Logan Airport, Terminal E





L’altro giorno sono uscita tutta di corsa per andare all’aeroporto di Boston a prendere mia sorella. Dopo aver parcheggiato a tipo tre chilometri da dove dovevo andare, sono arrivata di fronte alla porta doppia da cui esce chi arriva dall’estero. Terminal E. Davanti c’è uno spazio a semicerchio abbastanza grande interrotto da una sbarra di metallo, dove si appoggiano amici e parenti dei viaggiatori che aspettano. Si crea, tra noi che ogni volta che si apre la porta sussultiamo, una specie di cameratismo. Ammetto che, personalmente, quando arriva qualcuno e si abbraccia con chi lo aspetta, mi viene una punta d’invidia.

Ci sono sempre due pensieri che mi sorgono ogni volta che aspetto qualcuno. 

Il primo è che davvero siamo tutti come dei pezzi di puzzle sparsi qua e là nel mondo, legati da affetti e amori che si riuniscono attorno a quella sbarra di metallo e in qualche modo riportano ordine nelle relazioni, nel cosmo intero. Proprio come due pezzi di puzzle che finalmente combaciano perfettamente. Nasce tra noi che aspettiamo una specie di energia positiva, un’attesa comune, la risoluzione dei tanti periodi di malinconia. Abbiamo tutti lo stesso obiettivo: ritornare ad essere completi, felici, finalmente insieme. Escono dalla bocca dell’aeroporto persone per noi estranee, ma per chi le aspetta, speciali. Qualcuno scoppia a piangere, altri si corrono incontro con un mazzo di fiori, con una felicità negli occhi che straborda, contagiosa nell’attesa che capiti presto anche a noi.

Il secondo pensiero, invece, mi rende triste. Ho passato vent’anni attaccata a quella sbarra in attesa di mia madre, che arrivava ogni autunno per festeggiare Luca. Fremevo. Arrivavo talmente in anticipo che dopo quaranta minuti mi nasceva un dubbio strano: e se non la riconosco? Invece arrivava sempre, stanca e in astinenza da fumo. L’abbraccio era sempre forte e bagnato da qualche lacrimuccia. Due pezzi di puzzle che insieme formano un disegno, che chiudono un cerchio, che ristabiliscono ordine nelle nostre vite.

Mentre aspetto, guardo sempre con attenzione chi esce. Ci sono famiglie con bambini, giovani, anziani, persone di tutti i colori e di tutte le culture. Ci sono quelli alti, quelli biondi, quelli sovrappeso, quelli con cento tatuaggi, quelli timidi. Ci sono militari, studenti, zoppi, persone vestite malissimo, persone con i sandali e le calze, volti stanchi, eccitati, contenti di essere finalmente arrivati dopo ore e ore di viaggi scomodi. Ci sono hostess, piloti, preti, persone con i pantaloncini anche d’inverno, con sette valigie e dodici scatoloni, coppie che tornano dai viaggi di nozze o da un funerale o da una vacanza. C’è chi arriva per cambiare completamente la propria vita e chi rimane solo una settimana. C’è, in poche parole, l’umanità intera. 

Ci sono tutti, tranne chi si aspetta. Scrivo un messaggino a mia sorella dicendo: “Sono usciti tutti, anche quelli atterrati a New York, anche chi lavora in aeroporto, anche chi si è fermato un attimo a fare pipì. Siamo rimaste solo io e te, separate da due porte selettive e antipatiche, un po’ stronze. Dove sei?”

Dopo un’eternità, arriva il mio momento di correre incontro al mio pezzo di puzzle e sembra che l’attesa d’un tratto sia stata brevissima. Usciamo a fumare una sigaretta prima di cominciare il lungo percorso verso la macchina. “Che bella valigia, nuova?”. No, dice, leggendo il nome sul cartellino appeso alla maniglia. “Oddio, ma questa non è la mia valigia!”. Prima di capire cosa fare, parte la prima ridarola stile seconda media, poi la ricerca di qualcuno che possa aiutarci. Decidiamo di far rientrare mia sorella nella pancia dell’aeroporto, lasciare la valigia non sua e cercare quella giusta. Io ritorno ad aspettare, ma per poco: mia sorella esce dopo pochi minuti vittoriosa, con la sua valigia di un colore diverso rispetto a quella di prima.

Arriviamo a casa, stanche ma talmente felici che si cominciano a distribuire regalini: libri italiani, deodorante Neutro Roberts, uno scrub da usare sotto la doccia, la Settimana Enigmistica. Cose che hanno odore di casa, quella lontana da casa. Dan intanto ha preparato una delle sue cene buonissime, apparecchiato bene, felice come una pasqua. 

Inizia così il nostro momento per le chiacchiere, le riflessioni, le mille risate, i bicchieri di vino e le troppe sigarette. 

Sarà tutto bellissimo.


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