Mille miglia


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Giovedì scorso mi sono comprata una macchina tutta nuova e tutta rossa, e con la macchina nuova, venerdì, ho portato Sofia fino a Washington, DC, dove vivrà per quattro mesi. Ha vinto una borsa di studi per lavorare allo Smithsonian, il museo più importante degli Stati Uniti. Un passo enorme per la sua carriera da curatrice, che spero inizierà quando tra un anno emmezzo si laureerà. Non so se si capisce, ma la mia fierezza è quasi antipatica.

Andando verso Washington, abbiamo attraversato sette Stati, che invece di andare avanti verso il futuro di Sofia, mi hanno riportato indietro nel tempo, un po’ come una fionda, che prima di andare avanti, deve per forza andare indietro.

Abbiamo passato il Connecticut, e più specificamente, la città di Danbury. Ho passato anni a fare avanti indietro da casa a Danbury, quando andavo a trovare la mia amica Silvia Baraldini al carcere federale. Mi sono fatta tutta la gravidanza di Luca, mi sono portata Luca piccolo, e mi sono anche fatta tutta la gravidanza di Sofia. Ogni mese, prendevo la macchina e passavo tre ore in quello squallido posto a chiacchierare con Silvia. Sono stati anni intensi, un’amicizia bellissima finita quando è stata finalmente trasferita in Italia. Non l’ho mai più vista.

Dopo il Connecticut, siamo arrivati a New York, dove ci siamo fermate a Brooklyn per una notte, a casa della mia amica Liz. Brooklyn per me è come la mia Milano americana: ci ho vissuto per nove anni e la sento ancora mia, malgrado la casa in cui abbiamo vissuto per tutti quegli anni sia stata demolita e adesso al suo posto c’è un palazzone orrendo. Ho ancora le chiavi di quella casa, l’unica testimonianza della sua esistenza. Da Brooklyn eravamo scappati per via del nostro vicino psicopatico, altrimenti non ce ne saremmo mai andati. È una storia terribile, un sogno ricorrente che mi sveglia ancora molte notti. Io e Liz siamo andate a fare una lunga passeggiata nel mio vecchio quartiere, PLG, che è cambiato molto. Ho mandato giù un magone grande come la nostra casa che non c’è più. A Brooklyn è nata Emma, ho conosciuto le persone che ancora adesso sono le mie preferite di sempre. Non è stato tutto brutto. Il mio vicino psicopatico abita ancora lì, nella casa di fianco al palazzone.

Il giorno dopo siamo ripartite presto. Abbiamo attraversato il New Jersey, dove io e Dan abbiamo vissuto per quattro anni. È stata la mia prima America, il New Jersey. Lì per la prima volta io e Dan abbiamo condiviso una casa. Lì ho preso una mini laurea in grafica. Lì ci siamo sposati. Lì è nata quella cosa straordinaria che è la nostra relazione. Lì, ci sono un sacco di ricordi. Un sacco di inizi. 

Dopo un paio d’ore eravamo nel Delaware, dove aveva abitato il nostro amico Tim che spesso andavamo a trovare. Aveva una casetta piccolina, dolcissima, tra le colline. Anche lì i ricordi sono tanti, gioiosi, bellissimi.

Poi, Maryland. A Baltimore, la capitale dello Stato, andavamo ogni sei mesi quando abitavamo a Brooklyn, perché c’era un medico specializzato in autismo che ci aveva promesso che con le medicine prescritte, Luca sarebbe molto migliorato. Cosa, ovviamente, che non è mai successa. Di Baltimore ho ancora in bocca il sapore della speranza, e anche quello della profonda sconfitta. Luca è stato medicato per anni, medicine forti e pesanti per un bimbo, nella speranza che diventasse qualcosa che non può essere.

Dopo il Maryland, finalmente Washington, DC, in tutta la sua bellezza. A Washington ci ero stata qualche anno fa con Dan, durante il nostro primo viaggio da soli, senza ragazzi. Di Washington ho quel ricordo lì: romantico, bello, ma anche la gioia di aver capito, dopo vent’anni, che Luca avrebbe potuto rimanere da solo con la babysitter per dieci giorni l’anno senza che nessuno morisse. Una vera liberazione.

Io e Sofia siamo arrivate all’appartamento che ha affittato con due sue amiche. Il suo primo appartamento! Siamo andate a fare la spesa, abbiamo messo tutto a posto, ci siamo bevute un bicchiere di bianco insieme, e poi ci siamo abbracciate a lungo. Inizia per lei un viaggio incredibile. Adesso tocca a lei.

Sono tornata da sola, nel silenzio della mia macchina rossa. I pensieri e i ricordi giravano come giostre dentro di me. La mia America, in sette Stati. La mia vita, in mille miglia.

Commenti

  1. Sembra un onore essere amica di una terrorista? Come spiega ad uno straniero il interesse a favore di una terrorista della politica, giustizia e opinione pubblica? Berlusconi ha detto: "Trasformare una terrorista in eroina nazionale stimula il terrorismo e è la vergogna d'Italia". Non è stata l'opinione più intelligente su il fenomeno per me più irrazionale della politica, giustizia e opinione pubblica doppo Mussolini? Per um eBook che sto scrivendo ringrazio risposte a queste domande e opinione. Chi mi manda risposte e opinione con autorizazione di pubblicare potrà ricevere antecipazioni del mio eBook original primo in portoghese o essere co-autore di una versione in italiano. Il mio email: piresportual <@> hotmail.com.

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  2. Silvia Baraldini non è una terrorista. Non ha mai ammazzato nessuno.

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  3. Cara Marina, complimenti vivissimi per il suo blog. Sono una cittadina più consapevole e un'insegnante migliore, da quando la leggo

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