Barchetta di carta







In questo primo maggio lugubre e silenzioso, giorno di un lavoro che non c’è più, mi sono svegliata piangendo, schiacciata da tutte le cose difficili da affrontare.

Stare più di quaranta giorni chiusi in casa è estremamente difficile per tutti. Con Luca, la situazione è ormai diventata praticamente insostenibile. Mentre noi riusciamo a capire il motivo per cui il mondo è fermo, lui proprio non riesce a farsene una ragione. Come ogni volta che è molto agitato, è entrato in un vortice ossessivo da cui non riesce ad uscire, che lo rende nervoso. “I’m angry!”, urla continuamente per la casa. All’inizio pensavo dicesse “I’m hungry!”, ma invece no, mi ha confermato di essere incazzato nero usando un sinonimo: “I’m UPSET!”.

Ascolta le prime tre strofe della stessa canzone a volume altissimo tutto il giorno, dalle tre del mattino, quando arriva in camera nostra accendendo tutte le luci e chiedendoci di accendergli l'iPad. La maggior parte della giornata richiede la mia attenzione in modo costante, sedendosi addosso a me, prendendomi per le mani e per i capelli. Tanto che ormai per lavorare mi devo chiudere a chiave nel cesso del piano terra. Lì, nell'ultima settimana, seduta sul water (ma con i pantaloni su) ho ormai tenuto due presentazioni del mio libro e alcune interviste. Ho fatto telefonate di lavoro, video per il mio libro. È una di quelle cose che non si possono spiegare se non si vivono, ma per una volta fidatevi: la presenta costante di una persona autistica a basso funzionamento è una vera tortura, per lui, per me, per tutti noi.

Emma è ormai depressa: passa tutto il giorno sotto le lenzuola con le finestre chiuse e oscurate da coperte pesanti. Per quanto cerchiamo in tutti i modi di farla uscire dalla sua tana, diventa anche questa una fatica tremenda. Il suo spirito gioioso e allegro, il suo senso dell’umorismo che la accompagna da sempre si sono spenti. Il viso è pallido, triste. Parla poco. È sempre di pessimo umore. Sono, lo ammetto, molto preoccupata per lei.

Sofia oggi ha fatto il trasloco ed è andata a vivere da sola, da grande che è, in una bellissima casetta a un’ora da qui, con due amici, la possibilità di un buon lavoro e la speranza che a settembre ricominci l’università. Sarà il suo ultimo anno. La osservavo stamattina muoversi per la casa, aprire cassetti, armadi, raccogliere tutto quello che è suo, tutta la sua vita accumulata qui a Prince street. L’ho vista sicura, grande, splendida. Ma so che ormai non vivrà mai più qui, che adesso è davvero volata via. Mi mancherà come l’aria, anche se lo so, l’obbiettivo dei genitori è quello di tirare su figli forti, indipendenti. Lascerà un vuoto a tavola, tra la fila per chi tocca la doccia la mattina, nella sua camera. Ci vorrà tempo per digerire anche questa mancanza immensa.

Poi, come ormai saprete, Dan ha perso il lavoro. Dopo tredici anni passati a svegliarsi alle sei e un quarto, uscire presto, tornare tardi, ad aver dato anima e corpo alla sua ditta, lo hanno lasciato a casa con un’email. “Grazie del servizio. Buona vita”.

Io mi sono sempre immaginata la mia famiglia come un gruppo di persone (e animali) su una barca difficile da navigare, con un sacco di complessità. Spesso abbiamo navigato nelle tempeste, spesso senza una destinazione precisa, spesso persi in un oceano di cose andate storte. Ma almeno la barca era solida, ci avrebbe comunque protetti. Il lavoro di Dan e il suo buono stipendio ci hanno sempre e comunque dato una tranquillità che ci serviva per affrontare tutto il resto che è tantissimo e complesso. Sono stati per noi tutti una sorta di respiro di sollievo.

Invece adesso la barchetta è diventata di carta, malgrado la liquidazione abbastanza confortante. Poi finisce anche quella, e in questa pandemia chissà cosa succederà. Come se non bastasse la paura di affondare, c’è anche il trauma di essere licenziati così, su due piedi, senza neanche una pacca sulla spalla.

Continuiamo a dirci che andrà tutto bene, ma poi sento Dan girarsi e rigirarsi nel letto, e lui sente me piangere piano in bagno. Non ce lo diciamo, per il terrore che uno dei due crolli, ma siamo molto spaventati. Preoccupati per il nostro Shmoo che fa così fatica, per lo spirito della nostra splendida Emmalina, che sembra spento. Terrorizzati che la barchetta di carta ci lasci, naufraghi, in un oceano profondo.

Insomma, un periodo difficile. Per tutti. Dietro ogni porta di casa c’è un mondo a sé, e, malgrado tutte le nostre battaglie e conquiste, questa volta ho paura che il nostro piccolo mondo stia per vacillare.


Commenti

  1. Dietro ogni porta di casa c'è un mondo a sé ....
    É vero, tanti piccoli mondi ognuno con storie diverse eppure tutte umane.
    Tante piccole famiglie che vivono la drammaticità quotidiana.
    Malgrado ciò, è necessario andare avanti; lo dobbiamo ai nostri figli e principalmente a noi stessi.
    Un forte abbraccio...

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  2. Temo che non si possa proprio pretendere che una ragazzina sopporti, oltre alla pandemia, una situazione familiare così. Ha bisogno di aiuto urgente! Non avete parenti a cui affidarla temporaneamente? La figlia maggiore se n'è andata...bella roba! Il padre ha perso il lavoro! Non ha pensato che ora il suo stipendio serve in casa? E anche il suo lavoro domestico?

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  3. Quoto assolutamente l'autore/autrice del messaggio precedente. La figlia minore va aiutata e anche alla svelta. La figlia maggiore deve restare a casa e fare la sua parte, altrimenti altro che barchetta di carta! Mi dispiace per il figlio...potreste magari contattare i servizi sociali

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  4. Forza e coraggio! Ne avete da vendere...dopo lo sconforto inevitabile, riuscirete a tirarlo fuori. Avete tanto amore...vi sosterrete a vicenda. E poi la pandemia deve finire...torneremo a viaggiare, ci sarà lavoro per Dan e i ragazzi riprenderanno i loro ritmi. Lo so che è facile dirlo, ma bisogna solo aspettare...Spiritualmente noi che ti leggiamo, ti siamo vicini.

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  5. Marina, non mollare! Cerca aiuto per Luca e trascina fuori Emma. Chiedi a Sofia di temporeggiare, avete bisogno di lei

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  6. Da cosa ho potuto capire vivere negli Stati Uniti, società di cui ho una conoscenza molto superficiale. So che i figli vanno via di casa molto presto e nn solo quando si sposano. Però la vostra situazione é piuttosto complicata! La figlia maggiore deve rimanere in casa ad aiutare e non andarsene a vivere tranquilla. Alla piccola non si può imporre la presenza di un fratello handicappato grave soprattutto se ha problemi così dirompenti. I piccoli vanno tutelati! Non se ne abbia a male, ma in questi casi si deve optare per un istituto o simili. Per il bene di tutti, e parlo ahimè per dirette esperienze. Buona fortuna

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  7. Vabbeh ragazzi, tutti maestri di vita. Suvvia dai. Chi crede di avere le ricette miracolose...le tenga per se. E poi, per favore, evitiamo di usare la parola handicappato che in certi frangenti è una vera coltellata. La vita non ce l'ha il libretto di istruzioni. Si impara solo vivendo. Ed ognuno vive la sua. Quindi...comprensione e solidarietà.

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    1. Gentile Walter, capisco le sue ragioni. Sono una signora attempata che di recente ha imparato ad usare la tecnologia. Ai miei tempi non si usava neppure il termine handicappato, questi ragazzi erano i 'subnormali'. Dunque ha capito da che galassia provengo? Ho vissuto in una famiglia con quattro generazioni coabitanti, non é stato semplice. A complicare il tutto la presenza di uno zio paterno con gravissimi problemi, ora penso che fosse autistico. Le assicuro che non é stato facile per noi bambini, parlo per esperienza diretta

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