Liberazioni
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Oggi è il 25 aprile. La festa della liberazione.
Mentre facevo la mia passeggiata quotidiana con Fiona
e Rosie, dopo il parco, pensavo che un po’ tutti abbiamo cose di cui liberarci,
e forse il 25 aprile potrebbe diventare anche il giorno in cui, passeggiando,
pensiamo a cosa ci tiene in un certo senso incatenati a situazioni, sensazioni
che limitano la nostra libertà.
Giovedì scorso, una settimana fa esatta, mi sono
svegliata e ho capito dopo due minuti che stava per assalirmi la nebbia, anzi
il nebbione. Lo avevo percepito dal peso che nella notte aveva fatto il nido
nel mio petto, quello che ti assale quando meno te lo aspetti, quando pensi di
essere forte abbastanza da poter combatterlo. Quando si annida, quando apre la
porta e si presenta in vestaglia e con la Settimana Enigmistica, hai già perso:
è lì per stare. È un po’ come l’influenza: non resta che aspettare che passi.
Nel frattempo, tutto sembra difficilissimo, anche alzarsi dal letto, anche
preparare la caffettiera. Figuriamoci parlare con gli altri attorno a te,
figuriamoci sorridere a Luca, che arriva in mutande per il primo dei settemila
abbracci della giornata. L’unica cosa che pensi è: non ce la posso fare.
Venerdì ho provato a combatterla, perché pensavo che
poi, durante il fine settimana, avremmo potuto fare qualcosa tutti insieme,
anche solo una passeggiata, visto che questa primavera bostoniana aveva
finalmente deciso di scoppiare. Ma niente, non sono neanche riuscita a fare la
doccia. Incatenata come capita ogni tanto in questa botta di depressione che mi
spezza le gambe e mi toglie la voglia di alzarmi dal letto.
Sabato sono rimasta a letto tutto il giorno. L’unica
cosa che sono riuscita a fare è stata dormire, o coricata nel letto a fissare
il soffitto, nella speranza che nessuno venisse a chiedermi come va. Di fianco
a me, la mia fedele Rosie, con quel muso di boxer che non sembra, ma capisce
tutto. Non mi ha mollato un attimo, mai.
Domenica era Pasqua, e sono riuscita a fare la doccia
alle sei di sera. Dan preparava la cena, ascoltava i Red Sox e segretamente
sperava che spuntassi in cucina per dirgli che stavo meglio. Invece niente,
dopo la doccia, sono rimasta a letto.
Lunedì sono finalmente usciti tutti. La casa era vuota
e silenziosa. Quando sono arrivata al parco dei cani, la mia cumpa di padroni
sembrava preoccupata: il mio sguardo era nel vuoto, non chiacchieravo, non
facevo le mie battute idiote che mettono un po’ di allegria anche quando ci si
deve chinare a raccogliere la cacca calduccia e puzzolente dei cani. Sono
tornata a casa e tutte le fibre del mio corpo mi urlavano di tornare a letto.
Ho provato ad alzare la testa e, contro voglia, contro tutti i miei istinti, ho
preparato la borsa e sono andata in palestra. Ho trovato una playlist già fatta
di Lucio Dalla su Spotify, ho schiacciato “30 minutes” sul monitor della
macchina ellittica che mi fa sudare come una bestia, mi sono messa le cuffie e
sono partita, prima lenta e poi sempre più veloce. Chiudevo gli occhi e il
sudore e le lacrime scendevano insieme, mentre Dalla mi ricordava che l’essere
umano è meraviglioso, che anche sotto il cielo di ferro e di gesso l’uomo
riesce amare lo stesso, che ama davvero, senza nessuna certezza, e che
commozione, che tenerezza. Lui, Lucio Dalla, è da sempre la mia àncora di
salvezza. Sono scesa dalla macchina grondante, ho fatto i mille
pesi per avere delle braccia come Michelle Obama nel 2012, e poi mi sono
buttata nel silenzio caldo della sauna. Lì, nel buio, ho notato una cosa: per
un attimo, solo un attimo, mi sembrava che quel peso si fosse distratto e si
fosse come sollevato da me. Poi invece a casa sono crollata: sono andata a
letto alle 5 del pomeriggio, dopo aver spiegato a Emma che a volte capita, e
che la depressione poi passa sempre.
Martedì sono tornata in palestra per vedere se il peso
si sarebbe tolto dalle palle anche per un minuto, e anche quel giorno lì,
seduta nuda e sudata nella sauna, ho sorriso da sola. “Daje!, mi sono detta.
Mercoledì, invece della palestra sono stata fuori quattro ore con i cani e con
Lucio Dalla. Abbiamo fatto una lunga passeggiata per la mia città, che il
giorno prima mi sembrava buia e soffocante, e d’un tratto invece, sarà stato il
sole, sarà stata la primavera colorata degli alberi, mi sembrava proprio bella.
Oggi è il 25 aprile, giorno della liberazione, e anch’io,
nel mio piccolo, mi sento meglio. Anch’io, nel mio piccolo, sono un po’ più
libera.
Eh sì capita. A me , continua a spaventarmi.
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