Le voci dalla cucina
Quel giorno me lo ricordo come fosse ieri.
Era la fine delle vacanze estive e, dopo un lunghissimo viaggio in macchina siamo arrivati a Milano. Eravamo tutti stanchi, ma anche felici di essere tornati a casa.
Aperta la porta, ci aveva travolto un caldo pazzesco, e siccome era stata vuota per un po’, gli odori della casa mi avevano assalito con più forza del solito. Sono gli odori della casa, della famiglia. Sono gli odori che rendono ogni casa unica. Mia mamma ci aveva detto di andare ognuna nella propria camera per portare i bagagli. La mia stanza, con la tapparella giù, era pulita, in ordine. Bella. Avevo tirato su la tapparella e mi ero seduta sul mio letto, quello con il copriletto con i fiori gialli. Sentivo mia mamma e mio papà chiacchierare in cucina. Anche loro sembravano felici di essere tornati a casa.
La cucina era ancora quella vecchia, con le mattonelle bianche con dei rami verdi che formavano un semicerchio dal basso; il frigorifero di qua invece che dove è adesso, era ricoperto di verde, lo stesso delle mattonelle, e il tavolo si apriva come se fosse un cassetto. I cinque sgabelli, tutti diversi l’uno dall’altro, erano contro il muro di fronte.
Mi ricordo poi di aver chiesto di fare una passeggiata e mi sono ritrovata in via Sismondi verso piazz’Adigrat, a camminare con il naso puntato in su. Era una bellissima giornata afosa, il cielo era blu come quello dei film, e dal marciapiede arrivava il caldo tipico di quel periodo dell’anno, con l’odore di città e le cicche che con il caldo si rammollivano e rimanevano attaccate alle suole.
Ricordo perfettamente di aver pensato: oddio, sono felice. Ho una mamma, un papà, le sorelle, una stanza tutta per me in una casa dove arrivare, in una città che è calda di afa e di accoglienza. Ricordo esattamente il momento in cui, camminando verso piazz’Adigrat, mi sono accorta quasi per caso cosa fosse la felicità pura, quella che si sente anche quando non è successo nulla di particolare.
Quando sono molto giù, ancora adesso ripenso a quel ritorno dalle vacanze, a quegli odori e a quella camminata e penso che non sarò mai più felice come lo sono stata allora. Non avrò più quelle certezze tipiche di una dodicenne, che è sicura che la sua vita sarà sempre così, con la mamma e con il papà in cucina a chiacchierare, e noi sorelle nelle nostre stanze. Ricordo quel senso di completezza, come se in quell’istante non avessi bisogno di nient’altro. Tutte le caselle della vita erano piene, non mancava niente.
Oggi sono andata con Sofia a un grande magazzino, a comprare delle calze e delle mutande. Siamo salite in macchina e abbiamo cominciato a chiacchierare del più e del meno. Andando, ci siamo fermate a un vivaio per cercare una pianta grassa che mi piace molto, ma non ce l’avevano. Siamo arrivate al grande magazzino: lei ha preso quello che le serviva, io quello che serviva a me. Poi, sempre chiacchierando siamo tornate in macchina per venire a casa.
D’un tratto, senza nessun preavviso, senza che fosse successo qualcosa, mi è venuto di chiedere a Sofia se lei crede che dopo la morte rimanga ancora qualcosa, anche solo una piccola parte di chi non c’è più. Senza pensarci neanche, mi ha detto che no, uno muore e poi basta.
Io lo so che uno muore e poi basta. Ma vorrei che non fosse così, vorrei che della mia mamma e del mio papà fosse rimasto almeno qualcosa, almeno quella serenità del giorno che siamo arrivate a casa dalle vacanze, e loro chiacchieravano nella cucina vecchia mentre noi eravamo ognuna nella propria stanza. Farei qualsiasi cosa per sentire le loro voci che arrivano dall’altra stanza, farei di tutto per passeggiare per via Sismondi in una giornata di afa con il cielo blu, alzare gli occhi e accorgermi di essere felice.
In macchina, qui a Cambridge, con Sofia ho ripensato a quel momento e mi sono messa a piangere forte. Sofia faceva di tutto per consolarmi, ma a parte quell’odore di asfalto e quelle chiacchiere nella cucina vecchia, niente mi consola più.
Niente.
Altro che piangere forte! La disperazione più totale! Credere che dopo la morte ci sia il nulla....è terrificante! Dopo la morte verrà il Bello invece!...grazie a Dio(e non è solo un modo di dire)
RispondiEliminaE' proprio cosi, cara Marina. Perdere i genitori lascia un vuoto incolmabile. Immenso. Lo capisco bene per aver vissuto anche nel mio piccolo, la perdita di mia madre pochi anni fa. Si cerca di consolazione e donare vita a dei ricordi che, a ben vedere, vivono attraverso i propri figli (forse), o una o due generazioni a venire, al massimo, e poi tutti nell'oblio. Resta solo il presente, ogni singolo respiro, le piccole cose. Si ricomincia da li, anche da un bicchiere di vino e una sigaretta (un toscano per me), e poi via, ad occuparsi dei figli e di ogni disastro quotidiano. Che tanto si e' soli con il proprio fardello, e non resta che accettare tutto quello che la vita ti passa sotto il naso. Coraggio.
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