Sei anni senza Enzo
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Questo blog ha cominciato a girare di più dopo che io
avevo scritto una cosa in cui avevo fatto la stronza con Enzo. Per sentirmi
meno in colpa, mi continuo a dire che fino ad allora, questo blog veniva letto
da mia mamma, dalle mie sorelle e da alcuni ex compagni delle superiori, e che
non avrei mai pensato che diventasse una cosa virale. Una scusa loffia, a voler
vedere.
Fu una reazione a una lunga intervista che gli fecero
sul Corriere Della Sera, in cui Enzo disse di aver scritto delle cose che in
realtà aveva scritto mio padre o comunque insieme. Ma come disse giustamente
mia madre, sono cose tra mio padre e il suo amico, e io non c’entro niente. E
come mi disse altrettanto giustamente Gianni Mura al telefono, è un po’ come
sparare sulla croce rossa: Enzo allora stava già molto male e perché rivangare
proprio adesso una storia di milioni di anni fa? La mia speranza è che non l’abbia
letto, perché so che gli avrei procurato un enorme dispiacere.
È anche vero che tra amici si può fare: ci si
arrabbia, ci si manda anche a cagare, tanto quello che ci lega è molto più
forte e si supera tutto, anche uno sfogo.
Ma comunque: quello che è fatto è fatto. A volte
bisogna anche saper passare oltre.
Oggi sono sei anni che non c’è più, e non faccio che
pensare a come mi piacerebbe fargli un’altra telefonata, chiacchierare un po’
del più e del meno, come avevamo cominciato a fare poco prima che morisse.
Enzo non lo abbiamo frequentato molto dopo la morte di
mio padre: mia mamma era presa con il lavoro e quattro figlie, lui con le sue
mille cose. Ci incontravamo ogni tanto perché aveva il suo studio medico in via
Sismondi, e quando ci vedevamo erano baci e abbracci, anche se non ha mai azzeccato
un nome: io ero a volte Anna, a volte Renata. Lo prendevamo sempre un po’ in
giro e lui sfoggiava quel suo sorriso un po’ impacciato e un po’ da presa in
giro. Ma non essendoci frequentati tanto, ci siamo tutti un po’ persi di vista,
lui e mia mamma avevano perso quella quotidianità che fa di un’amicizia una
cosa importante e speciale.
Eppure, in qualche modo, è sempre stata una specie di
punto di riferimento. In lui era ben conservata una parte importante di mio padre,
quella che ancora andava in Lambretta, scriveva, faceva un sacco di cose, che
forse avrebbero fatto insieme e invece poi da un giorno all’altro ha dovuto
fare tutto da solo.
Se potessi, vorrei chiedergli cosa gli mancava di più di
mio papà, gli avrei chiesto di raccontarmi più cose, di farmi ridere come mi
faceva ridere mio papà quando raccontava le sue strane avventure in una Milano
che avevano in pugno tutti e due, che cercavano di spiegare a chi aveva voglia
di ascoltarli. Avrei voluto chiedergli cose intime, momenti piccoli e
significativi. Non l’ho mai fatto, e ormai è troppo tardi.
Oggi non faccio che pensare a lui, insomma. Mi sono
detta, vergognandomi un po’, che se fosse morto prima lui, mio padre avrebbe
sofferto tremendamente. Per papà oggi sarebbe un giorno orrendo, un
anniversario pieno di emozioni impossibili da condividere, di immagini piantate
nella sua testa come quei ficus là, o quelle azalee. Quindi, morendo prima, si è
se non altro, risparmiato un dolore atroce. Piccola e triste consolazione,
anche questa.
Fatto sta che sei anni sono tantissimi, ma sembra
anche ieri, e che il bene, malgrado gli anni, è sempre lo stesso.
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