Luca e i suoi siblings






L’altra sera sono andata a un incontro davvero interessante, organizzato da Lidia Carew, che con la sua realtà Lidia Dice porta avanti questi eventi che si chiamano Standard Nights. Il tema della serata erano i siblings, cioè i fratelli e sorelle di persone neurodivergenti o con disabilità fisiche. C’erano Filippo Solibello, conduttore radiofonico e fratello di una donna disabile, e Giacomo Mazzariol, autore di Mio fratello rincorre i dinosauri, il libro in cui racconta del fratello Giovanni, nato con la sindrome di Down.

Ero molto curiosa, ma anche un po’ in ansia per quello che avrebbero detto. Perché se è vero che di neurodivergenza ormai parlo da anni, non ho mai davvero approfondito quanto le diversità di Luca abbiano inciso su Sofia ed Emma. Una cosa la sospettavo: magari si sono sentite messe da parte, meno importanti. Magari hanno provato rabbia, verso di noi e verso il loro fratello. E lo ammetto, sapevo che mi sarei sentita in colpa per non aver mai scavato a fondo in questa parte della nostra storia familiare. Speravo però, ascoltando le esperienze degli altri, di trovare un po’ di consolazione, magari un finale rassicurante: i genitori non hanno capito tutto subito, ma poi sono stati perdonati, e ora va tutto bene.

Ecco, non è andata proprio così. Giustamente, i racconti si sono concentrati molto su quanto i fratelli e le sorelle abbiano sofferto per la distanza emotiva dei genitori. E li capisco. Quando nasce un figlio che ha bisogno di più cure, più attenzioni, che porta con sé paure, fatiche, complessità, non è facile passare in un attimo all’altro figlio, come se niente fosse. C’è un lungo percorso di accettazione: prima lo shock, poi la paura, poi la solitudine… e infine si impara ad amare quel figlio che è diverso da come lo si era immaginato. Ma tutto questo ha un prezzo, e spesso lo pagano i fratelli.

Poi, da grandi, si rendono conto che i genitori hanno fatto il meglio che potevano. E li perdonano. Mentre ascoltavo, non nego di aver sentito un nodo alla gola pensando a Sofia ed Emma. Perché sì, anche loro hanno vissuto così. E non so se è già passato abbastanza tempo perché ci abbiano perdonati. Ma ci spero.

Solibello e Mazzariol hanno poi toccato un tema che non mi era mai venuto in mente: la differenza tra come vedono le cose i genitori e come le vedono i siblings. Noi genitori vorremmo tenere il figlio disabile sempre vicino, per proteggerlo. I fratelli e le sorelle, invece, pensano alla sua autonomia, alla sua autodeterminazione. Dicevano che, non essendo genitori, riescono a vedere meglio le capacità delle persone neurodivergenti e si prendono spesso la responsabilità di spingere i genitori a lasciarli andare, a farli cadere, sbagliare, crescere.

E anche qui, non posso che dargli ragione. Quando io e Dan abbiamo cominciato a pensare di trovare una sistemazione per Luca fuori casa, le mie figlie sono state le prime a dirci: “Certo che dovete farlo. Anche lui ha bisogno di essere il più indipendente possibile. All’inizio sarà dura, ma è la cosa giusta per tutti.” E io, dentro di me, pensavo che non avessero capito nulla. Ma come, Luca non riesce nemmeno ad andare in bagno da solo, ma secondo loro avrebbe trovato soddisfazione ad arrangiarsi? E invece, avevano ragione loro. Come quasi sempre. C’è uno spazio diverso, più ampio, tra i siblings e i loro fratelli con disabilità. Uno spazio che permette di vedere con più lucidità, mentre noi genitori viviamo in simbiosi.

Si è parlato anche di un’altra paura enorme: quella di dover “accollarsi” il fratello disabile quando i genitori non ci saranno più. A quel punto ho preso la parola. Ho raccontato che io e Dan abbiamo sempre detto alle nostre figlie che, prima di morire, avremmo fatto in modo che Luca non pesasse mai su di loro. E loro, i relatori, mi hanno risposto: “Ma invece se ne occuperanno lo stesso. Perché vorranno farlo. Vorranno assicurarsi che Luca stia bene, che viva una vita degna e felice. È naturale, è l’amore che spinge.” E io lì, ancora una volta, ho capito che non ci avevo mai pensato. Che sì, magari non dovranno rinunciare a tutto, come ho fatto io per ventotto anni, ma si occuperanno comunque di lui. E non perché obbligate. Per amore.

È stata una serata emotivamente complessa, da cui ho imparato molto. Ne ho parlato con le mie figlie dopo, e mi è sembrato che fossero felici del fatto che volessi capirle un po’ di più, anche loro.

Dopo l’incontro, mi sono incontrata con degli amici e mi sono presa la sbronza più bella degli ultimi anni.

 



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