Sopravvivere in Vermont












Dopo aver passato diverse settimane complesse alla mercé di un Luca violento e ossessivo per via di una medicina per dormire, mi sono presa una vacanza da sola. Ho prenotato un motel in Vermont, a Brattleboro, una cittadina molto pittoresca a due ore circa da casa. Non vedevo l’ora di arrivare, ero veramente diventata uno straccio e sapevo che stare quattro giorni da sola, in silenzio, sarebbero state davvero una manna dal cielo.

 

La mia vacanza in Vermont inizia così: mi sono dimenticata di venire. Il motel è prenotato da domenica a giovedì. Io domenica, invece, ero a Becket, con i miei amici. Siamo partiti per Cambridge con calma, fermandoci qua e là per fare delle commissioni. Arrivo a casa che sono le sette di sera e d’un tratto mi ricordo che avrei già dovuto essere in vacanza. Di fretta e furia, dopo tre ore e passa di macchina, guido per altre due emmezza, ma arrivo. 

 

Il GPS era confuso, mi diceva gira a destra, no, gira a sinistra, e ho fatto un po’ di fatica a trovare il motel. La hall è una stanzetta puzzolente all’interno di una casa sull’autostrada. Apro la porta e vengo assalita da un odore acre di sporcizia e di moquette mai pulita. Davanti a me, c’è un vetro antiproiettili, come quelli nei negozi che vendono alcolici a Brooklyn, dove ho abitato per tanti anni. Dietro il vetro, tra l’altro opaco dalla sporcizia, c’è un uomo del Bangladesh in pigiama. 

 

Invece di dirmi, buona sera, benvenuta o robe del genere, mi chiede la carta di credito, che per paura di ripercussioni violente, gli passo da sotto il vetro. La parete dietro di lui è sporca. Appesi con lo scotch e storti, ci sono sue o tre fogli di carta che avvisano che i cani sono benvenuti in tutte le stanze. Mi passa la carta magnetica per aprire la porta della camera e su una cartina mi mostra dove andare. Mi rimetto in macchina e cerco il numero 105. Le stanze sono a piano terra, si parcheggia davanti alla porta. Fuori da alcune camere c’è una sedia vecchia e sporca e una lattina di caffè arrugginita da usare come portacenere. D’un tratto, sono immersa in uno di quei film americani in cui l’omicidio violento avviene nella stanza che poi si circonda con la fascetta gialla con su scritto CRIME SCENE.

 

Trovo il numero 105. Dalla finestra noto che una delle tende è staccata per metà. Apro la porta e vengo assalita di nuovo da quell’odore della hall. Fa niente. Sono le 11 di sera e sono stravolta. Noto che sulla porta di alluminio c’è un taglio, molto probabilmente fatto da un omicida che ha tagliato l’ultima ospite a pezzettini da dare agli orsi per cena. Porto tutte le mie cose in camera e cerco disperatamente di chiudere comunque le tende, anche perché sono proprio al livello del marciapiede. Non ci riesco. Scocciata, torno dal tipo del Bangladesh e gli chiedo di cambiare camera perché la tenda è rotta. “E chi l’ha rotta?”, mi chiede severo. “Non saprei, io no”, rispondo, a questo punto impaurita. “Sono quelle stronze di cameriere che puliscono le stanze”, borbotta, dandomi un’altra carta magnetica, questa volta senza cartina. Rimetto tutto in macchina, vado alla 115. È una di quelle con una sedia verde con il sedile di stoffa macchiato, ma niente portacenere. Ci rimango un po’ male. Nel parcheggio di fianco a me ci sono due Harley Davidson, uno dei proprietari è grasso, vestito in pelle con le borchie, capelli e barba lunghi. Sarà lui l’assassino, mi dico a voce alta. La stanza non puzza, è molto grande e graziosa. Il bagno è piccolo, ma pulito, il letto enorme, una cassettiera su cui posa una televisione enorme, una scrivania e una poltrona senza macchie. 

 

Mi faccio una doccia, mi apro una bottiglia di bianco portato da casa, ne bevo un bicchiere prima di spegnere la luce e dormire. 

 

La buona notizia è che sono ancora viva, che sono in una stanza grande e graziosa in un motel silenziosissimo in cui nessuno ti rompe i coglioni se fumi.

 

 In fondo, mi dico, magari il vetro antiproiettili non è poi una cattiva idea.



 

 

 

Commenti

  1. Sin da ragazzina avrei voluto visitare il Vermont, magari in autunno. Lo associo ai boschi, ai colori delle foglie e a casette deliziose. La scelta non sarebbe mai caduta su di un motel. Mi ha fatto molto ridere leggere le sue considerazioni! Un caro saluto ed un forte abbraccio, Giusi da Salerno

    RispondiElimina
  2. Buon riposo Marina cara e aggiornaci quando puoi 🥰

    RispondiElimina

Posta un commento

Post più popolari