Il mattino ha l'oro in bocca

 





Non è solo perché piove ormai da tre giorni, e neanche perché sono appena tornata da Milano con il cuore insanguinato. Non è per l’ennesima crisi epilettica di Luca o per la paura che si tratti di una cosa ben più seria.

 

È che quando mi sveglio alla mattina, verso le otto meno un quarto per portare Emma a scuola, sono molto suscettibile all’umore di chi mi sta attorno. Se qualcuno è teso, incazzato o risponde male, la mia giornata va a puttane. Una delle cose su cui dovrei lavorare con una terapeuta, e che conto di fare appena avrò 90 dollari alla settimana da spendere. 

 

Prendi stamattina. Mi alzo, mi vesto in fretta. Dalla finestra vedo il pulmino di Luca e scendendo le scale dico: “Bye Bye Luca! I love you!”. Invece sento Dan gridare con tono nevrastenico: “Luca è in camera sua! Portalo giù, no?”. Apro la porta della camera di Luca e infatti è felicemente coricato sul letto ad ascoltare la sua solita canzone. Si è tolto le scarpe. Gli dico di fare in fretta che c’è Konrad (il guidatore del pulmino) che lo aspetta. Fare in fretta è un concetto che Luca non conosce: con la lentezza di un bradipo si alza dal letto, gli metto le scarpe io così facciamo prima. Sempre più lentamente esce dalla stanza e fa le scale (quattordici gradini) in sei minuti. Roba da pressione alta a livelli mortali, ma ho imparato a respirare bene, come quando si partorisce. Konrad lo prende per la mano e lo accompagna al suo posto. Dan è di fianco alla porta, saluta Luca, la chiude e se ne va in cucina velocemente, come se ci fosse qualcosa che sta bruciando sui fornelli. Mi ignora.

 

Buongiorno!. 

(Sbuffa).

Cosa c’è?

Ho dormito malissimo, Luca continua a venire in camera; ho dovuto lavare tutti i piatti perché ieri sera non abbiamo fatto la cucina; potresti aiutare un po’ di più, no?

(La nostra routine è la stessa da 26 anni)

Ah sì, scusa. Ma avresti potuto lasciare la cucina così, avrei fatto io volentieri.

Ho dovuto anche buttare la pattumiera.

Avrei potuto fare anche quello.

 

Silenzio. Mi girano automaticamente i coglioni. 

Prendo due tazze per il caffè e comincio a prepararlo.

Faccio io!, mi dice Dan

Ma vai a cagare!, penso senza dire niente

 

Io e Emma usciamo. Mi piace portarla a scuola perché si chiacchiera del più e del meno.

 

Cos’aveva papà stamattina?

Ma che ne so, si sarà svegliato di cattivo umore…

 

Ci baciamo. Esce dalla macchina e io torno a casa. Mi arriva un messaggino di Richard che mi invita ad andare al Museum of Fine Arts (bellissimo) a fare un giro e poi pranzare lì. Questo domani. Che bella idea!, gli dico, ma domani io e Dan festeggiamo trent’anni di matrimonio, per cui magari sto con lui…Facciamo un’altra volta? Perfetto, facciamo la settimana prossima.

 

Dico a Dan di questa cosa, e cioè che ho rimandato un pranzo con Richard così domani stiamo insieme.

Vai pure, tanto io devo lavorare e poi domani devo iniziare il digiuno per un esame medico.

 

Al giramento di coglioni si aggiunge un certo tipo di dolore, quello di quando uno ci rimane male. Certo, mi dico, dopo trent’anni insieme non c’è più quella roba lì che non vedi l’ora di limonare. Dopo trent’anni ci si può anche ignorare, ci mancherebbe altro. Mi cambio, corro sul tapis roulant per più di tre chilometri, sperando di sciogliere un po’ di arrabbiatura, tristezza e di tutto il resto, faccio la doccia, porto i cani a fare una bella passeggiata e mi metto alla mia scrivania.

 

Sono troppo sensibile, lo so.



(nella foto, come siamo io e Dan di solito)

 

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