazzi. Lei era in riva al mare e scavava la sabbia con le mani, e lui le chiese: “Cosa fai?” E lei rispose: “Cerco il senso della vita”. Genio.

Il Giorgio Ferrari Bravo è invece sempre stato l’organizzatore: per qualsiasi cosa da coordinare si va da lui, ancora adesso. Se gli dai in mano un evento da organizzare, dall’invasione della Polonia a un aperitivo con il gruppo, lui si fa avanti. La Giuli, sua moglie, è quella a cui chiedere cose più intellettuali, che lei era professoressa di italiano, tipo consigli per lezioni di recupero di latino o cose del genere. Poi c’è il Franco Meroni, forse il più sportivo, sempre sulle nuvole, e bellissimo, anche adesso che è anzianotto. L’Ambrogio Cecchini è quello da consultare per qualsiasi problema medico, e sua moglie, la Loredana, sempre di una eleganza che neanche Coco Chanel, la si chiama per questioni di architettura. Il Carlo Monti è quello con il sorriso più dolce, che ha sempre una parola bella per tutti e la Franca, la più giovane , la più bella. I Ciacci, Federico e Lucilla, invece sono andati a vivere in America anni fa, ma sono comunque rimasti sempre in contatto.

Negli anni ’70 alcune delle famiglie hanno comprato delle roulotte e per trent’anni hanno girato l’Italia e l’Europa. Noi no, che mio padre odiava quel tipo di vacanze. Potrei scrivere un libro intero sulle loro avventure, sulle loro battute, sui loro viaggi in carovane di roulotte.

Il Gruppo, insomma.

Un punto di riferimento che per me è stato sempre scontato, ovvio. Ricordo la mia sorpresa quando, parlando con amici, mi sono accorta che invece è proprio una cosa speciale avere quelli del Gruppo nella mia vita, non da tutti. Ogni volta che esco dal portone della via Sismondi a Milano, ne incontro uno, di quelli del Gruppo, che mi abbraccia, che mi chiede di raccontare dei ragazzi, di Dan. Sono venuti tutti, genitori e figli, alle mie presentazioni. Il Giorgio ne ha (ovviamente) organizzata una alla Cooperativa di via Lomellina, per il libro su mio papà. È stata di tutte le mille presentazioni fatte, la più bella in assoluto.

Noi figli del Gruppo siamo forse meno uniti dei nostri genitori, ma comunque sappiamo di esserci, ovviamente. I nostri genitori ci hanno insegnato a manterene, a modo nostro, questa rete di supporto, che so funziona tanto quanto quella dei ‘grandi’ (che poi sarebbero, appunto, i nostri genitori).

Poi otto anni fa è morto Marcello Meroni. Era di noi ‘figli’ il più grande, e noi da piccoli sentivamo molto la sua presenza quando stavamo insieme, perché lui era sempre molto protettivo nei nostri confronti. Una volta ha anche salvato la vita a mio cugino Fabio, che stava annegando. Non lo vedevo da anni, ma sapevo che c’era. La sua morte è stata una ferita che ha profondamente sconvolto tutti quanti, perché noi del Gruppo ci siamo sempre sentiti invincibili nel nostro essere parte di qualcosa di così importante, di così profondamente forte.

Poi oggi è morta la Franca. La più giovane, la più bella.

Sono distrutta. Ho sentito già un po’ di quelli del Gruppo per far sapere che ci sono anche io, anche se sono lontana.L’unica cosa che mi tranquillizza in questo momento orrendo è sapere che il Carlo, Cristiana, Valentina e Chiara non saranno lasciati soli. Mai.

Vi voglio bene.







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