Santa Rita, pensaci tu, ma pensaci bene












Tra qualche settimana sarà un anno che Luca non vede un operatore, uno scuolabus, un esperto di autismo, un fisioterapista. Da un giorno all’altro, per lui si è fermata la giostra. Senza spiegazioni, ovviamente. Perché se Luca non riesce a capire come fare a mettersi le calze, sicuramente non capisce cosa significa pandemia, dove sono tutti ‘sti virus che danzano da una persona all’altra senza che nessuno li veda.


È stato un anno lunghissimo, sia per lui che per me. Ma soprattutto per lui, che da quando ha quattro mesi è stato seguito almeno otto ore al giorno e che con questo vuoto si sente spaesato. Durante questo anno eterno e penoso e per spezzare la monotonia tipica di chi è chiuso in casa per il Covid, ho cercato di intrattenerlo per evitare che stesse tutto il giorno a fissare l’iPad. Io e lui siamo addirittura andati a Milano, dove Luca è stato bravo fino ad un certo punto: ossessionato da mia madre, non faceva che prenderla per i capelli, non la lasciava in pace un minuto, neanche per mangiare, neanche per guardare Un Posto Al Sole, neanche per andare in bagno. Fortunatamente, avevo affittato un piccolo appartamento a pochi metri da casa di mia madre, così che lei potesse avere un po’ tranquillità e Luca potesse calmare le sue ossessioni. Solo che non si calmava per niente, anzi faceva delle scene pazzesche ogni volta che lasciavamo casa di mia madre per tornare a casa nostra. E poi lì, quando eravamo soli io e lui, torturava me. Siamo tornati a Cambridge e mi tortura ancora: mani sempre addosso; richiesta incessante di aiuto (bagno, aggiustare l’iPad, metterlo in carica, latte, pasta, pizza, ancora latte, mettere in carica, aggiustare l’iPad, e poi ancora pizza, e poi ancora latte, e poi ancora….e poi ancora); di lavorare, ovviamente, non se ne parla neanche; faccio anche fatica a muovermi da una stanza all’altra: per andare dalla sala alla cucina, Luca si piazza davanti a me almeno due o tre volte, per richiedere un abbraccio che fa tenerezza i primi due mesi, poi viene la rabbia, la nausea, la sensazione di essere in una prigione.


Luca è sempre stato appiccicaticcio con me o con mia madre, ma adesso lo è molto di più, perché è stato abbandonato dalle istituzioni e si sente a disagio. Infatti, ha anche cominciato a sputare, a rompere tutte le magliette, a mostrare atteggiamenti di rabbia che prima non aveva. Il suo comportamento in generale è deteriorato molto, e questo rende molto più complesso il mio compito di occuparmi di lui.


Un mese fa ho chiamato il centro che frequentava prima del Covid, convinta che l’avrebbero fatto ritornare: dopotutto è già aperto, anche se è frequentato da pochi utenti. “Ma no, signora, adesso con ‘sto Covid non facciamo certo venire Luca al centro…”. L’ha detto come se, malgrado gli undici mesi di isolamento, le chiedessi chissà che cosa.  È stata la prima volta in vita mia che invece di rispondere, anche in malo modo, mi sono messa a piangere, a singhiozzare sempre più forte. Tra le lacrime, ho detto never mind che vuol dire fa niente e ho messo giù. Mai più sentito nulla dal centro, neanche un’email per sapere come stavo io, come stava Luca. Quindi ho deciso: Luca cambia centro.


Ho fatto tante ricerche, ho chiesto in giro a altre mamme con figli adulti con autismo, a assistenti sociali, a chi lavora nel settore e in coro mi hanno detto Nupath. Nupath è il centro che fa per Luca: hanno un gruppo interno solo per adulti autistici, hanno personale qualificato, hanno dei progetti interessanti che portano avanti. Ho trovato il numero di telefono, sapendo che mi avrebbero detto che non c’è posto. Di solito per queste cose ci sono liste d’attesa lunghissime. Risponde James, che poi ho capito essere il direttore. Con molta gentilezza mi videochiama subito per farmi fare un tour virtuale del centro, che, malgrado la pandemia, è aperto. Gli utenti sembrano tutti a proprio agio, gli istruttori carini, entriamo in una delle classi e tutti salutano James con affetto. Insomma, presente quando una cosa è perfetta? Ecco, uguale.


E adesso? chiedo a James sperando che mi dica che è fatta e che sì, da domani Luca può cominciare a venire. E adesso, risponde James, Amy, la mia vice, verrà a casa vostra a conoscere voi e Luca. Se per lei e il suo staff Nupath può aiutarlo, Luca può cominciare.


Ho provato la sensazione fisica di un macigno che si alzava dal cuore come se ad un tratto non ci fosse più forza di gravità, come nei film in cui tutto nuota nell’aria. Erano mesi che non sentivo dentro di me il presentimento che dai, alla fine si risolve tutto. Finora avevo pensato che questa nostra difficile convivenza sarebbe stata la nuova norma, cioè un disastro.


Oggi è venuta Amy. Ero agitata come se dovesse venire papa Francesco, ho messo bene a posto la casa, ho vestito Luca di tutto punto, ho fumato in bagno con la finestra spalancata con fuori meno dieci. Insomma, ero pronta, ma allo stesso tempo terrorizzata che dicesse no, Luca non può frequentare Nupath. Amy rappresenta ormai l’unica zattera di salvataggio in questo mare di merda.


Amy avrà una sessantina d’anni, una borsetta con su scritto VALENTINO, i jeans e le scarpe da ginnastica. L’ho fatta accomodare sul divano e entrambi i cani si sono appollaiati di fianco a lei. “Ve lo dico subito: ho tirato su quattro figli, ho dodici nipoti. Questo per dire che sono schietta, e quando devo dire una cosa, la dico”. Intanto sentivo Luca arrivare in sala, e io ho pensato che se si presenta nudo, io mi butto nel fiume Charles, dietro a casa nostra. Invece no: aveva ancora il golfino blu che gli avevo messo, ma con una manica tutta ciucciata. Si era tolto le scarpe e la calza destra, come sempre. Aveva gli occhiali storti e l’iPad in mano, che si era scaricato. “Hello Luca!”, dice lei, ma lui manco la nota: è preso dal dramma dell’iPad scarico. Dai, Luca, dì ciao a Amy, dico con l’ansia che la sua schiettezza le facesse dire che mio figlio è proprio un maleducato. “Don’t worry. Conosco bene le persone autistiche”. Io e Dan le abbiamo fatto mille domande, a cui le ha risposto in modo preciso. “Non siamo perfetti, certe volte facciamo anche noi degli sbagli, ci mancherebbe. Ma cerchiamo sempre di fare del nostro meglio. I nostri utenti sono diventati parte della nostra famiglia, l’atmosfera del centro è di affetto e attenzione. Io lavoro lì da tanti anni e mi piace moltissimo”. Bene, le dico, quindi? Luca può venire? Dai, non era neanche nudo… Mi risponde che domani si deve incontrare con il suo staff e presenterà loro in ‘caso Luca’. Se tutti sono d’accordo, è fatta. “E tu, cosa dici? Secondo te…”, le chiedo con un tono fin troppo espressivo. Io non posso parlare per le altre persone, ma qualcosa mi dice che sarà ben accetto, mi dice malgrado la schiettezza. 


Farei di tutto per sentire un sì: le offrirei dei soldi, delle lasagne fatte in casa, la mia disponibilità per stirare tutte le camicie del marito, le pulisco la casa per un anno. Le offrirei un viaggio in Italia, da mia madre e dalle mie sorelle. Invece non ho alternative: mi tocca incrociare le dita e aspettare. “Lei e il suo team discutetene quanto volete, fate quello che c’è da fare senza insistenza. Sappiate che se dite no, io mi lego nuda e cosparsa di miele fuori dal centro.


Non credo in Dio, ma zia Milena sì e ha instaurato negli anni un rapporto confidenziale con santa Rita, la santa delle cose impossibili. Dice che sono talmente amiche che adesso si danno addirittura del tu. 


Ecco, interpelliamola e diciamo di non far cagate, per favore. Non questa volta.

Commenti

  1. No, Santa Rita non può fallire! Vedrai che andrà tutto bene. Mi sono mancati un sacco i tuoi post ma comprendo benissimo la tua situazione.
    Ti mando un sacco di luce anche se non sono Santa Rita.

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  2. Anche una mia amica si affida a Santa Rita e le porta le rose il giorno in cui si festeggia. Incrocio le dita, rose rosse per te. Dani

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  3. Buonasera! La santa che c'è nell'immagine non è Santa Rita, ma santa Teresina di Lisieux, che alla fine della sua vita promise che in Cielo non sarebbe stata con le mani in mano,ma avrebbe fatto piovere 'una pioggia di rose'(grazie, miracoli). Comunque sia, questa santa era l'ultima di numerosa prole, una delle sue sorelle maggiori era una ragazzina 'speciale'. Leonie, si chiamava così, al giorno d'oggi a scuola avrebbe il sostegno. Era caratterialmente instabile, molto probabilmente sia disgrafica che discalcula, sicuramente con un lieve ritardo. Faticò molto a trovare la propria strada,ma alla fine ci riuscì. Se cmq 'lasciamo perdere' santa Teresina e la sua sorella e ci affidiamo a santa Rita, nella chiesa che frequento c'è una statua. Domani mattina candela e preghiera assicurata!

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  4. Buonasera! La santa che c'è nell'immagine non è Santa Rita, ma santa Teresina di Lisieux, che alla fine della sua vita promise che in Cielo non sarebbe stata con le mani in mano,ma avrebbe fatto piovere 'una pioggia di rose'(grazie, miracoli). Comunque sia, questa santa era l'ultima di numerosa prole, una delle sue sorelle maggiori era una ragazzina 'speciale'. Leonie, si chiamava così, al giorno d'oggi a scuola avrebbe il sostegno. Era caratterialmente instabile, molto probabilmente sia disgrafica che discalcula, sicuramente con un lieve ritardo. Faticò molto a trovare la propria strada,ma alla fine ci riuscì. Se cmq 'lasciamo perdere' santa Teresina e la sua sorella e ci affidiamo a santa Rita, nella chiesa che frequento c'è una statua. Domani mattina candela e preghiera assicurata!

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  5. Dita delle mani e dei piedi incrociate fino alla risposta che con l'artrite che mi ritrovo non solo è difficile ma anche doloroso

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