tran tran ma senza il tram
“Ma come, eri qui due mesi fa!”
È la frase che mi sono sentita dire dalla panettiera di via Lomellina, che mi conosce da quando avevo sei anni. In effetti, c’ho quasi preso gusto a venire a Milano spesso. Sono venuta a trovare mia mamma, che avevo lasciato un po’ giù ad aprile e che adesso invece è rifiorita ed è tornata la solita Cianciulli di sempre (o Cianci, come la chiamiamo noi in famiglia).
Sono rientrata senza dover fare troppi sforzi nella mia routine solita di quando sono qui: la mattina si sta a casa a fare un po’ di mestieri, poi verso le dieci arriva Milena (mia zia, che odia essere chiamata zia) e si fuma una sigaretta insieme, a volte si beve un secondo caffè.
Dopo Abatantuono, Milena è la persona che mi fa più ridere in assoluto e non solo perché si arrabbia con mia mamma quando dice Santa Pace (“devi dire cazzo!”), ma per come usa iperboli divertentissime per raccontare piccole cose che le succedono. Una delle più belle che mi ha raccontato ultimamente è di quando è andata dal tabaccaio a comprare le sigarette. Il tabaccaio le aveva dato un pacchetto molle, ma lei preferisce quello rigido, quindi gli chiede: “Non ce l’ha duro?” Appena detta la frase si accorge del doppio senso, e cerca di recuperare. “No, nel senso, ma ce l’ha solo molle?” Insomma, sempre peggio. Il tabaccaio di via Sismondi la guarda come a dire che ha capito ma anche che è un po’ imbarazzato. Lei, rossa paonazza, paga e viene da noi.
Io rido, rido moltissimo e mia mamma anche. La risata della mamma esce dalla finestra della cucina e riempie tutta la via Sismondi e la via Lomellina, come a dire: occhio, sono tornata forte come una tigre, e io riesco finalmente a rilassare le spalle che sono state tese tutti questi mesi.
Quando Milena va via, io e la mamma scendiamo a fare un po’ di spesa. Da qualche anno due signori egiziani hanno aperto un negozietto in via Sismondi, proprio davanti alla fermata della 93, che vende un po’ di tutto, compresi carne, frutta e verdura e che costa molto meno del Carrefour di fronte. Dopo aver comprato un po’ di frutta a pochi euro, che a Cambridge manco si trova e se si trovasse costerebbe una costola di neonato, andiamo dal panettiere, per comprare due tulipani, che sono buonissimi.
Torniamo a casa, mangiamo chiacchierando, poi lei si riposa sulla sua poltroncina in cucina, mentre io lavoro, leggo, cazzeggio. Verso le tre emmezza mi faccio un caffè e poi andiamo da Milena e Bruno, che abitano dall’altra parte di via Sismondi, dopo aver attraversato la via Lomellina. Lì c’è mio cugino Paolo che spesso guarda la tele, Bruno (mio zio, che odia essere chiamato zio) che spesso legge e Milena che ci aspetta. Si chiacchiera e poi si va sul terrazzo enorme, a fumare e a giocare a Machiavelli. Chi perde, deve pagare cinquanta centesimi. Le due sorelle hanno già più di mille euro, e io ricordo loro che occhio, la ludopatia è un’ossessione difficile da curare.
Si torna a casa verso le sette, si mangia, si fa la cucina e via con Un Posto Al Sole. Alla fine della puntata ci sono due telefonate fisse: una a Milena per commentare e una a mia sorella Anna, che commenta anche lei ma in più racconta della sua giornata. Alle dieci la mamma va a letto e io mi guardo due cagate alla tele. Non sono mai andata a letto dopo mezzanotte.
Poi, la mattina dopo, uguale.
Quando dico ai miei amici americani che vado a Milano, dicono tutti di essere gelosi. Non è facile spiegare che io il Duomo praticamente non lo vedo dal 2009 e che in centro ci vado pochissimo. Che non esco dalla Zona 4 perché, come dice giustamente mia mamma, in via Lomellina c’è tutto, tranne una pescheria che però si trova al mercato il venerdì. Per cui non ho nessun motivo di muovermi da lì.
L’unica gita che faccio quando vengo a Milano è andare a Bologna, che è la vacanza dentro la vacanza. A Bologna bevo tropo, vado a letto tardi, incontro amici miei o di mia sorella Serena, che vive qui da tanti anni. Rimango un paio di giorni e poi me ne ritorno nella mia dolce routine di Milano, che è senza frivoli e per questo estremamente rilassante.
Ogni giorno verso le due del pomeriggio mi chiama Dan, che aspetta il pulmino che porta Luca al suo centro. Mi fa una videochiamata così posso cantare a Luca la sua canzoncina preferita mentre lui ride e cammina in cerchio per la sala. Emma invece mi telefona verso le mie nove di sera, che per lei sono le tre, l’ora in cui esce da scuola. Videochiamata dalla scuola a casa, in cui mi racconta della sua giornata. Ieri mi ha chiesto di poter comprare un paio di scarpe con in tacchi (“with my money!”) per la festicciola che si terrà giovedì prossimo a scuola. È il suo ultimo anno di medie e la scuola ha organizzato una piccola cerimonia. Siccome Emma vorrebbe avere un paio di scarpe con i tacchi già dalla prima media, mi annuncia: “la mia prof ha detto che per la cerimonia, le femmine devono mettersi le scarpe con i tacchi”. Lei ci prova sempre. Le ho detto di sceglierle, ma di mandarmi una foto così magari decidiamo insieme.
Sono, lo ammetto, un po’ combattuta. Da un lato devo insegnarle che può ovviamente mettersi quello che vuole, e che se dovesse vestirsi in modo considerato ‘provocatorio’ è un problema dei maschi e non certo suo. Dall’altro, ogni volta che la vedo con il mascara, dentro di me qualcosa muore. Insomma, il solito dilemma di noi mamme che vogliamo fare le moderne ma sotto sotto siamo ancora antiche.
Sofia è a Chicago. Sta visitando una scuola d’arte dover poter fare un Master. Credo che si stia divertendo come una matta con i suoi due amici. Sono felice per lei.
Finita la mia parentesi italiana, tornerò a Cambridge, dove Dan mi aspetta a braccia aperte, anche perché dopo tutti questi anni non ha ancora imparato a piegare le lenzuola con l’angolo elastico.
Oggi mi godo la mia Bologna.
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