E mi fa: "I love you"

 










Il fatto è che quando ci viene a trovare Luca, dal venerdì pomeriggio alla domenica due volte al mese, io sono costretta a diventare il suo peluche preferito. Non posso andare in bagno, cambiare stanza, sedermi sul divano a guardare la tele, parlare al telefono per più di sette minuti. 

Dormire. Sì, perché lui diventa completamente ossessionato da me, in modo anche poco sano, direi. La sera, quando è ora di andare a letto, Luca diventa un enorme pietra di quarzo: si corica per terra in cucina o in sala e da lì non si muove fino a quando io vado con lui in camera sua a dormire. A volte, lo ammetto, ho ceduto, andando contro tutte le teorie terapeutiche comportamentali, che dicono che se accetti una volta, è fatta. Insomma, invece di essere stra felice di vederlo, mi prende un colpo già da venerdì notte, di solito verso le due o le tre, quando se mi muovo lui si sveglia, per cui rimango con la sua testa sulla mia faccia, i suoi piedi attaccati ai miei, scomodissima.

Io e Dan abbiamo quindi deciso che Luca per un po’ verrà solo per una notte, quella di sabato, e che quando comincia la sua scenata coricandosi per terra, io esco. Per andare dove? Non lo so, perché, va detto, né io né Dan abbiamo amici a Cambridge. Stare in macchina per un’oretta da sola mi sembra tristissimo. Per cui sabato scorso ho deciso di andare al Plough and Stars, tipico pub irlandese (a Boston ci sono quasi più irlandesi che americani) molto carino. Un posto abbastanza piccolo, anzi, lo si potrebbe anche definire intimo.

Sono le nove e un quarto di sabato sera. Parcheggio e entro dalla porta di legno verniciata di nero. Decido di non sedermi a un tavolo, che sono tutti per quattro persone, e noto uno sgabello libero attorno al bancone. Mi siedo e ordino il mio nuovo cocktail preferito: un Manhattan con bourbon e ciliegina. Mi arriva quasi nello stesso momento in cui lo sgabello poco distante a me viene occupato da uno. Io, intanto, sto leggendo sul telefonino il capitolo che ho scritto qualche mese fa per un libro sulle isole che è appena uscito. Non mi ricordavo esattamente cosa avessi scritto. Sì, raccontavo dell’isola delle persone autistiche, ma i dettagli non li ricordavo.

Inizio a leggere, e alla prima frase, il tipo mi fa: “Vivi a Boston? Io sono qui per turismo, abito vicino a Washington”. Rispondo che sì, anzi in realtà vivo a Cambridge da sedici anni. Partono la seconda, poi la terza e poi la quarta domanda. Alla quinta dico: “Scusami, ma stavo leggendo una cosa…” Lui risponde: “Ah scusa…figurati! Io non sono mica uno che va nei bar a cuccare”, frase che fingo di ignorare perché la risposta sarebbe antipatica.

Ricomincio dunque dalla prima frase del racconto, anche se sento gli occhi del tipo di Washington addosso. Riesco comunque a leggere il primo paragrafo senza interruzioni. Alla seconda frase del secondo paragrafo, sento uno che mi fa: “Questo sgabello è libero?”. Lo era, quello proprio di fianco al mio. Questo tipo avrà avuto una cinquantina d’anni, la parlata un po’ strascicante di chi ne ha bevuto uno di troppo. L’accento, fortissimo di Boston. Io continuo a leggere, lui mi chiede: “Cosa leggi?”. Qui avevo due scelte: potevo dirgli che stavo studiando un saggio di filosofia, oppure la verità. Vado per la seconda, e al momento non do tanto peso al come il bostoniano un po’ brillo avrebbe potuto reagire. Dico solo che è una frase che sabato prossimo userò alla prima domanda del primo tipo che mi rivolge la parola. È la frase meno sexy del mondo, che fa passar la voglia di rompere il cazzo a qualcuno in un pub irlandese. “Sto leggendo un capitolo che ho scritto in un libro. Sull’autismo. Sì, perché ho un figlio autistico a basso funzionamento ed infatti è per questo che sono qui da sola: è troppo attaccato a me per cui se resto in casa non riesce ad andare a dormire. Altre domande?”

Benché brillo, l’espressione che vedo sembra dire: minchia, dovevo sedermi proprio di fianco a una sfigata! Invece dice: “Ah, buona lettura” mentre si alza a cercare un altro sgabello libero. Ho finito di leggere e di bere, ho pagato e sono uscita. Prima di entrare in macchina, mi sono accesa una sigaretta. Però, mi sono detta, ho appena compiuto 56 anni e ci sono ancora uomini che mi notano. Certo, uno mezzo ubriaco, l’altro un idiota. Ma non stiamo qui a cercare il pelo nell’uovo!

Sono tornata a casa. Luca era tranquillo in camera sua. Mi sono seduta sul divano a guardare quello che stava guardando Dan, avvolta da una coperta perché odio l’aria condizionata. Passano due minuti e vedo Luca sulle scale. Mi nascondo sotto la coperta, ma vengo sgamata quasi subito. Salgo con lui in camera sua, gli do un bacio della buonanotte e chiudo la porta dietro di me. Lui la apre quasi subito e mi fa “I love you”, richiude la porta e torna a letto.

Me lo sarei rimesso nell’utero. 

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