Bolle
Stasera sono sola. Cioè, non proprio sola-sola: i ragazzi
sono tutti e tre in camera loro. Emma dorme ormai da più di un’ora, Sofia sta
probabilmente mandando messaggini a amici e fidanzati vari e Luca
sta ascoltando per la 29.359.237.597ttesima volta “Shed a Little Light” di
James Taylor, che è anche una bella canzone, per carità, tutta sull’amore
fraterno e su come Martin Luther King aveva ragione a dire che dovremmo volerci
tutti più bene. Voglio dire: come concetto è anche giusto, ma sinceramente ha
massacrato le palle a (quasi) tutti in famiglia. Anche i cani, quando la sentono,
cambiano stanza.
Sono sola nel senso che ho convinto Dan a uscire con un
amico. È rarissimo che io la sera rimanga a casa, nel senso di rimanere senza
di lui. E come tutte le cose rare, ogni volta che capita è una
sensazione nuova, che mi riempie di voglia di fare cose che non farei
normalmente, tipo andare nel mio studio, mettere la luce bassa, ascoltarmi
della musica figa e sorseggiarmi una birra. E inevitabilmente pensare, confrontare
due realtà che fanno entrambi parte di me. Sì, perché quando si mette su
famiglia (madonna, che termine orrendo!), si crea un’altra bolla di sapone,
diversa da quella in cui si è nati.
Le mie due famiglie, le mie due bolle, sono agli
antipodi l’una dall’altra: Dan ha un lavoro e degli orari ‘normali’, nel senso che torna a
casa sempre alla stessa ora, e sempre, ogni sera, facciamo le stesse cose: uno
di noi cucina (spesso lui, ma non sempre), l’altro apparecchia e accende una
candela da mettere sul tavolo e abbassa le luci e chiama i ragazzi e poi si
mangia tutti insieme. Ci si racconta delle cose belle della giornata, di quelle
meno belle, di quello che è capitato di strano, di quello che si spera accada
il giorno dopo. È bellissimo, quel momento della giornata, quando posso godermi
tutti e tre i miei ragazzi e posso entrare seppure per un attimo nella loro
vita. Anche Luca, che ogni sera, immancabilmente, ci dice di essere andato sul
tapis roulant (e spesso non è neanche vero): ha capito che quello è il momento
in cui si parla di quando non eravamo insieme. Fa una tenerezza infinita, il
mio bambino diciannovenne che cerca di dare anche lui un contributo, anche se lo fa solo perché
sa che se condivide qualcosa, si conquista il suo iPad. Lo so, è un po’ crudele. Ma è
l’unico modo per farlo stare con noi per più di dieci minuti.
Le due bolle, dicevo. L’altra che avevo era talmente diversa
che quasi è difficile da comparare. Tanto per cominciare mio padre non aveva un
lavoro e degli orari 'normali': spesso non era a casa cena, e se c’era diventavano lui e la sua
simpatia il centro della serata. Era un uomo quasi ignaro della sua potenza,
come un bambino che ha in mano una bomba a mano e non lo sa. Mia mamma
cucinava, sempre lei, e apparecchiava sempre lei. Poi ci sedevamo a tavola e, come
in tutte le famiglie di quel periodo, c’era una separazione marcata e chiara
tra i grandi e i piccoli (noi) e due mondi raramente combaciavano.
Ma le serate
che mi ricordo sono quelle senza mio padre: mia mamma, stanca ma presente, che ci serve una
pasta con il concentrato di pomodoro (non esagero) . Mia mamma me la ricordo
di una bellezza da togliere il fiato, e la sua era una presenza di una persona
che risolve tutti i problemi, anche quelli che sembrano impossibili. Mia mamma
era e continua ad essere il mio punto fermo, con lei non c’era niente di cui preoccuparsi. Poi
ogni tanto arrivava mio padre, che se l’abbracciava e la faceva ridere e
raccontava storie bizzarre. Spesso, altrimenti, lei era sola. Un po’ come me
stasera.
The Thrill Is Gone
(Chet Baker) è appena finita. Il mio iPad propone un Paolo Conte minore, e
credo di aver sentito la porta di casa, il ché vuol dire che la mia serata
solitaria è finita. Relativamente in fretta.
E comunque, come forse mia mamma allora, sono stata bene.
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