Io Mattia Torre non lo conoscevo per niente












Invece io Mattia Torre non lo conoscevo per niente. Sono in America da tanti anni e mi sono persa le poche belle cose che la televisione e il cinema hanno saputo produrre negli ultimi anni.  

Invece conoscevo, senza averlo mai incontrato, Mattia, l’amico più caro di Cristina, la mia amica romana con cui passo molto del mio tempo qui a Cambridge. Mi raccontava sempre di lui, dei loro mille Natali e capodanni insieme, delle vacanze, delle feste romane, degli amici in comune, di come Mattia avesse presentato Davide a Cristina, che poi si sono sposati e adesso hanno tre figli belli e vivono a pochi isolati da me. Mi raccontava anche che Mattia e altri amici avevano scritto dei pezzi teatrali, che era bravissimo.

Poi, qualche anno dopo, mi raccontava, piangendo, che il suo amico Mattia aveva un tumore, che lo aveva scoperto quando sua moglie era incinta del secondo bimbo. Cristina è medico, per cui mi teneva al corrente di tutto: le terapie che avevano funzionato, quelle che non erano servite a niente, le operazioni che aveva subito. In un certo senso, questo Mattia era diventato anche un po’ mio amico: non passava settimana che non chiedessi di lui, dei suoi bimbi, della moglie.

All’inizio, diceva Cristina, sia lui che sua moglie l’avevano presa bene, considerata la drammaticità della situazione, che ogni volta che lo chiamava o che lo incontrava a Roma, sembrava di buon umore, ottimista, pieno di energia, di speranza, e che forse sarebbe proprio stato questo atteggiamento che gli avrebbe regalato più anni di vita. Poi mi raccontava de La Linea Verticale, la serie tivù che aveva scritto in cui descriveva la sua malattia. A me un po’ era venuto in mente Moretti, che anche lui aveva raccontato la sua malattia e che poi ne era guarito, e in un certo senso avevo pensato in modo scaramantico che sarebbe andato tutto bene anche per Mattia, ma anche per i suoi due bimbi e per sua moglie.

L’anno scorso è venuto a trovarmi il mio amico Luca Bottura con sua moglie Laura (erano in viaggio di nozze), e mi ha detto: “Mattia Torre è un genio”, e mi aveva raccontato di Boris e delle altre cose che aveva scritto che Luca considerava immense. Aveva quindi aggiunto un altro strato di curiosità a tutto quello che avevo saputo da Cristina, che mi aveva sì detto che il suo amico era bravo, ma avevamo sempre parlato più di lui come un amico e meno come un personaggio pubblico.

Ho cominciato a googlarlo, ad ascoltare i monologhi che aveva scritto per attori che mi piacciono da impazzire, e ascoltando le parole che aveva scritto, ero arrivata alla conclusione seguente: quando voglio raccontare qualcosa, ma non so da dove cominciare, mi ascolterò uno di questi monologhi come ispirazione. Non mi permetterei mai di pensare che diventerò brava come lo era lui, ma quando una persona è davvero gonfia di talento come lui, ascoltandola o leggendola, mi spinge a dare il meglio. Mi succede spesso anche quando leggo i libri del mio amico Ugo Cornia, un altro genio.

Ieri ho ricevuto un messaggino via WhatsApp da Davide, il marito di Cristina e che è a Roma per l’estate. Mi chiedeva un consiglio: “Mattia è morto. Vado a salutare i suoi bimbi. Tu ci sei passata: cosa posso dire?”

C’è poco da dire, caro Davide amico mio. A meno che tu non abbia il potere magico di far ritornare il loro papà, non c’è proprio niente da fare. Abbracciateli. Stanno per iniziare una vita che conosco bene e che non avrei mai voluto conoscere. Quel dolore mi ha storpiato il cuore per sempre, mi ha reso una persona meno felice, meno ricca. Ma poi tutto si aggiusta, anche se non vuoi. Poi le cose si rassettano. Poi, come dice Luca,  a cui ho scritto quasi subito dopo aver saputo la notizia, da grandi riusciranno ad apprezzare il loro papà e ad esserne orgogliosi, un po’ come è successo a me. Speriamo.

Mattia aveva 47 anni, i figli sei e tre. Ecco, io penso subito allo spazzolino ancora in bagno, alla camicia tra le cose da lavare, all’orecchietta piegata sulla pagina del libro che stava leggendo, alle parole crociate ancora non finite. Penso ai capelli rimasti nel pettine, alla macchina parcheggiata ancora lì, dove l’aveva lasciata.

In questo, per me, si trova la morte. Nell’immobilità degli oggetti più comuni. E in silenzio, piango per lui. 

Ciao Mattia, amico mai conosciuto.








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