29 febbraio, non tornare!







Nella mia vita, non ho mai fatto troppa attenzione al 29 febbraio. Non l’ho mai considerato un giorno speciale, o uno che porti fortuna o sfortuna. Poi, mi sono svegliata ieri e ho notato che era il 29. “Un giorno come un altro”, mi sono detta verso le otto. Già alle otto e dieci ho capito invece che sarebbe stato un giorno di merda. “Per fortuna che capita ogni quattro anni”, penso tra me e me.

Infatti, alle otto e sette minuti, guardo i messaggi e vedo che qualcuno è ferocemente arrabbiato con me su una cosa successa la settimana scorsa e che fino a ieri sera quando sono andata a letto non era un nodo di discussione. Dopo rispondo, ho pensato scendendo le scale per andare in cucina. Di fronte alla porta di casa, c'è una valigia. Dan sarebbe partito per Portorico una mezz’oretta dopo. Sono molto contenta per lui, che si merita tutto il tempo che vuole per rilassarsi e divertirsi. Ma mi mancherà molto. Segretamente mi spiace rimanere da sola per una settimana. 

 

Mi accoglie con un sorriso, uno di quei suoi bellissimi: “Vuoi un croissant? Sto andando a comprare qualcosa per colazione!” Avrei dovuto dire di no, perché da tre settimane sono a dieta ferrea, ma ormai ero già giù di morale e so che in questi casi una buona dose di burro e di zucchero non può che farmi bene. Mentre lo aspetto, mi sono ricordata dell’appuntamento con lo specialista della colonna vertebrale. Un incontro che vorrei non affrontare.

 

Tanti anni fa venni operata alla schiena perché il nervo sciatico era soffocato da un’ernia, e avevo perso funzionalità e forza alla gamba destra. Operazione delicata, ma fatta e il problema si è risolto. Quattro anni fa è ritornata la stessa cosa. Seconda operazione, nello stesso punto. Operazione complicata ma, questa volta, senza risultati. La gamba destra è talmente debole che non riesco più a stare sulle punte e cammino male. Da tre mesi circa ho cominciato ad avere forti mal di schiena e un dolore allucinante nella parte sinistra. Terrorizzata che potesse succedere tutto anche a questa gamba, ho preso appuntamento dal dottore. Appuntamento: 10 in punto.

 

Arriva Dan e facciamo colazione insieme. Lui felicissimo e io anche, per lui. Ho cercato di mandar giù con il croissant un po’ di tristezza per la sua assenza, un po’ di ansia per aver saputo che qualcuno è arrabbiato con me e moltissima tensione per l’appuntamento. Intanto, Emma si era alzata tardi e aveva perso la prima ora di scuola, provocandomi un’incazzatura a cui non ho però dato peso. 

 

Salgo in macchina e arrivo dal medico in tempo, ma impiego circa dieci minuti a trovare parcheggio. Mentre la tensione aumenta di minuto in minuto (“’Sti americani non sanno neanche guidare!”; “Spostati, pirla, che stai bloccando il traffico!” e via dicendo), ricevo una foto da Dan in aereo: "Decolliamo tra qualche minuto!". Arrivo nello studio clinico tutta trafelata. Io e lui non ci vedevamo da quattro anni. È un bell’uomo, e in questi anni gli sono venuti i capelli brizzolati che gli donano molto. Chiacchieriamo. Mi dice di aver appena cambiato le lenti a contatto e adesso riesce a vedere bene da lontano, ma non da vicino. “Beh, sa, ho cinquant’anni…”, come a dire che è vecchio. Lo dice a me, che sono zoppa, sovrappeso e cinquantacinquenne. Non commento.

 

Comincio a spiegargli dei miei sintomi e delle mie preoccupazioni. Fa domande. Rispondo. Rilegge i risultati dell’ultima risonanza, dell’operazione e dell’esame quello orrendo in cui ti mettono degli aghi attaccati a fili elettrici per capire come funzionano i nervi. “Il nervo sciatico a destra, quello su cui è stata operata ben due volte, è ormai talmente danneggiato che non migliorerà mai. Camminerà così per tutta la vita”. Silenzio. Mi guardo le scarpe per non mostrare l’inizio pungente delle lacrime. “Sorry”, mi dice, come se fosse colpa sua. It’s ok, rispondo, perché in America quando arriva una notizia orrenda, si dice it’s ok, come a dire, dai, fa niente, dopo scendo e mi schianto contro un albero.

 

Torno a casa afflitta. Me ne vorrei tornare a letto, ma decido di affrontare la persona arrabbiata con me. Discussione che subito prende una piega bruttissima e che, aggiunta alla notizia che camminerò storta tutta la vita, non riesco a gestire bene. Emma mi chiama per chiedermi se può tornare a casa e se io posso andarla a prendere perché fa freddo. Risposte, in ordine di richieste: sì e no. Se ogni volta che fa freddo la devo andare a prendere, passo la mia vita in macchina. Nel Massachusetts fa caldo per tre settimane all’anno. Un caldo umido e orrendo, poi si torna subito al freddo.

 

Mi ordino da mangiare (un’insalata con broccoli, avocado, cavolo verde e riso integrale, per non farmi mancare niente) e vado nel mio studio. Mi guardo allo specchio per la prima volta da quando mi sono svegliata e noto che gli ottanta dollari più venti di mancia spesi dal parrucchiere ieri pomeriggio, non sono serviti a niente. I miei sono capelli indomabili, non c’è parrucchiere, crema, mousse o altro che tenga. E noto anche che sono quasi tutti bianchi. Una giornata di merda per capello bianco, per quello che ne ho così tanti.

 

Tutto questo per dire che il 29 febbraio fa cagarissimo.

 

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