Ho visto Luciodalla






Come tutti i venerdì sera, eravamo seduti sul divano della sala a cercare di capire chi sarebbe andato a Becket e chi sarebbe rimasto a Cambridge. Giovedì è la festa del Ringraziamento, quindi entro martedì tutti avremmo dovuto essere insieme. Il traffico dopo martedì sarebbe stato impossibile. Una cosa era già decisa: Dan, Luca e i cani sarebbero partiti entro le tre. Emma, che odia Becket, faceva notare il fatto che l’internet in campagna fa schifo: “Come faccio a seguire le lezioni a distanza senza Internet?”. Aveva ragione, per cui si è cercata un’altra soluzione: saremmo tutti andati quella sera, poi Dan e Emma sarebbero tornati a Cambridge domenica sera per poi ritornare a Becket martedì, dopo la scuola: ‘Sì ma che palle, avanti e indietro...sono due ore andare e due ore tornare, raga!”, dice Dan, prima di uscire da casa con Luca e cani per partire. 


Io, Sofia e Emma, si era deciso, saremmo partite dopo cena.  Mentre cenavamo, Sofia mi fa: “Ma scusa, perché non vai tu da sola stasera, io e Emma stiamo qui, così Emma può seguire le sue lezioni in pace. Vorrà dire che qualcuno ci verrà a prendere martedì”. Ormai, avevo deciso, avrei fatto quello che mi dicevano di fare: troppi cambiamenti tutti in una volta. Quindi ho mangiato, ho fatto la cucina e verso le otto e un quarto mi sono messa in macchina.


Accendo la macchina, ma prima di partire cerco su Spotify la mia playlist  che si  chiama Summer e che contiene tutte le canzoni in lingua inglese che mi piacciono. È lunghissima, infatti: potrei arrivare in Texas senza mai cambiare musica. 


Viaggaire da sola, soprattutto la sera, mi piace molto. Mi piace vedere i grattacieli di Boston tutti illuminati e maestosi, e lasciarmeli alle spalle. Il paesaggio cambia molto durante il viaggio, passa dalla città ai sobborghi fino alle foreste disabitate delle colline e i laghetti del Berkshire, illuminati poco eppure presenti, pieni di vita. 


L’autostrada, che si chiama Turnpike, è piena di macchine fino a quando si arriva all’84, che va a New York city: la maggior parte del traffico a quel punto gira a destra, e il Turnpike diventa una strada a solo due corsie quasi vuote. Siamo in pochi a continuare. Ancora un quarto d’ora e sarei arrivata a Westfield, l’uscita numero tre del Turnpike.


Decido di fermarmi al liquor store di fronte al McDonald dove di solito ci fermiamo per comprare le patatine fritte per Luca, e comprare delle birre e anche un pacchetto di sigarette. Di solito me le rollo, però ogni tanto mi faccio un regalo e me le compro già fatte. Uscita dal negozio, mi appoggio alla mia Jetta rossa parcheggiata appena fuori e me ne accendo una. Buone le sigarette, quando non si ha fretta di arrivare e non si hanno figli rompicoglioni che non ti danno neanche un minuto per far tre tiri.


Mi risiedo in macchina e decido di cambiare playlist. Metto quella di Luciodalla. Luciodalla io lo amo da quando sono piccola, e cioè da quando con i miei genitori e le sorelle andavo in vacanza in macchina. Si ascoltava la cassetta quella con Caroamicotiscrivo.  Da allora, per me Luciodalla rappresenta la coperta di Linus. Mi sento protetta, mi sento felice, mi sento tante cose che mi fanno stare bene quando ascolto le sue parole, la sua musica, la sua malinconia. Quando è morto ho pianto come se fosse morto un amico caro, uno con cui avevo un’amicizia speciale.


Mentre prendo la 20 ovest che mi fa attraversare Westfield, mi assale un pensiero bizzarro: senza ombra di dubbio sono l’unica nel raggio di centinaia di chilometri ad ascoltare Luciodalla che canta Se Fossi Un angelo. Io la canto con lui. 


Invece di continuare sulla 20, decido all'ultimo momento di girare a sinistra e prendere la strada quella silenziosa che attraversa il buio delle foreste della zona. Una strada in cui raramente si incontra una casa, e quando la si vede, ha sempre le finestre illuminate, chissà, magari di una sala o di un tinello. Penso che a Luciodalla sarebbe piaciuta questa strada: non ci sono quasi mai macchine, si sente l’odore della natura attorno, il silenzio degli alberi, la fierezza della grandiosità. Sembra quasi di essere su un pianeta diverso, fatto di dolci solitudini, di tanti colori: l’autunno è incendiato dall’arancione, il rosso e il giallo delle foglie. D’estate invece è un trionfo di tonalità infinite di verde tutti messi a caso, la primavera un’esplosione di colori e in inverno c’è la fierezza delle piante, nude, silenziose e pazienti. Conoscono bene il ritmo delle stagioni e sanno che prima o poi ritorneranno a troneggiare.


Mentre pensavo questi pensieri, ho avuto come la sensazione che Luciodalla fosse lì con me, ad ascoltare i miei pensieri. Ho avvertito la sua presenza, tanto che mi sono girata verso il sedile di fianco a me per vedere se ci fosse veramente o no.  Non c’era, eppure che bello sarebbe stato potergli spiegare quanto lui significhi per me, l’importanza della sua presenza nella mia vita. Sarebbe stato bello poter fare un viaggio in macchina con lui in una sera come questa, a chiacchierare del più e del meno. Oppure a stare in silenzio, per immergersi nel paesaggio così complesso, ma al buio. Secondo me saremmo andati d’accordo, io e Luciodalla.


E poi l’ho visto.


È spuntato dalla foresta alla mia sinistra, quasi timidamente, poi ha fatto un po’ di passi e si è fermato proprio davanti alla mia macchina, ferma in mezzo alla strada buia. Per un secondo infinito, ci siamo guardati negli occhi. Subito dopo ha deciso di continuare per la sua strada e si è infilato di nuovo nella foresta. 


Luciodalla era l’anima di quel cervo straordinario, con due corna che parevano i rami di un melo, la maestosità del suo corpo, le gambe affusolate come quello delle ballerine. A pensarci bene, non assomigliava molto al Luciodalla che conosciamo. Non fisicamente, eppure la presenza del suo spirito dentro il magnifico corpo di quel cervo era senza ombra di dubbio lì, davanti alla mia macchina rossa. Il suo spirito, la sua energia erano inequivocabilmente  tangibili. Porcocane, Luciodalla?!? Grazie per essere qui con me, ho sussurrato, ma  piano per non spaventarlo. Tutto questo mentre la playlist suonava Cara, la mia canzone preferita al mondo. La colonna sonora dei miei momenti importanti, delle immagini, delle emozioni forte, delle bellezze e dei miei mille dubbi.


E poi, il vuoto. Sono rimasta lì da sola, in mezzo la strada buia che attraversa un luogo magico, nel buio pesto. Per un attimo mi sono come dimenticata di essere lì, di sera con la macchina in folle nel mezzo della strada. Saranno passati due o tre minuti, ma poi ho schiacciato la frizione e ho messo la prima, in silenzio ma senza paura.


Mi è scesa anche una lacrima e ho pensato che pena, che nostalgia.

Commenti

  1. Eh... niente... solo che adoro leggerti! Dalla un mito, la colonna sonora del mio primo amore è stata Futura.... e ne sono passate di primavere! una bimba è nata ma si chiama Anna. Un grande abbraccio

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