Viola chi?
Quando mi sono sposata la prima volta avevo 22 anni.
Avevo deciso di seguire Dan negli Stati Uniti dopo un anno passato
insieme a Milano, disastroso in tutti i sensi. Non avevo né un visto né la più pallida idea di
cosa fare una volta sbarcata dall’altra parte dell’oceano. Fortunatamente, però,
avevo un po’ di soldi per cui
riuscii ad ottenere un visto da studentessa e frequentare una piccola università
nel New Jersey, vicino alla Rutgers University, che Dan aveva deciso di
frequentare per ottenere un dottorato in letteratura italiana.
Non mi sarei mai immaginata che Dan mi avrebbe voluto nella
sua vita, e infatti non mi ricordo neanche che lui me lo abbia mai chiesto. Gli
è stata imposta, la mia presenza. Da me, che ero follemente innamorata, di
quegli amori che squarciano il cuore, che divorano la dignità e che spingono a
fare follie.
Avevamo trovato un piccolo appartamento in una casa di legno
nel centro di un paesino, Highland Park. I nostri vicini, messicani, non
parlavano una parola d’inglese per cui non avevamo modo di comunicare.
Sentivamo però le litigate e le notti di sesso che passavano spensierati, poco
interessati come erano alla nostra presenza.
Io prendevo l’autobus tutte le mattine e andavo a seguire
corsi di grafica pubblicitaria, con le mie cartellette enormi contenenti
disegni e progetti vari. Dan invece prendeva la macchina per andare a seguire i
suoi corsi di cinema e letteratura. Una sera che il mio visto stava per
scadere, dopo aver tentato invano di convincere Dan a sposarmi, eravamo seduti
al tavolino della cucina e, ridendo come un pazzo, mi diede un anello che era
stato l’anello di fidanzamento di sua nonna. Per poco muoio.
La settimana dopo, era un venerdì, andammo a lezione come
tutti i venerdì e la sera ci incontrammo al comune di Highland Park per
sposarci. Poi, l’anno dopo, sposammo anche in Italia, con tanto di cerimonia e
pranzo con famiglia e amici.
Da quel venerdì io, sempre più innamorata, mi sono fatta
chiamare con il cognome di Dan, senza però cambiarlo mai ufficialmente. Sono
semplicemente diventata Marina Canale-Parola. Non avevo allora nessun documento
americano, per cui quando andai a farne uno, mi venne chiesto il mio nome e il
certificato di matrimonio, e mi diedero il documento senza voler sapere altro.
Name: Marina
Last Name: Canale-Parola
Anni e anni dopo, cioé dieci giorni fa, andai all’ufficio
anagrafe di Cambridge per richiedere che il mio nome tornasse ad essere Viola.
Non c’entra niente con l’amore, sempre solido e forte, che provo per Dan. Ma
semplicemente sono Marina Viola, e non proprietà di Dan. Agli schiavi, nel Sud
degli Stati Uniti, veniva dato il nome del loro padrone, così come le donne
prendono il nome del marito. Ecco, voglio riconquistarmi il mio, di nome. Una
questione di principio.
Entro nell’ufficio a chiedere come fare. L'impiegata mi fa: “Quando ha divorziato?” e spiego che non lo sono. Mi guarda
perplessa, poi mi dice: “Allora deve portare tre documenti: il suo certificato
di nascita, il certificato di matrimonio e una lettera di suo marito che le dà
il permesso di cambiare nome”.
Credevo di non aver capito bene, e me lo sono fatta
ripetere: una lettera di mio marito? “Sì”, dice lei, senza soffermarsi sulla mia espressione allibita. Poi
aggiunge: “Ma è sicura di aver cambiato nome ufficialmente?” No, le spiego
tutto: i miei vent’anni, la mia voglia d’amore, l’entusiasmo, il mio
cambiamento di nome fatto alla buona, da me. Dice che capita spesso così, che
le donne comincino a usare il nome del marito anche se ufficilamente non lo hanno,
e che è legalmente accettato in molti Stati. Mi spiega che però così non si
troverà mai l’inizio della matassa, e che quindi non c’è bisogno che io lo
cambi ufficialmente. “Basta che ricominci a farsi chiamare Viola e basta”. Le
dico che il mio passaporto americano dice Canale-Parola, per esempio. “Non
saprei”, risponde scocciata. Next!”, dice alla signora, sicuramente divorziata,
in coda dopo di me.
Sono caduta in una crisi di identità totale: chi sono io, veramente?
In America sono Marina Canale-Parola, e in Italia sono Marina Viola.
Pazzesco. Tutto questo per dire che sull’onda delle elezioni e della voglia di
yes we can, sto iniziando una campagna politica per cambiare le regole del
gioco: niente lettera del marito, niente cambiamenti di nomi.
Tanto, appunto, con l’amore non c’entra.
(Nella foto, scattata da Richard Bonanno, io e Dan che ci sposiamo. Quello in mezzo è il sindaco di Highland Park, che gentilmente posò la sua lattina di birra per celebrare il nostro amore)
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