2Mila miglia con un marziano. Terza tappa: Chicago



Come Rochester, NY, si capisce che un tempo la città di Cleveland, Ohio era ricca ed elegante, ma adesso è trasandata, povera. La casetta che abbiamo affittato per la notte è in una zona signorile, circondata da case enormi e giardini all’inglese. Ma gli altri quartieri mostrano una città fantasma, abbandonata: case incustodite, strade vuote, odore di trascuratezza e di povertà. 

 

Dopo aver fatto colazione, abbiamo iniziato il lungo viaggio verso Chicago. Ci è toccato attraversare il noiosissimo stato dell’Indiana, che puzza di repubblicanismo e di provincialismo. Infatti, è dove vive l’ex vicepresidente Mike Pence, quello che non stringe la mano alle donne perché sono il diavolo. Non a caso, pare che l’industria più lucrativa sia la produzione di camper, come a dire: vai, molla questo posto di merda e vai. Camper, bici, motorino, skate board non importa. Tu vai, vai…E ce ne siamo andati anche noi, guidando il più in fretta possibile su un’autostrada dritta, bollente e infinita. Ci sono volute quasi sei ore, ma verso sera siamo finalmente arrivati.

 

Chicago è imperiale, mastodontica, elegante e di una bellezza incommensurabile. Una New York gentile. Lo skyline accoglie chi arriva con un sorriso, con un senso di fierezza e di affetto.  Quando siamo arrivati, ci siamo ritrovati tra le cosce della città (immagine rubata senza indugio a Francesco Guccini quando parla di Bologna), calde e umide. Da sempre, quando sento nominare Chicago, mi vengono automaticamente in testa due immagini precise: Barak Obama e i Blues Brothers. Non male, no? 

 

Sofia non stava più nella pelle e continuava a mandare messaggini: “Dove siete? Siete quasi arrivati? Dove ci incontriamo? Veniamo noi da voi? Quanto manca?”. Dopo aver studiato il menù per assicurarsi che ci fosse qualcosa per Luca, ha prenotato un ristorante polacco nel quartiere polacco, dove si parla solo polacco e non si capisce nessuna scritta, perché in polacco. È la zona in cui abita. Se si iscrive a Solidarnosh, la diseredo, sia chiaro. Oltre a diversi tipi di salsiccia polacca, il menù proponeva anche la cotoletta, anch’essa polacca. Malgrado le sei ore di macchina, Luca era di ottimo umore, e dopo avere mangiato tutto, come sempre, si è alzato e ha bighellonato attorno ai tavoli, cosa che irrita profondamente Sofia, e infatti la tensione si tagliava come le salsicce nel piatto. Tra l’altro, il ristorante polacco era quasi vuoto, per cui davvero non disturbava nessuno. Ho tentato di spiegare a Sofia che vive la difference, ma si capiva lontano un miglio che era scocciata, imbarazzata. Non capisco, visto che è proprio lei la più coinvolta di tutti sui diritti delle persone diverse, ma non ho voluto litigare e, controvoglia, ho finto di ignorare. Un giorno però la becco e mi faccio spiegare come mai suo fratello la irrita così profondamente.

 

L’appartamento che abbiamo affittato per tre giorni era un po’ buio, ma molto grazioso. Luca, come sempre, si è preso la stanza più bella. “Pillow! Plug it it! Shut the door!”. Poche parole, ma quelle giuste. Dopo aver cenato con Sofia e Darby, il suo compagno, siamo tornati nell’appartamentino, dove ho incontrato Kathy, una dei tre proprietari dell’Airbnb. Era nel giardinetto proprio dietro casa e fumava! Non mi sembrava vero: negli Stati Uniti, chi fuma è considerato un coglione, infatti  mi devo sempre un po’ nascondere perché è come toccare il culo sull’autobus. Non si fa. Ho portato fuori un piccolo portacenere comprato in un negozietto a Cleveland, e ci siamo messe a chiacchierare. Mi ha raccontato di essere autrice di testi per comiche stand up, come Sarah Silvermann, che io reputo una delle donne più spiritose al mondo.  Dopotutto, mi ricordava, Chicago è la città dei comici, da John Belushi a Bill Murray passando per Robin Williams. I più grandi. Abbiamo fumato tipo dieci sigarette e chiacchierato per ore.

 

La mattina dopo, verso le cinque, ci siamo svegliati di colpo perché Luca stava avendo una crisi epilettica piuttosto importante, per cui quel giorno abbiamo deciso di lasciarlo tranquillo. Dan e Sofia sono usciti la mattina per visitare la città, e nel pomeriggio ci siamo dati il cambio e io e lei siamo andate a fare un po’ di shopping. Luca invece è stato chiuso in camera tutto il giorno, dove ha dormito molto. Quella sera, Sofia e Darby hanno proposto di stare con lui, così io e Dan siamo andati a un localino per un hamburger e tre (quattro) birre, di quelle che vanno giù come niente. 

 

Il giorno dopo, Sofia ci ha fatto una sorpresa dolcissima. Da qualche mese lavora all’Art Institute of Chicago, il secondo museo più grande degli Stati Uniti dopo il Moma di New York. Quel giorno, il museo era chiuso, ma lei ci ha invitati per un tour privato, tutto per noi. Ha prenotato una sedia a rotelle per suo fratello, che ha sempre voluto spingere lei. Luca cammina peggio di una lumaca,  benché nessuna delle sua disabilità giustifica la sua pigrizia cronica, e comunque ama essere spinto mentre ascolta la sua musica, e ci ha portato su e giù per le varie sale enormi. Mi sono commossa davanti a Van Gogh, ma sono rimasta a bocca aperta davanti ai dipinti di Georgia O’Keeffe. Non mi era mai capitato di vederne uno dal vivo, e mi è toccato mandare giù due o tre lacrimucce, tanto per cambiare. 

 

Non è stato facile salutare Sofia, perché chissà quando ci rivedremo. E non è neanche stato facile lasciare Chicago. Di cui mi sono innamorata all’istante. Ma Detroit, nello stato del Michigan, ci aspettava e la mia speranza di incontrare Stevie Wonder da qualche parte per abbracciarlo mi ha aiutato a salire in macchina e andare.

 

 











 

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