La tazza

 



Era il Natale del 1982. La nostra famiglia non si era ancora capacitata della morte improvvisa di papà avvenuta due mesi prima. Eravamo tutti in uno stato di confusione mentale ed emotivo. Ma mia mamma compiva gli anni, io e le mie sorelle avevamo deciso di festeggiarla come si deve.

 

Con i soldi risparmiati dalle paghette, avevamo fatto una colletta per comprarle un regalo. Non ricordo se fossimo andate da Marco, il negozio in San Babila che vendeva oggetti che a noi parevano indispensabili, o da Gadget, il negozio sotto la Galleria, altrettanto figo. Le avevamo comprato una tazza decorata con delle candeline. Con i soldi rimasti, eravamo andate al supermercato per comprare una di quelle scatole per fare una torta e dello zucchero a velo.

 

La mattina di Natale, benché il magone fosse quasi impossibile da mandare giù, ci eravamo svegliate ed eravamo corse in sala per spacchettare. Poi i nonni e gli zii erano venuti per il pranzo. Natale era una delle poche occasioni in cui si apparecchiava in sala, sul tavolo grande e ovale. La giornata era passata più o meno come tutti gli altri Natali. La torta era nascosta, la tazza impacchettata, pure. 

 

Avevamo ritagliato su un pezzetto di cartoncino le lettere che formano due numeri, un punto esclamativo e una parola: 40 Cazzo!, che avevamo messo sulla torta e sparso lo zucchero a vela, così che il messaggio fosse ben in vista. A cena, quella sera, erano rimasti i nonni e invece che in sala, avevamo apparecchiato in tinello. 

 

Ad un certo punto dopo cena era partito il coro: una teneva la torta, una il pacchettino. Le altre due cantavano a squarciagola Tanti Auguri A Te. Ricordo il viso della mamma, sorpreso, che per la prima volta quel giorno si era illuminato  con uno dei suoi sorrisi grandi, bellissimi. Poggiata la torta sul tavolo, mia madre si era messa a ridere e mio nonno si era messo a brontolare: “Ma come, adesso le parolacce le scrivono anche sulle torte? Ma come le hai tirate su?”. Commento che venne prontamente ignorato. Poi le avevamo dato il pacchettino. La tazza fu un successone, la torta buona, e la sera finì meglio del previsto.

 

Quella tazza, da allora, è stata sempre protetta da mia mamma come se fosse l’oggetto più importante della casa. Le dava addirittura fastidio se veniva toccata da noi. Quando aveva ospiti, la nascondeva per paura che qualcuno, ignaro del valore emotivo, la potesse rompere. Io non ho mai osato berci neanche un sorso d’acqua. Le mie sorelle nemmeno. 

 

Quando anche la mamma è morta, la domanda di cosa farne della tazza è arrivata quasi immediatamente. Nessuna di noi si sentiva di prenderla per paura che si rompesse. Nessuno se la sentiva neanche di toccarla. È rimasta lì, sull’asciuga piatti sopra il lavandino, dove l’aveva lasciata lei. Ogni volta che si apriva l’antina arrivava come un fulmine una folata di malinconia.

 

L’altro giorno Anna, la sorella più pratica, ha suggerito di portarla a Bordighera, dove era nata la mamma e dove abbiamo un piccolo appartamento. Alla mamma piaceva moltissimo andarci, e diceva sempre che ogni volta che ci entrava, le sembrava di essere a casa. Ci è sembrata la cosa più giusta da fare. Abbiamo anche portato dei libri a cui la mamma era particolarmente affezionata e le posate di Milano che abbiamo sempre usato.

 

Il viaggio per Bordighera in macchina è stato dominato dalle canzoni di Jannacci, che io e Anna abbiamo cantato a squarciagola fino a Sanremo. Poi ci siamo messe a chiacchierare sulla bellezza del mare. Siamo arrivate che era ora di cena; abbiamo acceso il riscaldamento di casa e siamo andate a mangiare alla pizzeria napoletana che piaceva alla mamma. Abbiamo ordinato la pasta ai frutti di mare, come faceva lei.

 

Tornate a casa, abbiamo fatto conoscere la tazza della mamma a quelle che da sempre sono lì. In principio, erano tutte un po’ offese: com’è, noi non andiamo più bene? E questa, vestita da compleanno, cosa vuole da noi? Ma abbiamo spiegato i nostri motivi per averla portata e le abbiamo lasciate da sole, nell’armadietto antico che era della zia Etta. L’indomani ci siamo svegliate e le tazze erano lì a chiacchierare. Si potevano anche sentire delle risatine. Quando qualche giorno dopo siamo partite, e loro erano lì a fare un pigiama party.

 

Sono certa e felice che la mamma abbia sorriso proprio come quella sera di Natale di mille anni fa.

Commenti

Post più popolari