Autistiche follie








Come quasi sempre, aveva cucinato Dan. Da quando cerca lavoro e ha tempo a sua disposizione, gli piace andare a fare la spesa e preparare cene molto più raffinate del solito. Le salsine francesi per la bistecca, i condimenti per l’insalata che richiamano la cucina tailandese, il vino perfettamente abbinato ai sapori di quello che cucina. Per Luca e Emma, che sono meno propensi ai sapori esotici, di solito Dan prepara bistecche impanate e un contorno di spinaci lessati e passati al burro con due sottilette.


La tavola era apparecchiata con cura: il pane riscaldato nel forno veniva presentato in un cesto di vimini; la candela che piace a me era piazzata come centrotavola, l’acqua fresca di frigorifero nella caraffa Ikea troneggiava di fianco alla candela e al vino, il profumo di bistecca da ricchi arrivava fino alla sala, dove io stavo ascoltando le ultime notizie di CNN e pensavo, “Sarò di parte, ma Trump non vincerà”. La musica di Louie e Ella come sottofondo offuscavano le brutte notizie e mi invitavano a riempire un bicchiere di bianco prima di sedermi a tavola. 

Se Dan decidesse di aprire un ristorante, diventeremmo ricchi. 


“A tavola!”, annuncia lo chef. Sento la porta di Emma aprirsi. Sento la sua voce che con dolcezza avvisa suo fratello maggiore Luca che la cena è pronta. Gli consiglia anche di mettersi le mutande (Luca ama arrivare a cena nudo). Sento la musica dell’iPad di Luca sempre più vicina: Emma glielo ha tolto dalle mani per convincerlo a venire a tavola. Mi rassicurano che Emma ha raggiunto il suo scopo i chiari passi instabili di Luca nel scendere le scale, un gradino alla volta, malgrado gli anni di fisioterapia. Lo sapevo che non sarebbe servita a nulla. Io spengo la televisione e mi siedo al mio posto a tavola.


Finalmente siamo tutti seduti. Si parla di cosa c’è per cena, si chiede a Emma di portare per favore la maionese in tavola, altrimenti Luca manco si siede. Riempio i bicchieri dei bimbi di acqua e quelli mio e di Dan di vino rosso. “Cheers!”, dico. Tutti alzano il bicchiere. Faccio cin-cin con Luca, Emma e Dan, e mi riempio il piatto di bistecca, insalata e patate al forno. Il piatto di Luca ha invece due bistecche impanate tagliate da me e in un angolo, della maionese. Di fianco ha un piatto pieno di spinaci. Con la forchetta, attacca un pezzo di bistecca impanata e la immerge nella maionese.


Una serata come le altre. Dan, Emma e Luca non hanno idea di quello che sto per annunciare. E forse non ne ho idea neanch’io: noi impulsivi non ci prepariamo prima di dichiarare le idee che ci passano per la mente. Né Dan e men che meno Emma sono al corrente di quello che Cristina e Davide hanno deciso di fare, e cioè di trasferirsi in Italia per quattro mesi. Non hanno idea dell’elefante che insiste a fare pazzie e che è da giorni dentro il mio orecchio. Non sanno che mi sussulta idee strane da giorni. Mangiano tranquilli la cena, con la candela che illumina poco, creando ombre di qua e di là.


“E se io e Luca andassimo a Milano per due mesi?”. La butto lì, come se niente fosse. Come quando, impulsiva come sono, avevo proposto un secondo figlio, un primo cane, una casa in campagna, un trasferimento da Brooklyn a Cambridge, un secondo cane e, infine, un terzo figlio. E poi, un gatto, una vacanza improbabile senza Luca, diversi viaggi da sola in Italia per promuovere i miei libri. L’idea che Sofia avrebbe frequentato il college più caro degli Stati Uniti, che malgrado la mia vita difficile sarei riuscita a laurearmi, a scrivere tre libri, a combattere per i diritti di mio figlio. Sono idee balzane che mi vengono dal nulla, senza preavviso. Di solito, ma non sempre in quanto folli, sono diventate realtà. 


Questa è un po’ diversa dalle mie idee folli del passato, perché sia Dan che Emma conoscono Luca come le loro tasche. Infatti, quando la mia proposta esce dalla mia bocca, si mettono a ridere all’unisono. È come se avessi proposto di andare sulla Luna. Con Shmoo. Due mesi con Luca, da sola, a Milano in un appartamento diverso da via Sismondi, durante il Covid, durante il viaggio di andata e ritorno in aereo, senza Wifi, mentre si cerca di convincere Luca di mettersi la mascherina. Per andare in un appartamento sconosciuto, senza Bob Marley, Sting e James Taylor attaccati a muri. Senza la sua colazione preferita. Senza la sua lingua. Senza nessun punto di riferimento. Per non pensare a me: non potrei mai uscire di casa se non con lui; andare a fare la spesa sarebbe un incubo, figuriamoci incontrare amici anche solo per un caffè. E poi: appena Luca va a casa della nonna Franca farà scene pazzesche perché non vorrà andarsene, e dovrei gestirlo da sola. Impossibile, e lo saprei bene. Le mie sorelle aiuteranno quello che possono, ma lavorano: potranno fare qualcosa ma lo sai che non sarebbe mai abbastanza. Per non parlare dell’Internet, che sarà un problema. In Italia è più lento che qui, lo saprei bene. “In poche parole”, dice Dan, “diventerà pazzo lui e diventerai pazza tu. È un’idea di merda. Questa volta è davvero troppo, Marina. Non ce la farai mai da sola, come non ce la farei io. Luca è troppo complicato per cambiamenti del genere. E poi, in quasi trent’anni di vita insieme, non siamo mai stati lontani per due mesi, e io sto passando un periodo difficile per la ricerca del lavoro e ho bisogno di supporto. Capisco la tua impulsività e la tua voglia di stare con la tua famiglia, ma secondo me questa è un’idea che non sta né in cielo né in terra”. 


Invece di portare la forchetta alla bocca, l’ha posata rumorosamente sul piatto, vuota. Mi conosce troppo bene, Dan, e anche se sono tutta sbagliata. Capisce, malgrado i fatti inconfutabili che ha appena elencato senza soffermarsi su molti altri altrettanto giusti, sa che ormai è che la mia decisione è già stata presa. Anche se sembra assurda, era il cambiamento che aspettavo da tempo.


Immagino che uscire dai nostri schemi quotidiani, sia per me che per Luca potrebbe essere un’alternativa alla nostra piccola bolla piena di autismo che abbiamo vissuto tutti questi anni. Forse c’è un’altra strada. Uno schema diverso, magari addirittura più libero, per sopravvivere alla prigione che abbiamo creato attorno alla nostra famiglia autistica. Potremo, per una volta, vivere un’avventura che non avremmo mai neanche sognato, per paura per mancanza di energia, per convenienza. Secondo me io e Luca ce la faremo, eccome. E dirò di più: è l’idea più figa che mi sia mai venuta!”. Ho pensato a tutto questo senza condividerlo, anche perché forse quella sera non sapevo che la mia proposta avrebbe potuto essere condivisa da Dan e Emma. Dopo tutto, i loro dubbi erano a dir poco realistici, non facevano una piega. Immaginare Luca in una realtà diversa da quella di adesso richiede un’immaginazione che rasenta la magia. Non so dire che il nostro quotidiano sia facile o difficile. È quello che è. Né io né Dan abbiamo mai pensato che potrebbe essere diverso da quello che viviamo. Ci siamo abituati alla nostra vita e non ci soffermiamo mai a come potrebbe essere diversa. Spesso si rimane nel proprio angolino, caldo, prevedibile, senza drammi, senza cambiamenti radicali, senza terremoti. Ci si ritrova, figli autistici o meno, a pensare che il nostro quotidiano sia l’unico possibile. Ci si trova come in una scatola chiusa, senza possibilità di uscirne. E invece chissà quante alternative ci potrebbero essere, se solo avessimo la voglia e l’opportunità di pensare fuori dagli schemi tradizionali.


Il giorno dopo ho cominciato a cercare un appartamento vicino a via Sismondi per due mesi.















Commenti

  1. Non capisco cosa tu stia cercando. Però è evidente che te ne stai infischiandosene di Dan e, ancor peggio, di Emma. E nessuno dei due se lo merita

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  2. Non sarebbe meglio andare in viaggio tutti e 4 insieme?

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