Tanto ci sei comunque, Gianni









Ogni diciassette ottobre, che marca l’anniversario della morte di mio padre, hai sempre scritto di lui, di noi, della mamma. E adesso, porca d’una troia, tocca a me scrivere di te.

Ti ho mandato il mio libro un mese fa, invitandoti, come ogni volta che esce un mio libro, alla presentazione. Mi hai risposto dopo secondi quarantacinque, dicendo che avresti voluto venire, ma che non stavi molto bene. “Mi mancherai,” ti ho risposto. E tu hai capito il peso della mia risposta.

L’ultima volta che avevo presentato il mio libro, avevi invitato me e tutta la famiglia nel tuo ristorante preferito. “Perché tuo papà avrebbe fatto lo stesso”, hai detto quasi timidamente. Una frase e un gesto che hanno solidificato quello che sappiamo da un milione di anni: tu sei lo zio acquisito, scelto da mio padre, per essere lì per noi, sempre e comunque.

Un paio di anni prima che mio padre morisse, gli venne una buona idea: creare un’agenzia giornalistica, Magazine. Aveva chiesto ai suoi colleghi che riteneva i migliori, di partecipare. Si trattava di scrivere un pezzo e venderlo a diverse testate, così che in una sola botta (che lui chiamava “marchettificio”), scritta bene e firmata da un genio, potesse portare più di un assegno. Erano sostanzialmente in quattro: mio padre, Sergio Meda, Gianni Mura e un novello, Giorgio Terruzzi, scelto per imparare il mestiere. Poi, quando quell’orrendo diciassette ottobre arrivò come una montagna di merda, mio padre morì. Cosa fare di Magazine fu all’inizio ovvio: continuare, cercare di tenerla viva malgrado l’assenza di una firma importante. Poi un giorno di qualche anno dopo, venne da noi Sergio Meda, che con  senso di colpa e di sconfitta chiedeva a noi (piccole, troppo piccole) il permesso di chiudere l’agenzia: per tenerla viva dovevano, lui e gli altri due, metterci un sacco di soldi. In poche parole: non funzionava. Da allora il gruppo Magazine è diventato a tuti gli effetti parte integrante della famiglia Viola. Giorgio, Sergio e Gianni sono sempre stati presenti. Gli unici di tutti quegli “amici” che tanto amavano mio padre.

Mio padre aveva conosciuto un numero incommensurabile di persone durante la sua vita. Come mio nipote Giacomo, parlava con tutti, era curioso e voleva sapere tutto di tutti. In tanti, tantissimi, quando è morto, mi hanno scritto classificandosi come “amico di tuo papà”. In realtà, tutte queste persone tanto amiche sono sparite, dileguate velocemente. Tranne tre persone: Giorgio, che è diventato a tutti gli effetti il nostro fratello maggiore, Sergio Meda, che ha mantenuto con noi un rapporto da zio, e Gianni, che più di una volta mi ha presentato agli altri come “mia nipote”.

Per il resto, silenzio.

Noi cinque, mia mamma e le mie sorelle, abbiamo trovato in queste tre persone una famiglia. Gianni, che apparentemente sei un po’ distante ma incapace di resistere a incredibile affetto,  sai bene di essere stato una figura fondamentale per me, per le mie sorelle e per la mia mamma negli ultimi trentotto anni.

Io e te, in particolare, ci siamo avvicinati molto negli ultimi quindici anni: abbiamo lottato fianco a fianco per i diritti di Silvia Baraldini, per esempio. Questa cosa ci ha unito moltissimo, ci ha fatto capire che avevamo moltissimi valori in comune. Poi ho iniziato a scrivere, e tu sei stato, con il Giorgio e Sergio, un maestro, un’ispirazione. Mi hai accompagnato, mi hai incoraggiato, hai fatto, anche tu, quello che avrebbe fatto papà. L’emozione di vivere la mia esperienza con persone, poche, che mi hanno appoggiato come lo avrebbe fatto mio padre, mi ha donato il coraggio che mi è servito per continuare.

Ho sette miliardi di ricordi di te, ovviamente. Ma quella che mi viene in mente stasera, mentre fumo e bevo un buon vino (grazie anche per questo) è quella serata, quando io, te e Fabrizio siamo andati a cena. Noi tre, come vecchi amici. Abbiamo mangiato tanto e bene. Abbiamo ammazzato molto vino eccezionale, scelto ovviamente da te. Abbiamo finito la serata con del mirto, quello buono, quello che al ristorante davano solo a te. Abbiamo parlato per ore e ore, noi tre. Poi, Fabrizio è andato a casa con la sua Vespa, e tu mi hai accompagnato a casa. Io ero ciucca marcia, tu no, non capirò mai perché, data la mole di vino e mirto consumati. Io ero euforica: avevo preso una sbronza con i colleghi di mio papà, con Gianni. Finalmente non ero più una bimba, come mi avevi sempre visto, ma una di voi. Avevo passato l’esame. Ricordo che mi davi dei consigli sulla mia carriera “Devi diventare un’autrice televisiva. Scrivi bene e saresti perfetta”, mi dicevi.

E stamattina presto Dan mi ha chiamato per dirmi che non ci sei più. Ho pianto, lo ammetto, pianto tanto, pianto come quando uno zio strano se ne va. Alleggerisce il mio cuore il pensiero che hai vissuto una bella vita: il cibo, ottimo; il vino, strepitoso; le sigarette, tante e godute; la generosità, senza confini; la carriera, inavvicinabile. È una piccolissima consolazione, considerate le mille volte che avremmo ancora potuto abbracciarci, condividere, stare insieme.

Grazie.

Grazie per avermi fatto capire l’importanza di De Gregori, che mi hai insegnato ad amare.

Grazie per essere stato vicino alla mia mamma quando si è sentita sola, persa, disperata.

Grazie per averci voluto un bene sincero, senza filtri.

Grazie per aver creduto in me e nelle mie sorelle, che non hai mai dimenticato di amare.

Grazie per l’esempio che ci hai dato.

Ti voglio bene lo stesso, anche se non ci sei più. Come mi hai insegnato tu, con il mio papà, so che non finisce qui.





Commenti

  1. Per caso o curiosità mi sono sono imbattuto in te.E piango.Grazie
    Lorenzo da Lorenteggio.

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