Ventisei anni diversi

 






Ieri Luca ha compiuto 26 anni.

 

Pur sapendo che non gli piace aprire i regali, come ogni anno glieli ho impacchettati. È difficile scegliere cosa regalargli, perché non ha nessun interesse se non l’Ipad, che ascolta sempre. Ma è per me un’opportunità per comprargli quello che gli serve: magliette, pantaloni, calze e mutande, cose del genere. Oltre a queste cose decisamente noiose, gli impacchetto anche quello che preferisce  mangiare: la maionese, i biscotti Oreos e i crackers Goldfish, che ama. Poi gli scrivo un bigliettino che può leggere: Luca, I love you, mommy. Non sono tante le parole che può leggere, ma quelle che conosce sono essenziali.

 

E come immaginavo, la mattina dopo, quando l’ho svegliato facendogli gli auguri e portandolo (di forza) in cucina, sul cui tavolo c’erano i pacchettini, è scappato in camera sua urlando ALL DONE! ALL DONE!

 

Certo che non me la prendo, anzi, mi fa molto ridere il fatto che il suo modo di affrontare il compleanno sia quello di scappare. Una reazione così diversa da quella di tutti gli altri. Il suo modo di vivere la vita mi affascina sempre molto.

 

A poco a poco, però l’ho aiutato ad aprire i regali, portandogliene uno per uno in camera sua. La cosa che gli è piaciuta di più è stata la scatola di crackers, che si è mangiato subito. Poi gli abbiamo chiesto cosa volesse fare, e lui ha detto go away, shut the door, che significa lasciatemi in pace in camera mia a guardare lo stesso video centomila volte. Così abbiamo fatto. Io e Dan abbiamo passato una giornata molto tranquilla. 

 

Mia mamma è venuta a casa nostra per vent’anni a festeggiare il compleanno di Luca, e mi è mancata più del solito. Con lei, Luca non si chiudeva in camera, ma le stava sempre addosso, chiedendole di cantare la loro canzone preferita: “Siam tre piccoli porcellin”. Era una coppia fantastica, quella di mia mamma e Luca. Sono certa che lui si chiede come mai non venga più. Me lo chiedo anch’io, anzi mi chiedo come sia possibile che non ci sia più. Ancora non mi sembra vero.

 

Ma, invece di piangere, mi sono messa a lavorare. Ho anche convinto Dan a seguire un corso di filosofia di Yale che ho trovato online e che mi affascina molto. Il docente, Shelly Kagan, cerca di capire se qualcosa di noi sopravvive dopo che il nostro corpo muore. Parte da Platone, poi Cartesio, che credevano nella presenza di un’entità non materiale (chiamala mente, anima, come vuoi) fino ai giorni nostri. I dibattiti fra chi è dualista, e cioè chi crede che l’essere umano sia formato da materia e non materia, e chi sostiene invece che sia fatto soltanto di carne e ossa, sono molto affascinanti.  Sono anche discussioni che mi aiutano a scrivere il libro sulla morte di mia madre, ma più in generale sulla morte su cui sto lavorando da mesi.

 

Verso le sette siamo usciti per portare Luca al ristorante. Ce n’è uno a venti minuti dalla nostra casetta di Becket, dove siamo andati più volte. Non solo perché nel menù ci sono cose che piacciono a Luca, ma, anche perché c’è una cameriera molto carina, che si è innamorata di Luca. Dice di aver lavorato per anni con persone autistiche e sa bene che a loro non piace la confusione, per cui ci procura sempre un tavolo in un angolo, tranquillo. 


Un po’ di tempo fa, aveva dato a Dan il suo numero di telefono, perché avrebbe voluto che Luca conoscesse i suoi bimbi. L’obiettivo era di far capire loro che non tutti sono uguali. Tutto questo mi ha fatto sorridere. Dan è bello, e lei ancora di più. Bionda, magra, con un viso stupendo, truccato ma poco. Il suo rossetto è di un colore perfetto. Ha aspettato che io mi alzassi per dare a Dan il numero di telefono. Ho pensato: guarda, ciccia, se te la senti di occuparti di Luca come ce ne occupiamo noi da anni, hai vinto tutto il pacchetto Dan-Luca. Dan invece ha commentato (con me, non con lei) che se i suoi figli vogliono vedere Luca, devono pagare almeno 50 dollari all'ora: mica è tutto gratis! Dice che si chiama handicapitalismo. Mi fa molto ridere.

 

Arrivati al ristorante, una che lavora lì ci dice che non c’è posto e che avremmo dovuto aspettare, cosa impossibile con Shmoo, per cui ci accingiamo ad andare a cena da un’altra parte. Ma la cameriera carina ci vede e, dopo un sorriso che neanche Meg Ryan, ci chiede di seguirla. “Vi trovo io un posto giusto”. Le spiego che siamo venuti per festeggiare il compleanno di Luca. Sembra molto contenta. Dopo averci portato ciò che avevamo ordinato, chiede (sempre a Dan: io ero fuori a fumare) il permesso di portare una fetta di torta con una candelina per Shmoo, ma Dan risponde che grazie, ma non mangia dolci. “Allora”, dice, “la cena di Luca la pago io”.

 

Quando sono rientrata e Dan mi ha detto questa cosa, mi è venuto un magone pazzesco. Mia mamma avrebbe fatto la stessa cosa, e questo è parte del magone. Ma è bello che l’autismo a volte riesca a tirar fuori la parte migliore delle persone. Anche degli estranei. 

 

Ho ragionato sul fatto che benché essere come Luca, e cioè così diversi dagli altri, crea senza dubbio delle difficoltà, riesce a volte ad affascinare chi lo osserva, a far aprire gli occhi e il cuore, a far fare azioni estemporanee e belle, che magari non si era mai pensato di fare. 

 

Secondo me, professor Kagan, abbiamo tutti un’anima, che viene fuori nei momenti più bizzarri. 



 

 

 

 

Commenti

  1. Come sempre dalla tua penna prendono vita le emozioni, le parole non riescono a stare "attaccate" allo schermo, volano via e mi arrivano dritte al cuore. Buon compleanno al tuo bellissimo figlio e grazie per essere come sei. Tua mamma sarebbe sicuramente orgogliosa di te.

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  2. Sei una grande Marina, leggerei i tuoi pensieri all'infinito.Sei un'esempio per tutti ....siete una famiglia stupenda❤

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  3. Uno dei miei blog preferiti di sempre. La nitidezza delle immagini che ci consegna Marina Viola è impareggiabile.

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