"Ha preso da te" commenta papà








La morte di un genitore, ho scoperto, porta con sé moltissima burocrazia. Fortunatamente, nostra sorella maggiore è molto brava a tenere tutto sotto controllo. Una delle cose più difficili nel gestire tutto è la mia assenza, soprattutto per quanto riguarda firmare documenti originali. Abbiamo dunque deciso che una delle mie sorelle (siamo in quattro) sarebbe diventata la mia garante. 

 

Dopo aver spedito il certificato di morte di mia madre e la foto dei documenti di mia sorella al Consolato Italiano di Boston, un certo signor Tocco mi da un appuntamento alle 11 di mattina di ieri.

 

E forse è per questo motivo che mi sono svegliata con la netta sensazione di avere mia mamma e mio papà di fianco a me, che mi facevano compagnia e commentavano la mia routine mattutina. 

 

Dopo aver bevuto il caffè e aver mangiato una fetta di crostata (“Ma vedi che Marina adesso si è messa a fare le crostate?”, sento mia mamma dire a mio papà, sorridendo), sono andata a fumare (“ha preso da te, io non ho mai fumato di mattina”, commenta papà). Vado a fare la doccia, ma prima mi fermo in camera di Luca a fare il letto e a mettere un po’ a posto (“oh, brava!”, dice mia mamma). 

 

Arrivo nel mio bagno con la mia piccola cassa blu che collego al mio telefono per ascoltare la musica (“Ma chi sono ‘sti Wilco? Mica male…sembra dire mio padre. “Non è il mio genere”, risponde mia madre). Prima di entrare in doccia faccio gli esercizi per la mia gamba destra (“Ah, sì, ti devo raccontare: Marina è stata operata ben due volte alla schiena per via di un nervo schiacciato da due vertebre, ma ha ancora la gamba destra molto debole”, spiega mia mamma. Mio papà risponde “pora stèla!”).

 

Mi asciugo e mi vesto (“Ma cosa ha messo su! Ammadonna, mi è diventata proprio americana!” dice mia madre. Mio padre sorride ma questa volta non risponde). 

 

Al Consolato devo arrivare munita di passaporto e di un vaglia di 86 dollari. Prima di andare a Boston, vado in una farmacia vicino a casa dove, dice il sito web, lo fanno in un attimo. (“Sempre tutto all’ultimo momento! È un suo classico!”, dice mia madre. “Beh, non per altro è mia figlia!”, risponde papà un po’ fiero). Arrivo in farmacia, ma no, non li fanno più. Devo andare in quella a Central square. (“Ecco, stai a vedere che arriva tardi all’appuntamento!”, commenta la mamma un po’ scocciata). Decido di prendere la macchina, parcheggiarla da qualche parte, fare ‘sto vaglia e prendere la metro. Trovo parcheggio in un posto a pagamento, e con la mia app pago per dodici minuti. Vado a fare il vaglia che mi viene consegnato praticamente in tre minuti. Sono le dieci e cinque: presto, ma già che ci sono vado a Boston. Riaccendo l’app e aggiungo più soldi (e tempo) al parcheggio. (“Pazzesco, adesso uno non deve più andare ad aggiungere monetine, può fare tutto con ‘sta scatoletta che tengono tutti in mano!”, dice papà. “Scatoletta? Ma è un telefono!” “Un telefono? Senza fili? Ma di cosa stai parlando!” “Ti spiego dopo”).

 

Prendo la metro e faccio quattro fermate circa prima di arrivare a South Station. Esco dalla stazione della metro che sono le 10:20. (“Ammazza, che bella che è Boston! Sembra proprio di essere in un film americano, con i grattacieli, il traffico, la gente che cammina veloce…”. “Sì, è molto bella. Io ci andavo tutti gli anni per il compleanno di Luca”). È troppo presto per andare al Consolato, e d’un tratto mi viene in mente di aver lasciato la busta del tabacco a casa, per cui cerco un posto dove potermi comprare un pacchetto. Cammino per venti minuti (tra l’altro con le scarpe nuove che mi facevano male al piede sinistro), ma non trovo un posto che sia uno che vende sigarette. (“Ma è pazzesco! Nel centro di Boston e non si trova neanche un tabaccaio?” dice papà. “Beh, in America chi fuma è considerato un pirla”, risponde mia mamma, che conosce bene questo strano Paese). 

 

Sono le undici meno venti e mi incammino verso il grattacielo in cui ci sono gli uffici del Consolato, ma è troppo presto e la donna-guardia mi dice di tornare proprio due minuti prima dell’appuntamento. “Ma lei sa dove io possa comprare un pacchetto di sigarette da queste parti?”. Mi guarda come se le avessi chiesto di mostrarmi le tette, e mi dice che no, lei non lo sa perché non fuma. Decido quindi di cercare su Yelp un posto vicino dove trovarle. (“Cos’è ‘sto Yelp?”, chiede papà. “Ma che ne so! Non sono molto brava con il telefonino…”). Trovo, compro (“Cosa?!? Dodici dollari per un pacchetto di sigarette? E si può pagare con la carta di credito?!?” “Eh sì, costano tantissimo. Non è una carta di credito, è un bancomat. Oh, ma sei rimasto indietro, eh? Dopo ti spiego”) e fumo. 


Ritorno al grattacielo. 

 

“Diciassettesimo piano”, mi dice la donna-guardia che pensa che io sia una tossicodipendente. (“Ahia! Il 17 porta sfiga!”, annuncia papà preoccupato). Arrivo, il signor Tocco, gentilissimo, mi fa firmare un documento, me lo consegna e mi saluta cordialmente. Mando un messaggino alle sorelle: FATTO! (“Che bello che sono così unite, vero?” dice la mamma a papà, che sorride un sorriso un po’ triste. Si è perso la maggior parte della nostra vita, è curioso di noi ma anche un po’ giù). 

 

Riprendo la metro, scendo a Central, prendo la macchina e torno a casa.

“Brava Marina, e anche questa è fatta!”, dice la mamma con dolcezza.

Sì, anche questa è fatta.

 

Ciao, ragazzi, a presto! Dico a voce alta mentre mi accendo una sigaretta in bagno.



Commenti

Posta un commento

Post più popolari