Non c'ho la biro






Ieri è stata una giornata bruttissima. Attesa, sudata, difficile da coordinare, faticosa, piena di discordie e di alleanze, ma sapevamo benissimo che sarebbe arrivata: abbiamo venduto la metà dell’appartamento che i nostri genitori comprarono quando erano ancora un piccolo nucleo famigliare e che ci ha fatto diventare sei persone speciali. Poi cinque, dopo la morte di papà, e poi ancora, quattro. Era un appartamento troppo grande per potercelo permettere, e abbiamo deciso di dividerlo in due appartamenti e venderli. Ecco, ieri abbiamo venduto la prima parte, che per noi era la sala.

La tristezza infinita non è dovuta solo al fatto di averla venduta, ma per un garbuglio di eventi di cui siamo venute al corrente solo poco fa, il nuovo proprietario è persona non grata nella nostra famiglia, anche quando mia madre era ancora in vita. In questi due anni ha fatto di tutto per mettere i bastioni fra le ruote ad altri compratori interessati, che ha fatto fuggire, facendoci spendere migliaia di euro, con il solo obiettivo di comprarsela lui. È un appartamento più piccolo di quello in cui attualmente vive (al piano di sotto) che deve essere completamente ristrutturato. Ci siamo chieste, io le sorelle, il perché di tanta determinazione. Se si dovesse trattare del fatto che, essendo questa una persona piuttosto superficiale, andrà in giro a dire di aver comprato la casa di nostro padre, sarebbe un ultimo, dolorosissimo calcio in bocca. Comunque sia, stiamo tutte e quattro cercando di ragionare da persone adulte, e prima o poi ci passerà anche questa rabbia.

 

In preparazione per questo incontro, il notaio aveva richiesto, tra gli altri documenti, i certificati di morte dei nostri genitori. Anna, una mia sorella, si reca in Comune, ma le dicono che potranno consegnarlo dopo due settimane e di chiamare un numero del Comune per provare a velocizzare la cosa. Prima di chiamare il numero, Anna chiama il notaio per dire che forse non potrà ottenerli in tempo e, dalla disperazione, pronuncia la seguente frase: “Se vuole, le mando la foto delle loro tombe…”. Ma no: bisogna portare documenti. Chiama il numero e fortunatamente le danno appuntamento lo stesso giorno. Si reca all’ufficio competente e il signore dietro il bancone comincia a raccontarle delle sue vacanze estive: dove, quando, con chi (“per una volta, senza la suocera!”). Anna ascolta, ma dentro freme. Finalmente, arriva il suo turno. La conversazione con la persona incaricata di dare i certificati prosegue in questo modo:


“Buongiorno, sono qui per richiedere i certificati di morte dei miei genitori. Si chiamavano Franca Moretti e Giuseppe Viola”

“Franca Moretti non ci risulta sia morta, signora…”

“Glielo giuro: io c’ero…”

“Ma quel giorno sono morte tante persone con lo stesso nome di sua madre…”

“Una di quello, potrei metterci la mano sul fuoco, era mia madre…”

Lo trova.

“Ah, sua mamma era nata a Bordighera! Che coincidenza: mia madre è di Arma di Taggia…”

“Interessante…”, risponde Anna ormai con la pressione altissima

“Sì, ma me lo faccia dire: ci siamo trasferiti a Pescara, perché lì sì che si vive bene…Arma di Taggia è anche carina, ma il mare del Sud…”

Prosegue così a raccontarle la storia della sua vita, da quando, bimbo di sette anni si trasferisce con la famiglia al Sud.

"Ma lei c'è mai stata a Pescara?"

"No, mi spiace..."

"Ah, mi faccia raccontare la bellezza della città..."

Anna, sull’orlo di una crisi di nervi, fa finta di essere interessata.

“Comunque. Poi suo padre si chiamava Giuseppe Viola, nato a Milano il 26 ottobre 1939 e deceduto a Milano il 17 ottobre 1982”

“Esatto!”, dice Anna che intravede da lontano una possibile conquista.

“Ma non è morto!”

‘Guardi, se non è morto lo ammazzo io: sono più di 40 anni che tra terapia, antidepressivi e altro siamo in ballo per lui…”

Lo trova.

“Facciamo un gioco: mi dica a che ora è nato suo padre?”

“No vabbè, io sarei anche di fretta…”
“Dai, cerchi di indovinare”

Anna spara un’ora a caso.

“Sbagliato! È nato alle 8:20”

“Adesso mi sento più completa, la ringrazio”.

 

Insomma, esce esausta, ma vincitrice.

 

Mio padre, con Jannacci, anni fa scrisse di una scena al comune: uno che cercava il documento di residenza si accorge di non avere la biro: “Eh, non c‘ho la biro, e allora? Allora stiamo qui tutta la vita perché non c’ho la biro…Qui uno che lavora al tornio tutta la vita senza la biro è un pirla…”

Forse si tratta di suggestione, ma sono quasi convinta che mio padre abbia voluto dirci qualcosa, forse che la vita va avanti, ma certe cose rimangono per sempre, come il Comune di Milano.

 

Ieri sera, sono venuta in campagna con i miei cani e basta. Mi sono comprata una bottiglia di prosecco e l’idea era di sgolarmela da sola ascoltando Jannacci. Invece, non essendo stata assolutamente in grado di aprire la bottiglia, ho bevuto un bicchiere di vino e sono andata a letto.

 

E prima di addormentarmi mi sono accorta di essere meno triste.

Commenti

  1. "Quel giorno sono morte tante persone con lo stesso nome di sua madre" ...

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