Sfogo di una notte di fine novembre
Chiedo scusa in anticipo se uso questo spazio nato per gioco anni fa e diventato pubblico, per lanciare un lunghissimo urlo di una rabbia quasi primordiale che mi rigurgita in bocca un dolore che trovo straziante e allo stesso tempo terribilmente noioso, addirittura imbarazzante.
Il fatto è che non posso neanche incazzarmi con nessuno in particolare. Mi rendo conto che ancora una volta non è colpa di nessuno se io mi trovo intrappolata in una vita che a volte mi sembra così complessa, solitaria e buia. In passato ho dato la colpa ai miei suoceri, poi agli amici, poi a Dan, poi al mondo, poi a ‘sto cazzo di ventunesimo cromosoma in più, impercettibile all’occhio umano eppure devastante. Poi al fatto che è umanamente difficile passare una vita a un oceano di distanza dalle uniche persone che potrebbero aiutarmi e incatenata in una famiglia bella ma estremamente complessa. È una realtà che a volte mi assale come un’onda anomala e che è difficile da gestire in modo tranquillo e razionale. Cioè, a volte ci riesco anche, ma poi basta una banalità per far cascare tutta la torre di carte da gioco costruita senza respirare per paura che crolli. Quindi scatta lo sfogo.
È da quando Luca ha quattro mesi che riceve terapia a casa. Lo so, siamo fortunatissimi ad avere i servizi che abbiamo, e infatti le mie lamentele sono addirittura goffe, ma siccome è uno sfogo, tralascio per un attimo la razionalità e volo via di pancia per dire che è da vent’anni e otto mesi che io sono intrappolata in casa, con Luca e le sue difficoltà e le sue terapiste brave o meno. Da quando ha compiuto tre anni e è stato obbligato a frequentare le scuole (private, perché quelle pubbliche non sapevano neanche come prenderlo) e mi sono finalmente conquistata le mattine, che ho usato prima per laurearmi, poi per fare altre due figlie e infine per scrivere. All’inizio il pulmino lo portava a casa all’una, poi alle due emmezza e adesso alle tre emmezza.
I miei pomeriggi invece sono ancora intrappolati. Non esiste al mondo che io possa uscire di casa dopo le tre del pomeriggio. Non mi è mai successo e mai più mi succederà, Luca non può essere lasciato a casa da solo con le terapiste, e questa è una regola categorica. Non solo: quando la terapista arriva, io devo essere partecipe del lavoro che fanno, devo cioè sedermi a tavolino per ‘intavolare una conversazione con Luca’ (cosa impossibile, come sappiamo), devo stare fuori dalla porta aperta del bagno quando gli fanno la doccia, per assicurarmi che non ci siano molestie sessuali (regola assurda, non mia ovviamente), devo cercare di far assaggiare cibi nuovi a Luca, devo stare chiusa in una camera e rispondere COME IN! quando gli insegnano a bussare e devo essere disponibile ogni volta che completa un esercizio senza sbagliare, perché come premio Luca vuole abbracciarmi. Tutto dolcissimo, figuriamoci. E tutto bellissimo, anche. Ripeto: abbiamo passato anni a combattere per ottenere tutti questi servizi. Ma ripeto anche che questo è uno sfogo e quindi posso dire che tutto ciò sarà anche bello ma è soprattutto un’enorme rottura di coglioni, è un tarpare le ali non soltanto a me, ma anche alle sue sorelle che non hanno mai potuto fare attività dopo scuola perché io non ho mai potuto accompagnarle da nessuna parte. Sofia, la mia guerriera indipendente da quando aveva due anni, aveva deciso di fare roller derby, uno sport peculiare ma molto bello, solo che gli allenamenti, che durano due ore emmezza, si fanno a una pista di pattinaggio a 40 minuti da casa. È riuscita, tutto da sola, a trovare genitori di altre ragazze che l’hanno sempre accompagnata durante la settimana, mentre Dan le accompagnava di sabato, rovinando (parola ingiusta, ma permettetemela) anche quasi tutti i nostri finesettimana. Non sono stronza: quando non è uno sfogo ma è, come dire, vita normale, mica faccio i capricci per questo, figuriamci. Anzi, sono contenta che Sofia prima e adesso Emma siano riuscite a sconfinare dalla mia prigione pomeridiana e a fare qualcosa di bello.
Fatto sta.
Fatto sta che sono ventun anni che io sono in trappola. E sono mesi che cerco di organizzare un finesettimana da sola con Dan. 72 ore di silenzio a Becket, io e lui. Che poi non facciamo nulla di particolare: andiamo a fare una passeggiata, andiamo a cena fuori, dopo cena Dan mi legge qualche capitolo di un libro mentre io lavoro a maglia. Sorseggiamo un bicchiere di rosso e chiacchieriamo. Nulla di trascendentale. Ma la vera figata è non avere orari. Solo quello. Allora: una volta è saltato perché le babysitter (ex terapiste di Luca, due perché si fanno il cambio il sabato pomeriggio, visto che devono dormire qui) non potevano, una volta perché pioveva, una volta perché Luca aveva l’influenza, poi è venuta mia madre (che non è in grado di stare da sola per due giorni con Luca, malgrado insiste che non sia vero), poi viene a trovarci Sofia dal college, poi arrivano i nostri amici da Brooklyn a trovarci.
Questa volta invece ci sembrava tutto a posto: Hillary e Ariel hanno detto di essere libere, e sono sicura che qualcuno dei genitori del cazzo di roller derby mi può sostituire: io l’ho fatto per loro la settimana scorsa! Spiego in un messaggio un po’ strappalacrime che finalmente abbiamo tutto a posto e imploro una sostituzione. Non dico che sono mesi che provo a organizzare una fuga e non dico neanche che per noi è un evento straordinario riuscire ad andare via da soli. Non dico che ho un figlio prepotentemente disabile e incapace di fare tutto, dal pulirsi il culo all’asciugarsi dopo la doccia. Non dico, per una sorta di orgoglio, che forse loro non lo sanno, ma io sono in trappola da ventun anni, che mi manca il respiro, mi mancano le forze, che mi servono 72 ore per ossigenarmi, che se dicono di no io non ce la faccio. Niente, non dico niente di tutto questo, sperando che comunque qualcosina trapeli dalla mia richiesta. Dopo tre minuti PING, arriva un messaggio: nessuno degli altri genitori può aiutarmi.
In fondo è una cazzata, lo so. Chissenefrega. Come dice Dan spostando per un attimo il suo telefonino da davanti alla sua faccia, “It will be for another time”.
Io invece crollo. Seduta su quella scomodissima poltroncina ereditata dai suoi genitori, mi parte inaspettatamente un pianto disperato. Dan continua imperterrito a giocare al suo giochino, io penso che mi sento sola, che sono solo una sfigata di merda, che il mondo fa schifo e che non posso neanche più fumare in bagno che prima mi aveva sgamato. Mi asciugo le lacrime e vengo di sopra, sentendomi sempre più intrappolata, sempre più incatenata, sempre più incazzata e maledettamente sola. Stanca.
Patetica.
E mi sfogo.
E poi sto un po’ meglio.
Ogni tanto" dar fuori da matto"scarica un po' la tensione e ci dà la carica per andare avanti. Perciò...niente scuse! Un abbraccione milanese.Anna
RispondiEliminaÈ comprensibile e del tutto naturale sfogarsi, anzi è salutare. A scuola abbiamo avuto parecchi bimbi con le difficoltà del tuo adorabile figlio e sappiamo quanto possa essere pesante, giorno dopo giorno dopo giorno, fare fronte alle sue esigenze. Lo so che non ti è di aiuto ma ti sono vicina.
RispondiEliminasinforosa
Commovente. Il mondo fa schifo, vero. Non puoi più fumare in bagno, probabile. Ma una sfigata di merda no. Questo proprio no.
RispondiEliminaTi abbraccio,
Andrea
Ho sempre profondamente ammirato voi genitori speciali.
RispondiEliminaSfogo più che legittmo e comprensibile.
Forza!
hai ragione, come non capirti? vorrei esserti utile, ma non si può. Ti abbraccio
RispondiEliminaChe dire? Sei umana, non sei wonder woman. La tua situazione è apparentemente insostenibile, ma tua la sostieni - e mi pare pure bene - da 21 anni. Lo sfogo legittimo ti aiuta ad affrontare tutte le future rotture di scatole che non potrai evitare. Inutile e stupido dirti che andrà meglio...anzi, andrà sempre peggio perchè la situazione, se va bene, resterà la stessa, ma tu sarai più stanca e arrabbiata e frustrata. Tutti gli altri possono fare poco o niente per te, se non leggere i tuoi sfoghi e trarre la conclusione che lamentarsi per le cagate quotidiane è irrispettoso per chi quelle cagate vorrebbe tanto provarle almeno una volta nella vita.
RispondiEliminaUn abbraccio a tutta la famiglia
un forte abbraccio ❤����
RispondiEliminaResistere!!
RispondiEliminaComplimenti a Marina per il coraggio di aver saputo abbattere qualsiasi ipocrisia nel raccontare la vera disperazione di chi è condannato a questo ergastolo che è la disabilità di un figlio.
RispondiEliminaIo che vivo la sua stessa condizione, le posso solo consigliare di concentrarsi sulla vita sostanzialmente di me***da che fa la stragrande maggioranza delle altre persone ricca di finta allegria, ma priva di qualsiasi spessore. Con me funziona.
Dove è scritto che dobbiamo essere forti per forza?
RispondiEliminaQuando girano girano.
Ti comprendo benissimo.
Sono figlia di un grande invalido di guerra che è venuto a mancare per un'operazione sbagliata e sorella di un ragazzo che si è ammalato di cancro al cervello anche lui volato via presto.
Mia madre una roccia ... che si sta sgretolando piano piano ...
In quattro righe riassumo 33 anni di sofferenze, speranze, ecc.
Ma dove è scritto che quando hai voglia di scappare non è legittimo?
E fanculo al senso del dovere e a tutti i sensi di colpa.
Ti abbraccio forte.
Arcangela