L'autismo è una giostra che non si ferma mai
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Sono le quattro meno un quarto e sento il clacson del
pulmino di Luca. Mi alzo dalla sedia della cucina, dove lavoro il pomeriggio, e
mi avvio verso la porta. Anche oggi è finita la mia giornata lavorativa. Apro
la porta e Pasha, il guidatore estone, è già in piedi che aiuta Luca a uscire
dal sedile di dietro. Anche oggi Pasha indossa i pantaloncini lunghi fino alle
ginocchia, i calzettoni fin sotto le ginocchia, le scarpe da ginnastica. “Come
on, Shmoo!”, dice con il suo accento dell’Est. Luca, con la lentezza di una
vecchia tartaruga, esce. Spesso ha una calza in bocca, il volume dell’iPad al
massimo volume, le stringhe slacciate.
“What do you say to Pasha?”, gli dico ogni giorno. “Bye
Bye!”, dice Luca poco convinto. “Bye Bye mister Shmoo. See you tomorrow”. Il
pulmino è già alla fine della strada, e Luca non ha ancora fatto l’ultimo
scalino (di quattro) per entrare in casa. Si precipita in cucina, e per prima
cosa apre il frigo.
“Some milk”
“Luca, first bathroom, then milk”
“I want a hug”
“Luca, come on. First bathroom, then a hug and milk”.
Si avvia verso il bagno. Io gli slaccio i jeans, perché
non sa farlo.
“Plug it in”
“First bathroom”
“Just a little milk”
“You have to pee first”
Fa pipì, gli ricordo di tirare l’acqua e di chiudere
il water.
Cerca il bicchiere che usa solo per il latte. È
sporco, nella lavastoviglie. Me lo dà, lo lavo. Mi passa il latte, che gli
verso fino all’orlo. “Plug it in”.
Andiamo di sopra, in camera sua con una lentezza che
mi fa venire la pressione alta. Non so perché, ma ogni volta che qualcuno entra
in camera di Luca, il cassetto della sua scrivania si apre. Chiudo il cassetto,
appoggio il bicchiere sulla scrivania e attacco l’iPad ormai quasi scarico alla
presa.
“A hug!”
Lo abbraccio, gli canto la sua canzoncina preferita
sei volte, lui ride e si siede sulla sua sedia a dondolo. Scendo, ma so che tra
due minuti tutto questo si ripeterà: staccherà l’iPad, porterà il bicchiere
vuoto di latte. “A little more milk. Plug it in. Bathroom.”
Io mi alzerò, verserò ancora il latte nel bicchiere
del latte, prenderò il suo iPad dalle sue mani bagnaticcie (se le ciuccia),
andrò di sopra, questa volta nell’altro bagno. Se dice bathroom lo ascolto,
perché nell’ultima settimana si è fatto la cacca addosso tre volte, e pulire la
cacca di Luca, e cioè di un uomo di 23 anni, è schifoso.
Dopo un po’ arriverà in bagno dove lo aspetterò. Gli
slaccerò i pantaloni. Lui si siederà sulla tazza, io sul bordo della vasca da
bagno. Metterà l’iPad per terra davanti a lui. Oggi è intrippato con i Police.
Sempre meglio che Gianna Gianna. ‘Push”, mi dirà sottovoce. Vuol dire che deve
farla, bene. Magari stasera evitiamo un incidente.
Invece di spingere, Luca giocherà con l’iPad. “Luca,
are you done?” “Push, pushing”, mi risponderà, sempre sottovoce, chissà poi perché.
Dopo una decina di minuti si alzerà dalla tazza. Non farà niente. Gli riallaccerò i pantaloni. Andremo in camera sua. Il cassetto
si aprirà. Lo chiuderò, appoggerò il latte sulla sua scrivania, attaccherò l’iPad
alla presa. ‘A hug!”, gli darò un altro abbraccio, gli canterò ancora la
canzoncina.
Uscirò.
Mi rimetterò a scrivere.
Dopo due minuti, uguale. Scenderà, chiederà il latte,
saliremo, bagno (push), cassetto, latte sulla scrivania, presa.
Poi ancora.
Poi ancora.
Poi ancora.
Poi arriverà Emma.
Poi chiuderò il computer perché tanto è inutile.
Poi bisognerà andare a fare la spesa, perché il latte
finirà.
Poi i cani dovranno uscire.
Poi ancora: latte, bagno, cassetto, presa, abbraccio.
Poi bisognerà preparare la cena.
Poi arriverà Dan.
Poi ancora: latte, bagno, cassetto, presa, abbraccio.
Poi ancora e ancora e ancora.
E poi domani, alle quattro meno un quarto, quando il
clacson di Pasha suonerà, si ricomincerà il giro in giostra.



Le lacrime te le lascio tutte che ne ho abbastanza delle mie. Che ne dici di un Glengrant con 4 cubetti di ghiaccio? Prosit.😥😀
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